Maestri BurattinaiS


Alarm Clock

I gruppi terroristi in Africa: lo strano caso dell'imbattibilità dell'Esercito di Resistenza del Signore (LRA)

LRA soldier child
© Photo: EPA
La stabilità in Africa è minata da molti gruppi militanti: Boko Haram in Nigeria, al-Shabaab in Somalia e Al Qaeda nel Maghreb islamico che espande le attività terroristiche al Mali, al Niger e altri paesi. L'Esercito di Resistenza del Signore, o LRA, merita un'attenzione particolare, spiega Alexander Mezyaev sul giornale online della Strategic Culture Foundation. Il gruppo è attivo in Uganda dal 1987 quando ha iniziato a combattere il governo di Yoweri Museveni, che è salito al potere nel 1986. Il gruppo attacca civili, uccide e rapisce persone, tra cui donne e bambini. Una delle principali accuse contro i leader del LRA è quella di reclutare bambini soldato.

mappa dell'Africa Centrale
Il LRA è responsabile della morte di decine di migliaia di persone nei cinque paesi vicini. Nei primi sei mesi del 2015 ha attaccato le aree urbane più di 130 volte, uccidendo decine di persone e sequestrandone trecento. I leader del mondo contemporaneo stanno guardando gli eventi senza molta preoccupazione. Non è Parigi, dopo tutto.

Il LRA si unisce ad altri gruppi militanti nel commercio illegale di avorio, diamanti e oro. Come molti altri gruppi terroristici africani di oggi, il LRA estende le proprie attività oltre i confini nazionali, tra cui l'est della Repubblica Centrafricana, la parte nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo, così come i territori del Sud Sudan e la Repubblica del Ciad.

Al LRA si oppongono gli eserciti di alcuni stati, le missioni delle Nazioni Unite (la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo, la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana e la missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan), così come l'Iniziativa Regionale lanciata dall'Unione africana. L'obiettivo dell'Iniziativa Regionale africana è "l'eliminazione del LRA, che porti alla creazione di un ambiente sicuro e stabile" nei quattro paesi colpiti dal LRA: Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, e il Sud Sudan.

La partecipazione dello US Army nelle operazioni anti-LRA è un fatto degno di nota. Il LRA e il suo leader Joseph Kony sono stati messi nella lista del «terrorismo globale» dopo l'11 settembre. Centinaia di istruttori militari statunitensi sono stati inviati in Uganda. Questo è un altro buon esempio per illustrare il fatto poco noto che l'11 settembre è stato utilizzato come pretesto per l'invio di militari statunitensi in tutti gli angoli del mondo. Non importa, il LRA si confronta con una potente «coalizione anti-terrorismo»; le sue formazioni, da 300 a1000 uomini rimangono imbattute. O le forze delle Nazioni Unite non hanno alcuna autorità per combattere i terroristi, o i militanti vengono avvistati in anticipo da avere abbastanza tempo per fuggire dalla zona prima del lancio delle operazioni.

Eye 1

"La sorveglianza di massa non impedirà il prossimo attacco terrorista ma ci ruberà la libertà" Ron Paul

Big Brother
A giudicare dal suo discorso in prima serata della scorsa settimana, l'ultimo anno di presidenza di Barack Obama sarà caratterizzato da un aumento del militarismo all'estero e dell'autoritarismo a casa, scrive Ron Paul sul sito del suo Istituto. Il cuore del discorso del presidente è stato la sua richiesta di una nuova legge che vieti a chiunque sia sulla lista di sospetti terroristi del governo federale di acquistare un'arma da fuoco. Non c'è mai stato un omicida di massa che era sulla lista dei terroristi, quindi questa proposta non aumenterà la sicurezza. Tuttavia, ridurrà la libertà.

I funzionari federali possono inserire un cittadino americano nella lista dei terroristi esclusivamente sulla base di loro sospetti che l'individuo possa essere coinvolto in attività terroristiche. Gli individui iscritti nell'elenco non sono informati di essere stati etichettati come sospetti terroristi, tanto meno è data loro la possibilità di contestare tale denominazione, fino a quando un agente della Transportation Security Administration impedirà loro di salire a bordo di un aereo.

