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mer, 07 giu 2023
Il Mondo per Coloro che Pensano

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Perché Putin è l'uomo più potente del mondo per il terzo anno consecutivo

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© l'antidiplomatico.it
Finirà che prima o poi dovranno chiamarlo "Premio Putin". Sì, perché il presidente russo, per la terza volta consecutiva, si conferma l'uomo più potente del mondo. Ieri la rivista Forbes ha reso nota l'annuale classifica che misura l'importanza e l'influenza dei leader mondiali attraverso quattro criteri: la portata, l'uso del potere politico, l'influenza e le risorse finanziarie. Dietro il leader del Cremlino si sono posizionati la cancelliera tedesca Angela Merkel, vero motore politico dell'Europa unita, il presidente Usa Barack Obama, sempre più in caduta libera, Papa Francesco, ormai fisso nella top five, e il presidente cinese Xi Jinping.

«Il presidente della Russia - ha scritto Forbes - continua a dimostrare di essere uno dei pochi uomini al mondo abbastanza potente da fare ciò che vuole e a farla franca. Le sanzioni internazionali poste in essere dopo l'annessione della Crimea e lo scoppio della guerra in Ucraina hanno deprezzato il Rublo e guidato la Russia verso una profonda recessione, ma non hanno fatto male a Putin nemmeno un po'». La politica Usa delle sanzioni, dunque, ha totalmente fallito ed ora anche i media occidentali iniziano ad accorgersi di questo.

Un recente sondaggio diffuso dall'istituto demoscopico russo VTsIOM nelle scorse settimane, del quale L'Antidiplomatico aveva già parlato, ha dimostrato che il consenso del presidente russo in patria ha raggiunto livelli senza precedenti, segnando il record dell'89,9%. Ma cosa si nasconde dietro il successo del presidente russo. Su questo si è scritto molto nelle scorse settimane. Diversi analisti hanno provato a dare la propria opinione in maniera distaccata rispetto al fascino calamitante di Putin, arrivando a diverse conclusioni.

Quenelle

Un membro del Congresso Usa denuncia la doppia morale degli Stati Uniti nei confronti della Russia

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© l'antidiplomatico.it
"I russi dovevano essere nostri amici, li abbiamo trattati con ostilità"
La demonizzazione, il doppio standard applicato dagli Stati Uniti alla Russia e il rifiuto di cooperare con il presidente russo in Medio Oriente e in altre aree di conflitto hanno notevolmente peggiorato la situazione, sostiene Dana Rohrabacher, un membro repubblicano del Congresso.

Rohrabacher ha protestato per la mancanza di cooperazione di Washington con il Cremlino, in particolare sulla questione della Siria e del Medio Oriente.

In una riunione sulla politica estera tenuta mercoledì 4 novembre al Congresso degli Stati Uniti, ha detto che
"la doppia morale con cui giudichiamo la Russia, su cui basiamo la nostra politica, ci ha causato gravi danni."
"Se avessimo sempre lavorato con i russi in buona fede, credo che la situazione in Medio Oriente sarebbe stata completamente diversa, e migliore, più stabile."

Commenta: Questo è il secondo politico statunitense che ha "osato" a criticare la politica estera statunitense in Siria e Russia. E possibile che stiamo osservando dei cambiamenti sul palcoscenico politico globale, dove anche quelli che lavorano per il governo Americano si decidono di opporre resistenza denunciando la propaganda, le menzogne e la brutalità dell'Impero Americano?




War Whore

Incomincia l'invasione americana della Siria

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Come avevamo già messo in guardia nel giugno 2015, gli Stati Uniti hanno annunciato ufficialmente che inizieranno le operazioni terrestri in Siria utilizzando le Forze Speciali. Il Washington Post nel suo articolo "Obama tenta di intensificare le operazioni in Siria con le truppe per le operazioni speciali" riporta che:
Il presidente Obama sta inviando un piccolo contingente di Forze Speciali nel nord della Siria, attuando così il primo effettivo dispiegamento di truppe degli Stati Uniti in quel caotico paese. La missione mostra un cambiamento profondo nella strategia di Obama, la cui determinazione nello sconfiggere lo Stato Islamico in Iraq è sempre stata controbilanciata dalla costante preoccupazione di non consentire un coinvolgimento troppo marcato delle truppe statunitensi nell'irrisolvibile conflitto siriano. Gli ultimi sviluppi coinvolgeranno meno di 50 istruttori delle Forze Speciali che opereranno con i gruppi della resistenza che combattono lo Stato Islamico nel nord della Siria, ma, secondo i funzionari dell'amministrazione Obama, non saranno coinvolti in combattimenti diretti.


