150 anni fa a Washington venne firmato l'accordo sulla vendita dell'Alaska dalla Russia all'America. Ormai da molti anni vi sono delle feroci dispute sul perchè questo sia avvenuto e sul come bisogna rapportarsi verso tale evento. Durante una discussione organizzata dalla Fondazione Igor Gajdar e dalla società storica Volnoe, i dottori di scienze storiche Aleksandr Petrov e Jurij Bulatov hanno provato a rispondere alle domande che sono sorte riguardo a questo evento. "Lenta.ru" pubblica alcuni estratti dei loro interventi.
Aleksandr Petrov: 150 Anni fa l'Alaska venne concessa (è proprio questa la parola usata: concessa, non venduta) agli USA. In questi anni abbiamo a lungo ripensato a quanto avvenuto e sono stati espressi punti di vista diversi, talvolta diametralmente opposti, da entrambe le parti dell'oceano. Ciononostante gli eventi di quegli anni continuano ad agitare la coscienza pubblica.
Perché? Ci sono diversi elementi. Prima di tutto: venne venduto un territorio enorme che oggigiorno occupa una posizione chiave nella regione Asiatico-Pacifica principalmente grazie allo sviluppo delle estrazioni di petrolio e di altre materie prime. E' importante però notare come l'accordo non riguardò solo gli Stati Uniti e la Russia. In esso furono coinvolti a diverso titolo anche giocatori quali l'Inghilterra, la Francia, la Spagna.
La procedura di vendita dell'Alaska iniziò nel dicembre 1866 per terminare nel Marzo 1867 anche se i soldi furono trasferiti solo in un secondo momento. Con queste risorse venne costruita la direttrice ferroviaria verso Rjazan. I dividendi delle azioni della Compagnia russo-americana, la quale gestiva questi territori, vennero continuati ad essere pagati fino al 1880.Alla base di questa compagnia, fondata nel 1799, vi erano mercanti provenienti da determinate regioni ovvero i governatorati di Vologda e di Irkutsk. Questi avevano organizzato la compagnia a proprio rischio e pericolo. Come le parole della canzone "Non fare la stupida, America! Ekaterina, hai sbagliato". Dal punto di vista dei mercanti Šelehov e Golikov, Ekaterina II fece davvero uno sbaglio. Šelehov inviò una dettagliata missiva nella quale chiedeva di confermare per 20 anni i privilegi di monopolio della sua compagnia e di concedere un credito senza interessi di circa 200 mila rubli: una somma enorme per quei tempi. L'imperatrice rifiutò spiegando che la sua attenzione fosse allora concentrata sulle "azioni meridiane" ovvero in quella che è l'attuale Crimea e affermando di non essere interessata al monopolio.
I mercanti furono però molto insistenti e in un modo o nell'altro scalzarono i concorrenti. Paolo I di fatto mantenne semplicemente lo status quo, la creazione del monopolio della compagnia e nel 1799 le concesse diritti e privilegi. I mercanti ottennero persino una propria bandiera e il trasferimento della direzione generale da Irkutsk a San Pietroburgo. Fin dall'inizio si trattava quindi di una compagnia completamente privata. Successivamente al posto dei mercanti vennero sempre più spesso nominati i rappresentanti della flotta della marina militare.
Il trasferimento dell'Alaska iniziò con una famosa lettera del grande principe Konstantin Nikolaevič, fratello dell'imperatore Alessandro II, al ministro degli esteri Aleksandr Gorčakov sul come fosse necessario concedere questo territorio agli USA. Successivamente questi non corresse mai la propria posizione ma anzi la rinforzò sempre più.
L'accordo venne concluso tenendo all'oscuro la Compagnia russo-americana. Da parte russa, l'approvazione del senato governativo e dell'imperatore fu una semplice formalità. C'è una cosa che meraviglia: la lettera di Konstantin Nikolaevič venne scritta esattamente dieci anni prima l'effettiva vendita dell'Alaska.