Gli individui possono essere iscritti nell'elenco se i loro post su Facebook o Twitter sembrano "sospetti" ad un agente federale. Possono anche essere inseriti nella lista se il loro comportamento in qualche modo suggerisce che sono "rappresentanti" di un gruppo terroristico (anche se non hanno associazioni con nessuna organizzazione terroristica). Gli individui possono anche essere messi nella lista perché l'FBI vuole interrogare loro di amici o familiari!

Migliaia di americani, tra cui diversi membri del Congresso e molti dipendenti del Department of Homeland Security, sono stati erroneamente inseriti nell'elenco dei terroristi. Alcuni americani sono iscritti nell'elenco, perché capita di avere lo stesso nome di sospetti terroristi. Coloro che erroneamente sono inseriti nella lista dei terroristi devono passare attraverso un lungo processo per cancellare i loro nomi.

Eiffel Tower

Parigi, un mese dopo: chi ci governa continua ad alimentare la spirale senza fine della violenza

strage a Parigi 13 Novembre 2015
di Patrick Boylan, PeaceLink

Ad un mese dagli attentati a Parigi, l'elettorato francese ha punito il governo Hollande per le falle nella sicurezza nazionale - ma solo relativamente. Ha concesso il 27% dei voti alla destra securitaria di Marie Le Pen alla prima tornata (un record), ma non abbastanza voti alla seconda per vincere in nessuna delle 12 regioni in ballo. Il partito di Hollande ha vinto in cinque, quello di Sarkozy in sette.

Eppure il tandem Sarkozy/Hollande è direttamente responsabile per le orrendi uccisioni compiute al Club Bataclan e in altri quattro luoghi a Parigi il 13 novembre 2015.

Infatti, i due Presidenti francesi, insieme agli USA, alla Turchia e ai paesi del Golfo, hanno creato e armato i jihadisti operanti prima in Libia e poi in Siria, i quali poi hanno addestrato e foraggiato gli attentatori di Parigi. Non solo, ma hanno importato in Libia e in Siria questi loro orrendi mercenari per rovesciare con la violenza i governi dei due paesi, seviziando o tagliando la testa a chiunque - militare o civile - sostenesse Gheddafi o Assad. Il che vuol dire gran parte della popolazione: infatti, malgrado quanto asseriscono i mass media occidentali, nel 2011 gli anti-Gheddafi risultavano maggioritari solo nelle piazze delle grandi città; e oggi gli anti-Assad non sono più maggioritari nemmeno lì.

Le azioni di Sarkozy e di Hollande, dunque, sono un crimine secondo tutte le norme internazionali. Non si coltivano la democrazia e il rispetto per i diritti umani in una società giudicata oppressa, importando tagliagole e fomentando la guerra.

Quindi gli orrori che i parigini hanno provato la notte del 13 novembre, Sarkozy e Hollande li avevano già fatti provare a gran parte delle popolazioni civili della Libia e della Siria continuamente dal 2011 - pur sapendo che queste loro azioni illegali rischiavano di provocare rappresaglie contro le popolazioni della Francia e dell'Europa.

Una parentesi:

L'affermazione appena fatta - sugli orrori che Sarkozy e Hollande hanno fatto provare - potrebbe turbare molti lettori. I telegiornali, infatti, ci presentano le atrocità delle milizie jihadiste come se noi non c'entrassimo per niente, come se noi non avessimo nessuna responsabilità nell'addestrare quelle milizie e nell'incitarle alla violenza. Peggio, come se noi non avessimo nessuna responsabilità nel praticare il terrorismo noi - per primi - nei paesi di quei jihadisti.