L'ingresso delle Forze Speciali in Siria è solo l'inizio


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© neweasternoutlook.com
Se da una parte gli Stati Uniti asseriscono che questa mossa serve a "sconfiggere lo Stato Islamico (ISIS)", dall'altra questa è invece una chiara manovra per instaurare in Siria le tanto agognate zone "tampone" o "di sicurezza", dove al governo siriano sarebbe impedita ogni operazione. Sicuramente, per dare copertura a queste Forze Speciali verrebbe usata anche la forza aerea degli Stati Uniti, creando, nelle aree in cui essi sarebbero operativi, una zona di non sorvolo a tutti gli effetti.

La mappa che accompagna l'articolo del Washington Post mostra chiaramente come il territorio dell'ISIS comprenda a malapena l'ultimo corridoio utile per far arrivare i rifornimenti a questo gruppo terroristico (e anche ad altri, compresi al-Qaeda e al-Nusra) dal territorio della Turchia, paese membro della NATO. E' molto probabile che le Forze Speciali americane comincino le operazioni in queste aree e nelle zone che verranno liberate in seguito, man mano che l'operazione americana si espande.

Il probabile risultato, se queste operazioni avranno successo, sarà la divisione e la distruzione della Siria come stato-nazione. Questa è qualcosa di più di una semplice ipotesi, è una conclusione ricavata da documenti politici, datati e firmati, del Brookings Institution, che aveva chiesto l'istituzione di queste zone fin dall'inizio del 2012, anche se con altri pretesti artificiosi.

USA

White House Down + Olympus has fallen

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© twistedsifter.com
Per capire la ferocia dello scontro in atto tra i burattini della fazione neocon (Ashton Carter, Victoria Nuland, Susan Rice, Samantha Power) e quelli della fazione realista (Kerry, Obama e, forse, in futuro, Hillary Clinton) bisogna tornare indietro a tre esternazioni risalenti al 2008, in piena campagna elettorale per quelle presidenziali americane che hanno portato alla vittoria il primo candidato meticcio della storia americana, Barack H. Obama.

La crisi siriana, quella ucraina, ISIS e la crisi del Mar della Cina meridionale vanno tutte lette alla luce di queste dichiarazioni, che mostrano come i realisti sapessero molto bene che i neocon-sionisti avrebbero cercato di destabilizzare gli USA per radicalizzarli verso derive fasciste, ossia in direzione di una terza guerra mondiale in difesa dell'unipolarismo.

La prima è di Joe Biden, attuale vice-presidente:
"non passeranno sei mesi prima che il mondo metta alla prova Barack Obama come fece con John Kennedy (riferimento alla crisi dei missili di Cuba, NdR)... Ricordate quel che vi ho detto ora, se anche non ricorderete nessun'altra delle cose che ho detto. Badate, stiamo per avere una crisi internazionale, una crisi provocata (generated), per mettere alla prova la stoffa di quest'uomo...vi assicuro che succederà...e non sarà chiaro fin da subito che abbiamo ragione" (20 ottobre, 2008).
La seconda è di Colin Powell, segretario di stato nella prima amministrazione Bush (20 ottobre, 2008):
"I problemi resteranno sul tavolo e ci sarà una crisi, una crisi che arriverà il 21, 22 gennaio, la cui natura non ci è ancora chiara. Quindi penso che quello che il Presidente dovrà fare è iniziare a utilizzare il potere presidenziale e la forza della sua personalità per convincere il popolo americano e convincere il mondo che l'America è solida, che l'America andrà avanti, che risolveremo i nostri problemi economici e che rispetteremo i nostri obblighi con le altre nazioni".

