Maestri BurattinaiS


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Crisi in Moldavia: è caduto il Governo pro-UE

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Si apre un nuovo fronte nella crisi dell'eurozona: anche la Moldavia volta le spalle ai partiti pro-UE. Mentre la UE è spesso - come in Ucraina - spacciata per un rimedio contro la corruzione, la realtà è esattamente opposta: l'ex primo ministro pro-UE è infatti accusato di aver favorito una frode ai danni dello stato pari addirittura al 20% dell'intero PIL del paese. Alla luce degli avvenimenti, i Moldavi sono scesi in piazza e preteso le dimissioni dell'attuale governo - in continuità con l'ex primo ministro. Il governo è stato sfiduciato grazie al cambio di rotta del partito comunista, che ha abbondonato i filo-UE e sembra volersi associare con i Socialisti, più inclini ad appoggiarsi alla Russia. Come tutti i tentativi precedenti, il nuovo "impero europeo" ha conosciuto un periodo favorevole in corrispondenza di un allargamento progressivo, ma ormai l'espansione sembra essersi arrestata su tutti i fronti. E quando un impero smette di espandersi, è vicino il momento del collasso.
Di Alexander Mercouris su Russia Insider, 30 ottobre 2015

Già a maggio Russia Insider aveva pubblicato un articolo sul fatto che il clima politico in Moldavia stava virando dai partiti pro-UE ai partiti filo-russi. Tale virata si sta ancora più intensificando dopo la decisione del Parlamento Moldavo di sfiduciare il governo pro-UE della Moldavia. Il voto è avvenuto a seguito di settimane di proteste dopo che alcuni dei leader politici moldavi pro-UE sono stati implicati in uno scandalo di corruzione. La cosa più eclatante è che uno dei principali leader politici pro-UE, l'ex primo ministro Vlad Filat, è stato arrestato dalla polizia un paio di settimane fa proprio nel palazzo del Parlamento Moldavo. Non appena si è diffusa la notizia degli scandali di corruzione, si sono sviluppate le proteste. Inizialmente sembrava che fossero condotte da gruppi pro-UE. Tuttavia nelle ultime settimane sembrano essere guidate dal grande Partito - filorusso - Socialista della Moldavia, che si ha avuto la maggioranza relativa alle elezioni dell'inizio di quest'anno.

Il crollo del governo è stato decretato dalla decisione dell'ex partito comunista al governo di ritirare il suo appoggio. Sembra che ora esso stia preparando un'alleanza con i Socialisti. Sembra che anche altri deputati indipendenti siano in procinto di passare all'opposizione. Non è possibile prevedere l'esito di quest'ultima crisi. È possibile che i partiti pro-UE cercheranno di impedire le elezioni mettendo insieme un altro governo. Ma senza l'appoggio dei comunisti è difficile che tale governo possa avere una maggioranza in Parlamento.

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La Turchia sceglie ancora Erdogan

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© newyorker.com
Elhamdülillah, Alleluia. Con questo twit di una sola parola il premier turco Ahmet Davutoglu commenta i risultati delle elezioni politiche che consegnano nelle mani del partito islamico di Recep Tayyip Erdogan la maggioranza assoluta.

Contro l'ottimismo delle opposizioni e i sondaggi che davano con il vento in poppa gli anti-Erdogan, in Turchia il sultano è risorto dalle ceneri rispetto a cinque mesi fa. Il suo partito potrà tornare a governare senza la necessità di alcun patto di coalizione con altre forze politiche. L'AKP viene premiato da un'affluenza che supera l'87% e guadagna oltre il 50% dei voti, ottenendo 315 seggi sui 550 dell'Assemblea nazionale. Il primo partito di opposizione, i socialdemocratici del CHP, si fermano al 25% e 134 seggi, mentre gli ultranazionalisti del MHP arrivano al 12%, con 41 seggi. Deludente il risultato del partito filo-curdo HDP, guidato da Selahattin Demirtas, che a giugno scorso aveva ottenuto un risultato storico (14%), mentre oggi si deve accontentare di aver passato di un soffio la soglia di sbarramento del 10%, conquistando 59 seggi.