Jurij Bulatov
La vendita dell'Alaska attira oggi grande attenzione. Nel 1997 quando la Gran Bretagna passò Hong Kong alla Cina, tra le opposizioni si decise di auto promuoversi: se hanno restituito Hong Kong, anche a noi devono ridarci l'Alaska che ci è stata sottratta. Non l'abbiamo mica venduta, ma concessa e quindi gli americani devono pagare una percentuale per l'utilizzo del territorio.
Questo argomento interessa sia gli studiosi sia una grossa fetta dell'opinione pubblica. Ricordiamo la canzone, cantata non di rado durante le feste, "Non fare la stupida, America! Ridacci quel pezzo di terreno dell'Alaska, ridacci indietro la nostra bene amata". Sono molte, emozionanti ed interessanti, le pubblicazioni che gettano benzina sul fuoco su questo argomento. Persino nel 2014 dopo l'unione della Crimea alla Russia vi fu una intervista del nostro presidente nel quale alla luce di quanto fosse successo gli venne chiesto: quali prospettivi vi sono per l'America russa? Lui preso dall'emozione rispose, di getto, a cosa ci serve l'America? Non bisogna scaldarsi.
Il problema sta nella nostra mancanza di documenti che permettano di chiarire quanto sia realmente accaduto. Ci fu una speciale consultazione il 16 dicembre 1866, ma la locuzione "consultazione speciale" suona abbastanza male nella nostra storia dato che furono tutte illegittime sia loro che loro decisioni.
E' necessario anche chiarire il motivo delle enigmatiche simpatie della dinastia dei Romanov verso l'America e il segreto della vendita dell'Alaska: anche qui vi è infatti un segreto. Nel documento della vendita di questo territorio venne previsto che tutti gli archivi presenti a quel tempo nell'America russa venissero completamente trasferiti agli USA. Evidentemente gli americani avevano qualcosa da nascondere e desideravano quindi mettere le mani avanti.
Ma la parola di stato è d'oro: se ha deciso che bisogna vendere, vuol dire che bisogna vendere. Non a caso nel 1857 Konstantin Nikolaevič inviò una lettera a Gorčakov. Essendo un funzionario in carica, il ministro degli esteri si trovò obbligato a fare rapporto sulla lettera con Alessandro II nonostante avesse in precedenza cercato in ogni modo di evitare tale questione. Alessandro annotò nella lettera del fratello come "questa idea va presa in considerazione".
A mio parere gli argomenti trattati nella lettera sarebbero pericolosi persino adesso. Ad esempio, Konstantin Nikolaevič era presidente della Società geografica russa e improvvisamente fa una scoperta parlando di come l'Alaska fosse molto lontana dai centri principali dell'Impero russo. Sorge una domanda: perchè bisogna vendere proprio questo territorio? Vi sono le Sahalin, la Čukotka, la Kamčatka, ma per qualche motivo la scelta cade sull'America russa.
Secondo elemento: la Compagnia russo-americana non avrebbe procurato alcun profitto. Ma questo non corrisponde a verità dato che esistono documenti nei quali si evince come i profitti vi furono (forse non così grandi come si sperava, ma comunque vi furono). Terzo elemento: le casse vuote. Certo, questo è assolutamente vero ma i 7,2 milioni di dollari ricevuti non è che avrebbero fatto una grossa differenza. A quel tempo il bilancio russo era di appena 500 milioni di rubli e 7,2 milioni di dollari corrispondevano a non molto più di 10 milioni di rubli. E il debito russo ammontava ad 1,5 miliardi di rubli.
Quarta asserzione: se fosse successo un qualche conflitto militare, non avremmo potuto conservare questo territorio. Qui il grande principe non è stato onesto. Nel 1854 la guerra di Crimea veniva condotta non solo in Crimea ma anche nel Baltico e nell'Estremo Oriente. A Petropavlovsk-Kamčatskij la flotta russa, comandata del futuro ammiraglio Zavojko, respinse l'attacco di una squadriglia anglo-francese. Nel 1863 per ordine del grande principe Konstantin Nikolaevič furono inviate due squadriglie: una a New York, dove rimase in incursione e un'altra a San Francisco. Fu così che impedimmo che la guerra civile americana si trasformasse in un conflitto internazionale.