Vader

Telegraph: i federalisti europei finanziati dalla spionaggio USA

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© america.aljazeera.com
In questo vecchio articolo del 2000 del Telegraph, a firma di un giovane Ambrose Evans Pritchard, veniva portato in superficie quanto è sempre più evidente nella crisi europea: l'Unione Europea è fin dall'origine, nell'immediato dopoguerra, un progetto pensato, finanziato e diretto dagli USA per creare un'Europa politicamente ed economicamente vassalla. All'epoca questo progetto serviva a cementare l'Europa occidentale nella sfera d'influenza americana minacciata dal comunismo sovietico; oggi è usato come grimaldello per esportare le politiche economiche e sociali USA in Europa in modo da accelerarne la "statiunitizzazione" in attesa della ratifica del TTIP.

di Ambrose Evans Pritchard, 19 settembre 2000

Documenti governativi americani declassificati mostrano che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta hanno condotto una campagna per creare lo slancio verso l'Europa unita. Hanno finanziato e diretto il movimento federalista europeo. I documenti confermano i sospetti espressi all'epoca, secondo i quali l'America stava lavorando aggressivamente dietro le quinte per spingere la Gran Bretagna in uno Stato Europeo. Un memorandum, datato 26 luglio 1950, fornisce le istruzioni per una campagna finalizzata a promuovere un Parlamento Europeo a pieno titolo. È firmato dal generale William J. Donovan, capo del servizio segreto americano in epoca bellica Office of Strategic Studies (OSS) [Ufficio di Studi Strategici, NdT], precursore della CIA.

I documenti sono stati trovati da Joshua Paul, un ricercatore presso la Georgetown University di Washington. Essi comprendono i dossier rilasciati dai National Archives degli USA [Archivi Nazionali, NdT]. Il principale strumento di Washington per definire l'agenda europea è stato l'American Committee for a United Europe (ACUE) [Comitato americano per un'Europa unita, NdT], creato nel 1948. Il presidente era Donovan, che allora era apparentemente un avvocato privato.

Newspaper

Crisi in Moldavia: è caduto il Governo pro-UE

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© vocidallestero.it
Si apre un nuovo fronte nella crisi dell'eurozona: anche la Moldavia volta le spalle ai partiti pro-UE. Mentre la UE è spesso - come in Ucraina - spacciata per un rimedio contro la corruzione, la realtà è esattamente opposta: l'ex primo ministro pro-UE è infatti accusato di aver favorito una frode ai danni dello stato pari addirittura al 20% dell'intero PIL del paese. Alla luce degli avvenimenti, i Moldavi sono scesi in piazza e preteso le dimissioni dell'attuale governo - in continuità con l'ex primo ministro. Il governo è stato sfiduciato grazie al cambio di rotta del partito comunista, che ha abbondonato i filo-UE e sembra volersi associare con i Socialisti, più inclini ad appoggiarsi alla Russia. Come tutti i tentativi precedenti, il nuovo "impero europeo" ha conosciuto un periodo favorevole in corrispondenza di un allargamento progressivo, ma ormai l'espansione sembra essersi arrestata su tutti i fronti. E quando un impero smette di espandersi, è vicino il momento del collasso.
Di Alexander Mercouris su Russia Insider, 30 ottobre 2015

Già a maggio Russia Insider aveva pubblicato un articolo sul fatto che il clima politico in Moldavia stava virando dai partiti pro-UE ai partiti filo-russi. Tale virata si sta ancora più intensificando dopo la decisione del Parlamento Moldavo di sfiduciare il governo pro-UE della Moldavia. Il voto è avvenuto a seguito di settimane di proteste dopo che alcuni dei leader politici moldavi pro-UE sono stati implicati in uno scandalo di corruzione. La cosa più eclatante è che uno dei principali leader politici pro-UE, l'ex primo ministro Vlad Filat, è stato arrestato dalla polizia un paio di settimane fa proprio nel palazzo del Parlamento Moldavo. Non appena si è diffusa la notizia degli scandali di corruzione, si sono sviluppate le proteste. Inizialmente sembrava che fossero condotte da gruppi pro-UE. Tuttavia nelle ultime settimane sembrano essere guidate dal grande Partito - filorusso - Socialista della Moldavia, che si ha avuto la maggioranza relativa alle elezioni dell'inizio di quest'anno.

Il crollo del governo è stato decretato dalla decisione dell'ex partito comunista al governo di ritirare il suo appoggio. Sembra che ora esso stia preparando un'alleanza con i Socialisti. Sembra che anche altri deputati indipendenti siano in procinto di passare all'opposizione. Non è possibile prevedere l'esito di quest'ultima crisi. È possibile che i partiti pro-UE cercheranno di impedire le elezioni mettendo insieme un altro governo. Ma senza l'appoggio dei comunisti è difficile che tale governo possa avere una maggioranza in Parlamento.

Arrow Down

La Turchia sceglie ancora Erdogan

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© newyorker.com
Elhamdülillah, Alleluia. Con questo twit di una sola parola il premier turco Ahmet Davutoglu commenta i risultati delle elezioni politiche che consegnano nelle mani del partito islamico di Recep Tayyip Erdogan la maggioranza assoluta.