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© OZAN KOSE/AFP/Getty Images Istanbul. Il presidente turco Erdogan possa per un selfie con un gruppo di sostenitrici del suo partito (AKP)

USA

Ultima follia Usa: un piccolo contingente di truppe in Siria verrà inviato a sostegno dei "ribelli moderati". Reuters

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Come ampiamente annunciato nei giorni scorsi da l'AntiDiplomatico, gli Stati Uniti decidono di inviare un piccolo contingente di forze speciali statunitensi in una missione di "consiglio e assistenza" per i ribelli siriani che combattono contro i militanti islamici. Lo riporta Reuters citando funzionari statunitensi anonimi. Si attende un annuncio completo da parte del presidente Barack Obama a breve.

Obama in passato si era sempre rifiutato di inviare truppe americane in Siria, sostenendo che la coalizione guidata dagli Stati Uniti avrebbe sostenuto solo raid aerei. Ma la pressionde del Segretario di Stato Kerry e di quello della Difesa Carter è prevalso.

Per capire chi sono i "ribelli moderati" che gli Usa armeranno (Al-Nusra, Al-Qaeda):

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© l'antidiplomatico.it
Come abbiamo documentato più volte, gli sforzi di armare e addestrare i "combattenti per la libertà" siriani si sono risolti in un fallimento.

Il tentativo del Pentagono di costituire "un esercito siriano" è iniziato a maggio con un comunicato stampa del tutto ridicolo che tentava di spiegare il processo di "selezione" dei ribelli. In estate, gli Stati Uniti erano riusciti a mettere in campo solo circa 60 combattenti. Nel mese di luglio sono stati attaccati da Al Qaeda che ha rapito il comandante del gruppo. A settembre, il generale Lloyd Austin ha ammesso al Congresso che solo "quattro o cinque" combattenti erano ancora attivi sul terreno. Il resto era stato ucciso, catturato o aveva disertato nell'ISIS.

Ora che la Russia è in procinto di cancellare tutto ciò che si presenta come un ribelle e ora che Hezbollah, l'IRGC, e le varie milizie sciite Teheran sono impegnate a marciare su tutto ciò che si presenta come un estremista sunnita, Washington tenta di rifornire questi "soldati per procura". Questo è assurdo per due motivi, i) gli Stati Uniti stanno dando armi a soldati che stanno cercando di uccidere i russi e gli iraniani, il che significa Washington sta letteralmente conducendo una guerra contro Mosca e Teheran, e ii) sta dando al Free Syrian Army le stesse armi anticarro da usare contro le stesse milizie sciite che Washington sostiene in Iraq (vale a dire che sono "alleati" in Iraq, e nemici in Siria).

Megaphone

Il Meglio del Web: La Libia quattro anni dopo la morte di Gheddafi

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Com'è la Libia senza il "dittatore" Gheddafi? Secondo tutti i punti di vista nella Libia del post-Colonnello si vive molto peggio che in passato e soprattutto la pace sembra lontana con un paese diviso tra bande armate e almeno tre poteri: quello di Tobruk, quello di Tripoli e quello delle bande islamiche. Strano, senza Gheddafi il destino dei libici non doveva essere roseo e democratico?

Esattamente quattro anni fa Muammar Gheddafi veniva linciato nei pressi di Sirte da una banda di "ribelli", quelli che giornalisti e media hanno cercato di farci passare per dei bravi ragazzi in blue jeans che, assetati di libertà e di occidente volevano eliminare il tiranno cattivo. A quattro anni dall'eliminazione fisica del Colonnello amico di Mandela però, la situazione in Libia è peggiorata piuttosto che migliorare e della democrazia non ve n'è traccia anche senza Gheddafi. Nessuno però ha la minima intenzione di fare mea culpa, nessuno ha intenzione di chiedere scusa per quello che è stato deciso in Libia, ovvero di distruggere dall'oggi al domani un governo legittimo per distruggere il paese e sostanzialmente scatenare il caos.

Evidentemente il caos è utile per coloro che hanno intenzione di mettere le mani sui giacimenti petroliferi e sulle ricchezze del Paese, ed è esattamente quello che è stato fatto. In un Paese diviso tra tre diversi poteri, Tripoli, Tobruk e Isis, gli unici che si mostrano volenterosi di combattere gli estremisti islamici, ovvero i membri del Parlamento di Tobruk, sono anche gli unici ad avere un embargo da parte dell'Occidente che gli impedisce di combattere materialmente l'Isis.