Prendiamo il caso della "guerra civile" in Libia nel 2011. I telegiornali dell'epoca ci hanno fatto vedere la brutale uccisione dell'allora Capo di Stato Gheddafi come se fosse il popolo, "sollevatosi contro il tiranno", a farlo. Mentre si trattava di milizie jihadiste, da noi reclutate e importate con la complicità del Qatar, e guidate nella ricerca della macchina di Gheddafi dai droni NATO controllati dalla base italiana di Sigonella in Sicilia. E non solo. Queste nostre milizie, poi, durante i combattimenti per rovesciare il governo, sono stati responsabili di inenarrabili orrori: hanno mutilato, decapitato e bruciato vivi i loro prigionieri pro-governativi; hanno massacrato intere famiglie libiche soltanto perché di pelle nera o perché il capo famiglia risultava un impiegato governativo, quindi probabilmente filo-Gheddafi.

E non finisce qui. Noi Occidentali abbiamo commesso delle atrocità anche in prima persona, e non soltanto attraverso le milizie jihadiste da noi create.

Pochi ne sono consapevoli perché, nel 2011, i TG ci hanno convinto che i nostri bombardamenti in Libia fossero soltanto "chirurgici". Mentre la realtà è stata ben diversa: i filmati girati dai libici stessi con i loro cellulari hanno mostrato quanti orrori e devastazioni hanno causato le nostre bombe lanciate anche su case civili e su infrastrutture vitali. Idem per la Siria oggi, da oltre un anno. Sono video che i libici e i siriani hanno postato in Internet e che i giovani attentatori del 13 novembre, davanti ai loro computer in Belgio, sicuramente hanno visto - giurando vendetta mentre guardavano.

Ma di tutto questo siamo stati lasciati all'oscuro. Se la TV manda in onda ogni tanto dei video amatoriali siriani, sono quelli realizzati dai ribelli da noi sponsorizzati e che mostrano soltanto le devastazioni causate dal regime. Non vediamo mai il terrorismo nostro, ingiusto e criminale, che provoca il terrorismo loro, l'ingiusta e criminale risposta.

Whistle

Vogliono portare l'Italia in guerra

forze speciale italiante in Libia
di G. Cirillo

In questi giorni sta succedendo qualcosa di strano, perché l'Italia per la prima volta sembra non voglia più rispettare le direttive americane, sia rifiutando di prorogare le sanzioni alla Russia, sia non partecipando ai pseudo-bombardamenti contro l'ISIS che hanno il solo scopo di dar fastidio all'avanzata russo-siriana-irachena, sia con la notizia della presenza non ufficiale di forze speciali italiane in Libia. E in risposta a questo improvviso coraggio italico, stranamente, l'ISIS torna a minacciare Roma con un video dove ne prevede la conquista e, sempre gli stessi uomini del Califfo, conquistano per un breve periodo la cittadina di Sabratah, comparendo improvvisamente in una zona in cui ancora si erano visti poco; cittadina di Sabratah che è pericolosamente vicina ad Az Zawiyah città fondamentale per gli interessi energetici dell'ENI in Libia, come vediamo in questa mappa:
mappa Eni in Libia
Mappa dell’ENI in Libia
Allo stato attuale sembra che i due parlamenti rivali di Tobruk e Tripoli abbiano raggiunto un'intesa che firmeranno il 16 dicembre per un governo di unità nazionale, ma le incognite sono ancora molte, dato che i due attori principali sono supportati da interessi stranieri diversi; il governo laico di Tobruk supportato da Egitto ed Emirati, quello islamista di Tripoli dal Qatar e dalla Turchia, senza contare la presenza dell'ISIS a Sirte, a Derna, a Bengasi ed ora anche a Sabratah. A nostro avviso possono intravedersi quattro scenari principali:

1) FINE GUERRA CIVILE: il governo di unità nazionale riesce a nascere, l'ISIS diventa il nemico principale e viene annientato, inizia la ricostruzione del paese. PROBABILITA' MOLTO BASSA

2) COLLASSA IL GOVERNO DI TRIPOLI: l'eventuale accordo per un governo di unità nazionale potrebbe non essere riconosciuto dalle bande islamiste che sorreggono il governo di Tripoli. Molte di esse potrebbero unirsi allo Stato Islamico e l'intera Tripolitania potrebbe collassare. In quel caso gli interessi strategici dell'Italia sarebbero a serio rischio e l'intervento italiano sarebbe sempre più probabile. Sicuri scontri con le milizie di Misurata e con le forze di Zintan. PROBABILITA' MEDIO-ALTA