Contro l'ottimismo delle opposizioni e i sondaggi che davano con il vento in poppa gli anti-Erdogan, in Turchia il sultano è risorto dalle ceneri rispetto a cinque mesi fa. Il suo partito potrà tornare a governare senza la necessità di alcun patto di coalizione con altre forze politiche. L'AKP viene premiato da un'affluenza che supera l'87% e guadagna oltre il 50% dei voti, ottenendo 315 seggi sui 550 dell'Assemblea nazionale. Il primo partito di opposizione, i socialdemocratici del CHP, si fermano al 25% e 134 seggi, mentre gli ultranazionalisti del MHP arrivano al 12%, con 41 seggi. Deludente il risultato del partito filo-curdo HDP, guidato da Selahattin Demirtas, che a giugno scorso aveva ottenuto un risultato storico (14%), mentre oggi si deve accontentare di aver passato di un soffio la soglia di sbarramento del 10%, conquistando 59 seggi.

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Istanbul. Il presidente turco Erdogan possa per un selfie con un gruppo di sostenitrici del suo partito (AKP)

USA

Ultima follia Usa: un piccolo contingente di truppe in Siria verrà inviato a sostegno dei "ribelli moderati". Reuters

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Come ampiamente annunciato nei giorni scorsi da l'AntiDiplomatico, gli Stati Uniti decidono di inviare un piccolo contingente di forze speciali statunitensi in una missione di "consiglio e assistenza" per i ribelli siriani che combattono contro i militanti islamici. Lo riporta Reuters citando funzionari statunitensi anonimi. Si attende un annuncio completo da parte del presidente Barack Obama a breve.

Obama in passato si era sempre rifiutato di inviare truppe americane in Siria, sostenendo che la coalizione guidata dagli Stati Uniti avrebbe sostenuto solo raid aerei. Ma la pressionde del Segretario di Stato Kerry e di quello della Difesa Carter è prevalso.

Per capire chi sono i "ribelli moderati" che gli Usa armeranno (Al-Nusra, Al-Qaeda):

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Come abbiamo documentato più volte, gli sforzi di armare e addestrare i "combattenti per la libertà" siriani si sono risolti in un fallimento.

Il tentativo del Pentagono di costituire "un esercito siriano" è iniziato a maggio con un comunicato stampa del tutto ridicolo che tentava di spiegare il processo di "selezione" dei ribelli. In estate, gli Stati Uniti erano riusciti a mettere in campo solo circa 60 combattenti. Nel mese di luglio sono stati attaccati da Al Qaeda che ha rapito il comandante del gruppo. A settembre, il generale Lloyd Austin ha ammesso al Congresso che solo "quattro o cinque" combattenti erano ancora attivi sul terreno. Il resto era stato ucciso, catturato o aveva disertato nell'ISIS.

Ora che la Russia è in procinto di cancellare tutto ciò che si presenta come un ribelle e ora che Hezbollah, l'IRGC, e le varie milizie sciite Teheran sono impegnate a marciare su tutto ciò che si presenta come un estremista sunnita, Washington tenta di rifornire questi "soldati per procura". Questo è assurdo per due motivi, i) gli Stati Uniti stanno dando armi a soldati che stanno cercando di uccidere i russi e gli iraniani, il che significa Washington sta letteralmente conducendo una guerra contro Mosca e Teheran, e ii) sta dando al Free Syrian Army le stesse armi anticarro da usare contro le stesse milizie sciite che Washington sostiene in Iraq (vale a dire che sono "alleati" in Iraq, e nemici in Siria).

Megaphone

La Libia quattro anni dopo la morte di Gheddafi

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Com'è la Libia senza il "dittatore" Gheddafi? Secondo tutti i punti di vista nella Libia del post-Colonnello si vive molto peggio che in passato e soprattutto la pace sembra lontana con un paese diviso tra bande armate e almeno tre poteri: quello di Tobruk, quello di Tripoli e quello delle bande islamiche. Strano, senza Gheddafi il destino dei libici non doveva essere roseo e democratico?