Ora si parla di prospettive di pace con Onu e Ue che vorrebbero sostenere il "Governo di Accordo Nazionale" libico nei primi 40 giorni di vita, ma intanto si è creato uno Stato fallito, l'ideale per gli appetiti dell'Isis che guardacaso si è diffuso in tutti quei paesi vittime dei disegni dell'Occidente: Libia, Siria, Iraq e Afghanistan.

Sarà un semplice caso? Secondo noi assolutamente no, e mentre l'Occidente si mette a posto la coscienza cercando di favorire la pace, è indubitabile che i terroristi islamici crescano nell'incertezza. E soprattutto, se è l'Europa che ha sostanzialmente voluto questo scenario per la Libia, perchè ora avrebbe interesse ad aiutare? Gheddafi aveva detto chiaramente che l'unica alternativa al suo governo sarebbe stato il caos e il terrorismo, ma probabilmente lo sapevano già tutti ed era esattamente quello che volevano ottenere eliminando il Colonnello e la Libia.

Commenta: Per saperne di più sulla distruzione micidiale della Libia e i massacri di massa dei suoi abitanti dagli Stati Uniti, UE e NATO consigliamo al lettore di leggere questo articolo(in inglese): NATO Slaughter: James and Joanne Moriarty expose the truth about what happened in Libya
o ascoltare la puntata SOTT Radio Show(in inglese) dove sono stati intervistati James & JoAnne Moriarty, testimoni oculari di ciò che è accaduto realmente in Libia durante la cosiddetta guerra civile scoppiata nel 2011: Behind the Headlines: Truth about Libya - Interview with James & JoAnne Moriarty


Vader

Caracas. Gli Stati Uniti cercano i soliti pretesti "umanitari" per intervenire in Venezuela

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© l'antidiplomatico.itMinistro Difesa: "L'impero americano" con il pretesto di "difendere i diritti umani e la libertà, mira a creare ancora una volta le condizioni necessarie per intervenire nel nostro paese
Il ministro della Difesa della Repubblica bolivariana del Venezuela, Vladimir Padrino López, respinge con "profonda indignazione" le dichiarazioni del responsabile del Comando Sud degli Stati Uniti, John Kelly, il quale aveva annunciato che Washington sarebbe potuta intervenire in Venezuela perché la nazione latinoamericana "è prossima all'implosione".

"L'impero americano" con il pretesto di "difendere i diritti umani e la libertà, mira a creare ancora una volta le condizioni necessarie per intervenire nel nostro paese, utilizzando come pretesto una possibile crisi umanitaria o un presunto crollo economico", ha dichiarato il Ministro venezuelano alla Padrino ha detto citato da Venezolana de Television.

In una recente intervista con la CNN, Kelly aveva detto di pregare ogni giorno per il Venezuela e di essere rimasto preoccupato per il paese sudamericano, con un'economia sull'orlo dell'implosione e un paese che potrebbe affrontare una crisi senza gli aiuti umanitari di emergenza da parte degli Stati Uniti.

Da parte sua, il presidente venezuelano Nicolas Maduro aveva dichiarato martedì che Washington sta "dando l'ordine di cercare di distruggere" la Repubblica Bolivariana e ha chiesto il sostegno dell'America Latina e dei Caraibi alle nuove minacce dell'"imperialismo americano". Rispetto alle dichiarazioni di Kelly, Maduro ha dichiarato che ci sono "segnali preoccupanti di disperazione negli ambienti di destra d'élite imperiale. Il migliore indicatore che siamo sulla strada giusta è la disperazione di coloro che odiano il Venezuela".

Yoda

A Valdai Putin mette le cose in chiaro

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Vladimir Putin al Forum di Valdai, a Soci, ha detto molte cose importanti. Eccone alcune:

1) Non bisogna giocare con le parole: i ribelli "moderati" uccidono un numero limitato di persone o utilizzano metodi gentili per decapitare le loro vittime? La comunità internazionale deve finalmente rendersi contro che essi sono il nemico del genere umano, della civiltà.

2) Il successo nella lotta contro i terroristi non può essere raggiunto se si utilizzano alcuni di loro come ariete per rovesciare regimi sgraditi [...] È solo un'illusione che possano, in seguito, essere rimossi dal potere.

3) Abbiamo deciso di avviare un'operazione militare russa in Siria, allo scopo di portare la pace, dopo aver ricevuto una richiesta da parte delle autorità ufficiali siriane. Vorrei ribadire che ciò è assolutamente legittimo.