3) FALLIMENTO TRATTATIVE: l'eventuale accordo per un governo di unità nazionale potrebbe essere raggiunto, ma i principali attori potrebbero non riconoscerlo come le milizie di Alba Libica o il generale Haftar, attori che potrebbero rimanere esclusi dagli accordi. In quel caso gli scontri potrebbero accendersi in maniera più grave della situazione odierna, in uno scenario di tutti contro tutti. PROBABILITA' MEDIA

4) INTERVENTO STRANIERO: nel caso la situazione precipitasse, nel caso di avanzata dell'ISIS soprattutto in zone strategiche, nel caso di ulteriori attentati sul suolo europeo, è probabile un intervento di forze straniere. In primis l'Italia, che deve assolutamente difendere le postazioni dell'ENI che ha interessi miliardari nel paese. L'eventuale perdita di queste postazioni energetiche sarebbe un colpo durissimo per l'Italia sia in termini economici che di approvvigionamento energetico. A sostegno di questa ipotesi le recenti dichiarazioni del ministro degli esteri russo Lavrov che ha sostenuto il pieno supporto della Russia ad un intervento militare italiano in Libia. PROBABILITA' MEDIO-ALTA

Question

Rivelazione di un deputato turco: Ankara ha dato il gas sarin all'ISIS

Sarin gas from Turkey to jihadis with Love
I jihadisti siriani dell'Isis avrebbero ricevuto il materiale per produrre il gas letale sarin dalla Turchia: lo afferma il deputato del Partito Popolare Repubblicano turco (Chp) Eren Erdem in un'intervista a Russia Today, emittente vicina al Cremlino. Il sarin fu usato negli attacchi di Ghouta e nei sobborghi di Damasco nel 2013, per i quali venne accusato Assad.

Erdem ha mostrato in parlamento il fascicolo aperto dalla procura di Adana, poi archiviato, accusando le autorità di aver «insabbiato» il caso. L'indagine, secondo Erdem, rivela che un certo numero di cittadini turchi prese parte alle negoziazioni con i jihadisti.

Citando le prove contenute nell'atto di accusa, il deputato assicura che le intercettazioni confermano che un militante di al Qaida, Hayyam Kasap, entrò in possesso del sarin. Tutto sarebbe contenuto nel faldone «2013/120», l'indagine che venne poi archiviata. «Ci sono dati sostanziali in quelle carte», dice Erdem a RT.

«Si capisce che il materiale usato per le armi chimiche passa attraverso la Turchia e viene assemblato nei campi dell'Isis, che allora era conosciuto come al Qaeda irachena. È tutto registrato. Ci sono intercettazioni che dicono 'non ti preoccupare per la frontiera, ci pensiamo noì e si comprende chiaramente come vengono usati i burocrati». A questo punto il procuratore di Adana Mehmet ArOkan ordina un blitz e 13 persone vengono arrestate. Poi, secondo Erdem, avviene 'l'inspiegabile'. Una settimana dopo il caso viene chiuso e i sospettati passano immediatamente la frontiera turco-siriana.

«Le intercettazioni chiarivano come sarebbe avvenuta la consegna, quali camion sarebbero stato usati... tutto documentato dalla A alla Z: nonostante gli indizi, i sospettati sono stati rilasciati. E la consegna del carico è avvenuta, perchè nessuno li ha fermati. Forse l'uso del sarin in Siria dipende da questo».

Megaphone

"Per la Turchia, come alleato dello Stato Islamico, non c'è posto nella UE", Milos Zeman presidente Rep. Ceka.

Milos Zeman
Il presidente della Repubblica Ceka ha espresso una sonora critica alle trattative per l'adesione della Turchia all'Unione Europea "davanti agli indizi ed alle prove evidenti che dimostrano che la Turchia risulta di fatto un alleato e dello Stato Islamico", ha considerato questo Sabato Zeman.