Esattamente quattro anni fa Muammar Gheddafi veniva linciato nei pressi di Sirte da una banda di "ribelli", quelli che giornalisti e media hanno cercato di farci passare per dei bravi ragazzi in blue jeans che, assetati di libertà e di occidente volevano eliminare il tiranno cattivo. A quattro anni dall'eliminazione fisica del Colonnello amico di Mandela però, la situazione in Libia è peggiorata piuttosto che migliorare e della democrazia non ve n'è traccia anche senza Gheddafi. Nessuno però ha la minima intenzione di fare mea culpa, nessuno ha intenzione di chiedere scusa per quello che è stato deciso in Libia, ovvero di distruggere dall'oggi al domani un governo legittimo per distruggere il paese e sostanzialmente scatenare il caos.

Evidentemente il caos è utile per coloro che hanno intenzione di mettere le mani sui giacimenti petroliferi e sulle ricchezze del Paese, ed è esattamente quello che è stato fatto. In un Paese diviso tra tre diversi poteri, Tripoli, Tobruk e Isis, gli unici che si mostrano volenterosi di combattere gli estremisti islamici, ovvero i membri del Parlamento di Tobruk, sono anche gli unici ad avere un embargo da parte dell'Occidente che gli impedisce di combattere materialmente l'Isis.

Ora si parla di prospettive di pace con Onu e Ue che vorrebbero sostenere il "Governo di Accordo Nazionale" libico nei primi 40 giorni di vita, ma intanto si è creato uno Stato fallito, l'ideale per gli appetiti dell'Isis che guardacaso si è diffuso in tutti quei paesi vittime dei disegni dell'Occidente: Libia, Siria, Iraq e Afghanistan.

Sarà un semplice caso? Secondo noi assolutamente no, e mentre l'Occidente si mette a posto la coscienza cercando di favorire la pace, è indubitabile che i terroristi islamici crescano nell'incertezza. E soprattutto, se è l'Europa che ha sostanzialmente voluto questo scenario per la Libia, perchè ora avrebbe interesse ad aiutare? Gheddafi aveva detto chiaramente che l'unica alternativa al suo governo sarebbe stato il caos e il terrorismo, ma probabilmente lo sapevano già tutti ed era esattamente quello che volevano ottenere eliminando il Colonnello e la Libia.

Commenta: Per saperne di più sulla distruzione micidiale della Libia e i massacri di massa dei suoi abitanti dagli Stati Uniti, UE e NATO consigliamo al lettore di leggere questo articolo(in inglese): NATO Slaughter: James and Joanne Moriarty expose the truth about what happened in Libya
o ascoltare la puntata SOTT Radio Show(in inglese) dove sono stati intervistati James & JoAnne Moriarty, testimoni oculari di ciò che è accaduto realmente in Libia durante la cosiddetta guerra civile scoppiata nel 2011: Behind the Headlines: Truth about Libya - Interview with James & JoAnne Moriarty


Vader

Caracas. Gli Stati Uniti cercano i soliti pretesti "umanitari" per intervenire in Venezuela

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Ministro Difesa: "L'impero americano" con il pretesto di "difendere i diritti umani e la libertà, mira a creare ancora una volta le condizioni necessarie per intervenire nel nostro paese
Il ministro della Difesa della Repubblica bolivariana del Venezuela, Vladimir Padrino López, respinge con "profonda indignazione" le dichiarazioni del responsabile del Comando Sud degli Stati Uniti, John Kelly, il quale aveva annunciato che Washington sarebbe potuta intervenire in Venezuela perché la nazione latinoamericana "è prossima all'implosione".

"L'impero americano" con il pretesto di "difendere i diritti umani e la libertà, mira a creare ancora una volta le condizioni necessarie per intervenire nel nostro paese, utilizzando come pretesto una possibile crisi umanitaria o un presunto crollo economico", ha dichiarato il Ministro venezuelano alla Padrino ha detto citato da Venezolana de Television.

In una recente intervista con la CNN, Kelly aveva detto di pregare ogni giorno per il Venezuela e di essere rimasto preoccupato per il paese sudamericano, con un'economia sull'orlo dell'implosione e un paese che potrebbe affrontare una crisi senza gli aiuti umanitari di emergenza da parte degli Stati Uniti.

Da parte sua, il presidente venezuelano Nicolas Maduro aveva dichiarato martedì che Washington sta "dando l'ordine di cercare di distruggere" la Repubblica Bolivariana e ha chiesto il sostegno dell'America Latina e dei Caraibi alle nuove minacce dell'"imperialismo americano". Rispetto alle dichiarazioni di Kelly, Maduro ha dichiarato che ci sono "segnali preoccupanti di disperazione negli ambienti di destra d'élite imperiale. Il migliore indicatore che siamo sulla strada giusta è la disperazione di coloro che odiano il Venezuela".