4) Le azioni militari della Russia in Siria produrranno il necessario impatto positivo sulla situazione e aiuteranno il governo legittimo a creare le condizioni per una soluzione politica.

5) L'operazione anti-terrorismo in Siria aiuterà Mosca ad effettuare un attacco preventivo contro i terroristi, che minacciano anche la Russia, e ad aiutare tutti quei paesi e quei popoli che sarebbero sicuramente in pericolo se questi terroristi tornassero alle loro case.

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FSB: "L'Isis si è diffuso grazie all'ambiguità (doppi standard) nelle primavere arabe di alcune potenze"

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© l'antidiplomatico.it
Il capo del "Servizio federale di sicurezza" della Federazione russa (FSB), Alexander Bortnikov: "Ci sono potenze mondiali che usano il Daesh come 'ariete terrorista' per garantire i propri interessi in Asia e in Africa"

Il capo del "Servizio federale di sicurezza" della Federazione russa (FSB), Alexander Bortnikov, ha dichiarato che l'Isis è stato in grado di diffondersi così tanto anche a causa dell'ambiguità (doppi standard) delle potenze regionali nei vari processi delle cosiddette primavere arabe degli anni 2010-2011.
"Ci sono potenze mondiali che usano il Daesh come 'ariete terrorista' per garantire i propri interessi in Asia e in Africa", ha dichiarato Alexander Bortnikov nel corso di una riunione con i suoi colleghi della Comunità degli Stati Indipendenti (CIS) per Mosca.
"Nel perseguire i propri obiettivi con l'Isis, alcuni paesi hanno messo il mondo sull'orlo di un conflitto religioso globale", ha ribadito. Il capo del FSB ha inoltre evidenziato che "le conseguenze di questo conflitto globale potrebbero essere disastrose".
Durante l'incontro, si è parlato anche di Afghanistan, Alexander Bortnikov ha detto che i gruppi talebani potrebbero cofluire nell'Isis, creando un serio problema di stabilità per tutta l'Asia centrale. "L'escalation di tensione in Afghanistan è una fonte di grave preoccupazione. Molti gruppi del movimento talebano sono attualmente presso il confine settentrionale. Alcuni di loro hanno già aderito al Daesh".

Rispondendo alle domande sull'intervento russo in Siria, Alexander Bortnikov ha osservato che la decisione era stata presa per contrastare la minaccia di un "ritorno di massa" dei jihadisti nel loro paese d'origine.
"E la decisione è già dato i suoi frutti" ha detto.

Boat

Usa e Mar cinese meridionale: libertà dei mari o libertà di provocazione?

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"L'arte della provocazione", oppure "La libertà dei mari come libertà di provocare": ci si potrebbe divertire con la fantasia per sintetizzare con efficacia il comportamento degli Stati Uniti in un luogo caldo del pianeta - per le tante rivendicazioni territoriali e perché area di proiezione dell'ascesa cinese - che non ha certo bisogno di essere surriscaldato.

La Marina a stelle e strisce ha messo ora in atto quanto da tempo stava progettando ai massimi livelli (rapporto rivelato agli inizi di ottobre dal Financial Times), vale a dire il pattugliamento all'interno delle 12 miglia (distanza che delinea le acque territoriali sottoposte alla sovranità di un Paese costiero) degli isolotti rivendicati dai cinesi: nella mattina di martedì il cacciatorpediniere "USS Lassen" ha navigato a 11 miglia al largo del Subi Reef (nelle isole Nansha/Spratly), scatenando dure reazioni da parte di Pechino ("un atto provocatorio" e una "palese violazione della sovranità cinese", si legge in un editoriale dell'agenzia di stampa ufficiale Xinhua) giunte fino alla convocazione dell'ambasciatore statunitense.

Gli obiettivi di una tale mossa possono essere sintetizzati così: da una parte - sempre secondo il documento citato dal quotidiano finanziario - si tratta di sfidare con singoli atti dimostrativi
"gli sforzi della Cina nel rivendicare gran parte del corso d'acqua strategico attraverso l'ampliamento di rocce e scogliere sommerse per farne isole abbastanza grandi per piste di atterraggio militari, apparecchiature radar e alloggi per truppe";
dall'altra di confermare agli occhi dei propri alleati come le Filippine o il Giappone (che qualche dubbio lo nutrono), e di possibili partner come il Vietnam, il proprio impegno nella sicurezza di tutta l'area in caso di escalation dell'assertività cinese.