Nelle dichiarazioni rilascate durante la fine della sua visita nella regione della Bohemia, nel nord del territorio della Repubblica Ceka, il presidente ha richiesto con urgenza alle autorità della UE di trattare con molta "cautela" la Turchia visto che questo paese dimostra maggiori affinità con lo Stato Islamico che non con i paesi europei.

"Nonostante che la Turchia sia membro della NATO questo paese opera in forma tale da apparire un alleato di fatto dello Stato Islamico".

Allo stesso modo Zeman ha condannato la decisione del blocco europeo di fornire un pacchetto di aiuti finanziari per 3,2 milioni di dollari ad Ankara, per la questione di voler impedire l'ingresso in Europa ai rifugiati siriani che fuggono dalla violenza in Siria.

"Anche l'Impero Romano, prima di sgretolarsi, pagò tributi ai barbari (per non fare invadere il suo territorio)", ha ricordato Zeman per poi avvisare sui pericoli che derivano dalle politiche avventuriste del Governo di Ankara e delle possibili conseguenze a livello regionale ed internazionale. Il presidente della Repubblica Ceka non è il primo politico europeo che si dimostra chiaramente scettico circa l'adesione della Turchia alla UE. Lo scorso mese di Novembre, il capo del Partito per la Libertà dell'Olanda (PVV), di estrema destra , Geert Wilders, si era opposto alla adesione della Turchia alla UE.

Alla fine dello scorso mese di Novembre, i leaders della UE avevano accettato un piano di azione per far impegnare la Turchia a trattenere il flusso dei richiedenti asilo verso l'Europa in cambio di rinforzare i legami con l'entità europea, così come la riattivazione dei negoziati per il suo ingresso.

Negli ultimi mesi l'Europa ha dovuto affrontare una affluenza senza precedenti di rifugiati provenienti soprattutto dai paesi colpiti dal terrorismo, come la Siria, l'Iraq e l'Afghanistan. Il 18 di Settembre, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) aveva annunciato che il numero di persone che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2015 per rifugiarsi in Europa era aumentato fino a 473.887 .

Amnesty International aveva denunciato il 27 Novembre che la Turchia aveva violato le norme di diritto internazionale nel deportare i sollecitanti asilo siriani.

Nota: La presa di posizione di Milos Zeman rappresenta uno schiaffo alla cancelliera tedesca Angela Merkel che ha condotto la trattativa con la Turchia arrogandosi il diritto di decidere per conto di tutti i paesi europei, incurante delle conseguenze in termini di destabilizzazione sociale nei paesi esposti all'invasione di massa di migranti e profughi.

Inoltre il presidente Zeman, con le sue dichiarazioni, ha operato uno strappo alla politica degli USA e della NATO che utilizza la Turchia per fare il lavoro sporco di destabilizzazione della regione mediorientale e nello stesso tempo lancia proclami altisonanti ed ipocriti di "lotta al terrorismo dello Stato Islamico", nascondendo la complicità di questo paese e della NATO nell'appoggio al terrorismo jihadista.

Fonte: Hispan Tv

Traduzione e note: Luciano Lago

Chess

Il FMI modifica le regole sui prestiti per fare un dispetto alla Russia

Putin e Lagarde
La guerra tra Russia e Ucraina continua senza sosta. In un crescendo di accuse per la situazione in Donbass, che rischia di esplodere nuovamente da un momento all'altro, il terreno dello scontro si è spostato sul rimborso del prestito da tre miliardi di dollari che Kiev deve a Mosca e che per il momento non pare voler rimborsare. «Potremmo anche prendere in considerazione questa ipotesi», ha detto qualche giorno fa il ministro delle Finanze ucraina, Natalia Yaresko, commentando la situazione.