L'ultima argomentazione mette a nudo la propria ingenuità: se venderemo agli americani avremo con loro degli ottimi rapporti. Era meglio, magari, vendere allora alla Gran Bretagna dato che con l'America non avevamo confini in comune e concludere un accordo con gli inglesi sarebbe stato più vantaggioso.Tali ragioni non sono solo superficiali ma anche criminose. Seguendo tale ragionamento, oggi potrebbe essere venduto qualsiasi territorio. In occidente l'Oblast di Kaliningrad, in oriente la penisola delle Kurili. Sono luoghi lontani? Si. Non vi sono profitti? No. Le casse sono vuote? Lo sono. Anche sulle considerazioni riguardo un eventuale conflitto militare vi sono delle questioni. Le relazioni con i compratori miglioreranno, ma per molto? L'esperienza della vendita dell'Alaska all'America ha mostrato che il miglioramento non è durato molto.
Aleksandr Petrov:
Tra Russia e Stati Uniti d'America vi era sempre stata più cooperazione che conflitti. Non a caso, ad esempio, lo storico Norman Saul ha scritto il saggio "Distant Friends" - Amici lontani. Per tempo dopo la vendita dell'Alaska tra Russia e USA vi furono dei rapporti amichevoli. Io non utilizzerei la parola "rivalità" rispetto all'Alaska.
Per quanto riguarda la posizione di Konstantin Nikolaevič, io non la definirei criminosa ma inopportuna e inspiegabile. Criminosa è quando una persona viola delle precise norme, regole e posizioni esistenti nella comunità in un determinato tempo. Ma formalmente tutto venne fatto regolarmente. Il modo in cui l'accordo venne sottoscritto fa tuttavia sorgere delle domande.
Quale poteva essere un'alternativa? Dare la possibilità alla Compagnia russo-americana di continuare ad operare nella regione, permetterle di popolarla con popolazione originaria della Siberia e della Russia centrale, includere questo enorme territorio all'interno della riforma contadina, dell'abolizione della servitù della gleba. Ma vi sarebbero state le forze sufficienti per fare tutto ciò oppure no?
Jurij Bulatov:
Ho dubbi sul fatto che le relazioni tra i due stati fossero amichevoli: a testimonianza di questo vi sono i fatti e la rapidità con cui questo accordo venne stipulato.
Ecco un esempio interessante: nel 1863 la Russia sottoscrisse un accordo con gli americani circa il passaggio della linea telegrafica attraverso la Siberia con uno sbocco sull'America russa. Ma nel febbraio del 1867, ad un mese dall'accordo sulla vendita dell'Alaska, gli americani annullarono tale accordo dichiarando di voler far passare la linea telegrafica attraverso l'Atlantico. E' ovvio che l'opinione generale si rapportò in modo abbastanza negativo verso questo fatto. Per quattro anni gli americani avevano di fatto compiuto operazioni di spionaggio sul nostro territorio e nel febbraio del 1867 si defilarono dal progetto.
Se dobbiamo parlare dell'accordo sul passaggio dell'Alaska, allora si tratta di un accordo tra un vincitore e un vinto. A leggere i suoi sei articoli e il tipo di formule usate, salta all'occhio come l'America avesse dei diritti mentre la Russia dovesse solo adempiere alle condizioni indicate.
Vi erano relazioni mercantili tra gli USA e i vertici della dinastia Romanov, ma non relazioni amichevoli. Persino la società non sapeva quanto stesse succedendo. Il principe Gagarin,presidente del consiglio dei ministri, Valuev, il ministro degli Interni e Miljutin, il ministro della guerra, non avevano minima idea di tale accordo e ne vennero a conoscenza leggendo i giornali. Se furono messi all'oscuro, vol dire che sarebbero stati contrari. Le relazioni tra i due paesi non erano amichevoli.
Fonte: Lenta.ru Mihail Karpov Traduzione di Antonino Santoro
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