Blackbox

Centinaia di rifugiati in Germania sono "misteriosamente scomparsi" e le autorità locali hanno perso le traccia

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Nell'ultima, e più bizzarra, svolta nella crisi dei rifugiati in Europa, scrive Zero Hedge, almeno 700 dei circa 4.000 richiedenti asilo che erano stati inizialmente accolti dallo Stato tedesco della Bassa Sassonia sono "misteriosamente scomparsi", riporta Neue Osnabrücker Zeitung (NOZ).

Dato che molti dei profughi non erano stati ancora registrati, non si sa nulla su chi sono o dove possono essere andati. In un centro per rifugiati a Lingen, un membro locale del parlamento si è recato in visita sabato per scoprire che oltre la metà dei 212 profughi portati al centro l'avevano abbandonato.

I politici locali sono furiosi: Angelika Jahn, portavoce dell'Unione cristiano-democratica (CDU) per la Bassa Sassonia, ha descritto la situazione come
"inaccettabile", dicendo a NOZ che i profughi devono essere registrati immediatamente all'arrivo.
"A Freiberg in Sassonia domenica dei manifestanti hanno cercato di fermare i richiedenti asilo, impedendogli di raggiungere un centro per rifugiati".

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Polonia: una svolta nazionalista nell'Europa asservita ai dettami di Bruxelles

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Il partito nazionalista di "Diritto e Giustizia" ha segnato una vittoria clamorosa, in Polonia, ed ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo Parlamento. Si tratta del fronte dei conservatori nazionalisti, euroscettici e cattolici. Questo partito, in quelle che erano elezioni politiche nazionali di ieri, ha ottenuto il 39% circa dei sondaggi (secondo le proiezioni ), ottenendo quindi un premio di maggioranza che gli farà assegnare almeno 238 seggi sui 460 che compongono il "Sejm", la Camera Bassa. Per i liberali europeisti di Piattaforma Civica (Po), che sosono stati al governo per molti anni (otto anni circa) , la sconfitta risulta maggiore anche rispetto a quanto ventilavano i sondaggi. Il partito dell'ex premier e attuale presidente del Consiglio Europeo Ue Donald Tusk, "Piattaforma", si è fermato al 23,4% dei voti, ottenendo 135 seggi e sarà assolutamente ininfluente nella nuova assemblea dominata dai nazionalconservatori.

Al terzo posto si è piazzata la formazione del cantante rock 'anti-sistema' Pawel Kukiz, anche lui di posizioni nazionaliste, una specie di "Grillo di destra", con 44 seggi. Poi a seguire Nowocczesna (Moderni) di orientamento liberale, con 24 deputati e il partito dei contadini Psl con 18 seggi. Nettamente sconfitte tutte le formazioni di sinistra, filo europeiste, nessuna delle quali è riuscita ad entrare nel nuovo Parlamento. Un dura sconfitta per gli esponenti del "Fronte della Sinistra Unita" che radunava quasi tutte le formazioni (similari al Pd e SEL italiani), nettamente bocciati dagli elettori polacchi. Anche la partecipazione alle urne è stata buona in un paese in cui non si riscontra quasi mai una percentuale più alta del 45% degli elettori.

Questa vittoria dei nazionalisti segna una svolta nella politica filo europeista, fino ad oggi tenutasi in Polonia, politica che viene oggi fortemente contestata da una buona parte dell'elettorato polacco che non sopporta più le direttive invadenti della UE e, con questa vittoria dei nazionalisti, vengono stravolti i vecchi equilibri nella cosiddetta Nuova Europa, il Centro-Est dell'Ue di cui la Polonia è l'indiscusso peso massimo, con conseguenze inevitabili anche a Bruxelles.

Nonostante che il paese (che non ha l'euro) sia ancora in crescita economica, nell'opinione pubblica polacca si è sviluppata una forte insofferenza nei confronti delle politiche praticate da Bruxelles, la politica migratoria in particolare, l'ingerenza nelle questione economiche e sociali (previdenzae welfare), nonchè la sottomissione totale delle politiche europee che favoriscono gli interessi delle grandi banche, della grande finanza e dell'industria tedesca.