Ieri, intanto, il presidente russo Vladimir Putin ha incaricato il ministero delle Finanze russo di citare in giudizio l'Ucraina in caso di mancato pagamento del debito. Secondo quanto riportato dalle agenzie russe, il leader del Cremlino, nel corso di un incontro con i membri del governo, tra i quali anche Anton Siluanov, ha definito «strano e non comprensibile» che Usa e Ue si siano rifiutati di fornire alla Russia garanzie sul debito ucraino «se sono così sicuri della solvibilità del paese». «A noi - gli ha fatto eco Siluanov - è arrivata una lettera del ministro delle Finanze Usa dove è scritto chiaramente che queste garanzie non possono essere date». Sul fatto che Kiev molto probabilmente rimarrà in una posizione di insolvenza, ne è certo anche Dmitri Medvedev. Il premier russo ha detto di aver il presentimento che «il governo ucraino non salderà il suo debito nei nostri confronti, perché è composto da imbroglioni. Noi sicuramente non tollereremo questo loro comportamento».

Ad avvalorare la tesi che vede Mosca rimanere con un pugno di cenere in mano, c'è anche la decisione del Fondo Monetario Internazionale di cambiare le proprie regole per dare una mano al governo di Kiev. L'organismo presieduto da Christine Lagarde ha deciso infatti di modificare una regola interna che avrebbe minacciato la continuazione del piano di aiuti economici all'Ucraina. Fino a ieri il Fondo non poteva garantire l'assistenza finanziaria a un Paese in default nei confronti di un altro Stato. Aspetto di non poco conto, che metteva a rischio l'Ucraina, Stato che attualmente sta beneficiando di un corposo piano di salvataggio di 17,5 miliardi dollari. Così il consiglio di amministrazione del FMI, secondo quanto riferito dal portavoce dell'organismo Gerry Rice, ha deciso di «cambiare la regola sul rifiuto di pagamenti arretrati a fronte di creditori ufficiali».

Le modalità e le clausole della modifica non sono state svelate e saranno precisate solo nei prossimi giorni. Questo nel tentativo di far sgonfiare le polemiche innescata dalle leadership russa. Il FMI sostiene che il dibattito su questa regola era in corso già dal 2013, ossia prima che scoppiasse la crisi in Ucraina, mentre Mosca è quasi certa che sia stata pensata e approvata solo ed esclusivamente in seguito alle pressioni dell'amministrazione Obama. «Questa decisione - ha commentato Dmitri Peskov, portavoce di Vladimir Putin - può creare un precedente molto pericoloso. D'ora in avanti molti Stati vorranno usare questa clausola presa appositamente per l'Ucraina».

Nuke

Risoluzione ONU, votata da 157 Paesi, sollecita Israele a firmare il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari

Una risoluzione dell'ONU adottata da 157 Paesi ha esortato il regime israeliano ad aderire al Trattato di non proliferazione (TNP) delle armi nucleari.
Una risoluzione dell'ONU adottata da 157 Paesi ha esortato il regime israeliano ad aderire al Trattato di non proliferazione (TNP) delle armi nucleari.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato, ieri, una risoluzione, sostenuta da 157 paesi, esortando il regime di Tel Aviv ad aderire al TNP e non conservare armi nucleari nei territori palestinesi occupati.

Inoltre, la risoluzione invita le autorità israeliane a mettere i suoi impianti nucleari sotto il regime di salvaguardia dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) delle Nazioni Unite (ONU).

Nel frattempo, e nonostante il forte sostegno di 157 paesi, Stati Uniti, Canada, Panama e il regime israeliano hanno votato contro la risoluzione, mentre 20 paesi si sono astenuti.

Il regime israeliano, l'unico possessore di armi nucleari in Medio Oriente, non ha mai permesso eventuali ispezioni dei suoi impianti atomici e si è sempre mostrato sordo agli appelli internazionali ad aderire al TNP.

Il quotidiano statunitense The Washington Post ha rivelato, lo scorso marzo, il regime israeliano ha sviluppato dal 1960, le armi nucleari.

Un rapporto pubblicato lo scorso giugno dal Bulletin of Atomic Scientists, Chicago (USA) ha concluso che Israele ha almeno 80 testate nucleari operative ed ha abbastanza materiale per produrre fino a 190 e altre.

Lunedì scorso, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato, a maggioranza assoluta, un progetto di risoluzione promosso dall'Iran per l'abolizione delle armi nucleari e l'adempimento degli impegni delle potenze nucleari per il disarmo nucleare.

Inoltre, all'inizio di dicembre, l'Iran ha invitato l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) a costringere il regime israeliano ad aderire ai trattati di non proliferazione delle armi nucleari e chimiche.

Fonte: Hispantv

Che Guevara

A Baghdad una manifestazione contro presenza truppe turche

carri armati turchi in Iraq
© AP Photo/ Lefteris Pitarakis
A Baghdad migliaia di persone sono scese oggi in piazza per rivendicare il ritiro delle truppe della Turchia, riferisce la televisione irachena Alsumaria.

Il 4 dicembre, come dichiarato dalle autorità dell'Iraq, carri armati della Turchia sono entrati nela privincia irachena di Ninive col pretesto di addestramento delle milizie che stanno lottando contro i terroristi. I ministeri degli Esteri e della Difesa di Baghdad hanno dichiarato che da parte dei militari della Turchia si tratta di un'azione "ostile" che non è stata concordata con il governo del paese.

Il corrispondente della televisione irachena informa che i manifestanti hanno gremito la piazza Tahrir nel centro della capitale irachena. Fra gli slogan anche "Erdogan, sei un vigliacco". La televisione comunica che la polizia di Baghdad ha innalzato le misure di sicurezza.

L'agenzia France Presse, da parte sua, informa che tra i manifestanti ci sono non pochi combattenti delle milizie sciite che combattono lo Stato Islamico (Daesh) a fianco dell'esercito iracheno.

"Come comandante di una brigata armata non sono pienamente soddisfatto delle azioni del nostro governo. Siamo qui per dire che la nostra pazienza è finita", — ha detto all'agenzia Ali Rubai, uno dei comandanti dei miliziani.

Secondo Rubai, il premier iracheno Haider al-Abadi doveva subito battere con un "pugno di ferro" piuttosto che fare delle concessioni al leader curdo Massoud Barzani e ad altre figure politiche.

"Tuttavia non siamo qui per mettere in dubbio la competenza del nostro comandante in capo. Come reparto militare siamo pronti ad agire", — ha detto il miliaziano.

Sabato l'Iraq ha inviato al Consiglio di sicurezza dell'ONU una lettera in cui ha rivendicato l'immediato ritiro delle truppe turche dal territorio del paese, dichiarando che la loro presenza viola gravemente la Carta dell'ONU e le norme del diritto internazionale. Il rappresentante permanente degli USA all'ONU Samantha Power ha informato che la lettera sarà diramata ai membri del Consigio di sicurezza.

Eye 2

Flashback Arabia Saudita e Isis a confronto: l'infografica che vale migliaia di inutili editoriali

arabia saudita
Il Washington Post ha scritto sabato come le autorità del regime saudita perseguiranno un utente Twitter che ha commesso il "crimine" di paragonare il sistema feudale della monarchia dei Saud - principali alleati dell'occidente nella regione - al gruppo terrorista dello Stato Islamico che oggi controlla alcune zone della Siria e dell'Iraq.

Con una infografica di una chiarezza che solo il mainstream può continuare a far finta di non capire, Middle East Eye, dimostra perché il regime saudita - il principale alleato dell'occidente nella regione - è così attento alla questione. Perché, scrive M. Krieger sul suo blog, le accuse sono tutte vere.

Scrive Middle East Eye:
"Prendendo a riferimento documenti circolati dal gruppo militante, lo Stato Islamico e l'Arabia Saudita prescrivono pressoché le stesse identiche punizioni per una serie di crimini. L'Is ha pubblicato una lista di crimini e le loro punizioni il 16 dicembre del 2014 come spiegazione e avviso a tutti coloro che vivono nei territori sotto il suo controllo in larga parte in Iraq e Siria".
Il documento elenca i crimini considerati "contro Dio" e comprende punizioni standard per il furto, l'adulterio, la calunnia e il banditismo. Le punizioni vengono prese in modo distorto dal Corano e dagli hadith, gli insegnamenti raccolti e detti del Profeta Muhammad. Esattamente come fanno i Saud.

L'infografica che spiega tutto quello che devi sapere sulla relazione tra Arabia Saudita e Isis:

crime and punishment list:Sauid Arabia and ISIS