Maestri BurattinaiS


Vader

Erdogan ha superato di nuovo il limite

erdogan
© AP Photo/ Burhan Ozbilici
Per il NYT i peggiori timori dei partner occidentali di Ankara sono stati confermati dopo la vittoria del suo Partito alle elezioni parlamentari.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha nuovamente superato il limite menzionando nel suo colloquio con i giornalisti "La Germania di Hitler", cosa che non sorprende affatto, considerando la sua reputazione di leader autoritario, con l'abitudine di calpestare i diritti umani, la sovranità della legge, la libertà d'espressione e altre libertà politiche, ha scritto il New York Times.

"Da quando è arrivato al potere più di dieci anni fa, Erdogan ha usato i suoi poteri di primo ministro prima, e quelli di presidente poi, per soffocare i mass media, i sindacati e gli altri opponenti", ha evidenziato la testata.
"Gli alleati della Turchia, America ed Europa, hanno osservato in imbarazzante immobilità le brutalità dell'esercito turco, che ha colpito gli obiettivi curdi nel sud-est del paese", si legge nell'articolo. Le bombe sono cadute su decine di centri abitati e il risultato della campagna di guerra, dall'inizio del 2015, è stato l'uccisione di 3.100 ribelli curdi e un numero imprecisato di civili.
"Erdogan avrebbe potuto porre fine alla guerra e iniziare un processo di integrazione dei curdi nella politica turca, invece si è mosso nella direzione opposta, causando la radicalizzazione di un numero sempre più alto di persone, che ritengono che la violenza sia l'unico metodo per ottenere maggiore autonomia".

Inoltre, il presidente turco non ha dato la dovuta importanza alla lotta al Daesh, alimentando in questo modo la tensione nella regione, ha sottolineato il New York Times.
"Erdogan è estremamente lontano dai tempi in cui lo si poteva considerare uno stimato leader della democrazia a maggioranza musulmana e un affidabile partner nella regione", ha concluso il giornale americano.

Cult

Turchia, Erdogan comincia bene il 2016: cita la Germania di Hitler come buon sistema presidenziale

erdogan and hitler, his idol
© telegraph.co.uk


Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, che aspira a ottenere anche i poteri esecutivi, ha posto come esempio di un sistema presidenziale alla tedesca il dittatore nazista Adolf Hitler
. Lo riportano alcuni media turchi. Durante una conferenza stampa di ritorno dalla visita ufficiale in Arabia Saudita, alla domanda se un sistema presidenziale fosse possibile, mantenendo un modello unitario di Stato, Erdogan ha risposto che "ci sono esempi in tutto il mondo. E ci sono anche esempi nel passato, se si pensa alla Germania di Hitler, è possibile vederlo".

Obiettivo del presidente è quello di modificare l'attuale sistema parlamentare turco in presidenziale, come quelli di Stati Uniti, Francia e Russia. Erdogan, che ora ha un ruolo piuttosto formale e rappresentativo, ha sostenuto che un sistema presidenziale di "stile turco" garantirebbe il prendere decisioni più efficaci. Secondo il leader turco tutti i paesi più avanzati hanno sistemi presidenziali, nonostante alcuni critici abbiano fatto presente che la più grande economia europea, la Germania, è governata da un sistema parlamentare.

Il partito islamico fondato da Erdogan, l'AKP, aspira ad approvare una nuova costituzione dopo aver vinto con la maggioranza assoluta nelle elezioni legislative dello scorso novembre. Anche l'opposizione concorda sulla necessità di una nuova Costituzione - quella attuale è stata approvata nel 1982, durante la dittatura militare - ma è contraria alla creazione di un sistema presidenziale per paura che Erdogan assuma troppo potere.

Bad Guys

La Trimurti del terrore: Israele, Turchia e Arabia Saudita

arabia saudita=ISIS
© independent.co.uk
"Se insisti a concedere scuse, finisci col dare la tua benedizione al campo degli schiavi, alle forze della codardia, a giustizieri organizzati, al cinismo dei grandi mostri politici. Alla fine consegni i tuoi fratelli". (Albert Camus)
"Stati conquistati abituati alla libertà e al governo delle proprie leggi possono essere dominati dal conquistatore in tre modi diversi. Il primo, è distruggerli; il secondo è che il conquistatore ci vada e vi risieda personalmente; il terzo è di consentirgli di continuare sotto le proprie leggi, assoggettati ai tributi e di crearvi un governo dei pochi che mantengano l'amicizia con il conquistatore". (Nicolò Machiavelli)


La trimurti del terrore in Medioriente, Israele-Turchia-Arabia Saudita, sta alla triplice del dominio mondiale, USA, UE, sionismo
, come il papa sta alla SS Trinità. Nella strategia, la prima obbedisce alla seconda, nella tattica ogni tanto ne diverge. Quello che sta succedendo in questi giorni in Medioriente va inquadrato nella prima ipotesi, o nella seconda? Questo è il problema. A loro volta le due triadi sono gli strumenti del Grande Inganno Planetario, noto anche come Dollaro, l'entità suprema che, nel nostro piccolo, negli anni '70 delle stragi e del terrorismo di Stato, avevamo definito il Grande Vecchio. Il cataclisma innescato dai mostriciattoli di Riyad e che minaccia l'apocalisse rispetto alla quale quella di San Giovanni potrebbe sembrarci una scaramuccia, è iniziativa propria, autoctona, o esegue un mandato superiore? Ce lo diranno gli sviluppi.

Intanto atteniamoci ai fatti sul terreno. La decapitazione e crocefissione del massimo clerico scita in Arabia Saudita, insieme a quella di altri oppositori della petrodittatura, fatti passare per Al Qaida che, poi, paradossalmente, è una creatura spurgata dal grembo tossico dello stesso regno in concorso con Cia e Mossad, è in prima istanza un'operazione diretta a sventare il poker d'assi calato sul campo da Putin. Il progetto di riordino del Medioriente, formulato dall'israeliano Oded Yinon nel 1981 per sventare la minaccia di una Nazione Araba che, riunendo i vari Stati liberatisi dal colonialismo, ponesse sulla scena mondiale un nuovo, formidabile attore, dotato di numeri, volontà, petrolio e paradigma sociale alternativo, risponde certamente agli obiettivi comuni dei soggetti sopra elencati. E' sul metodo che divergono. Se sia meglio il fosforo bianco che incenerisce subito, o l'uranio che uccide nel tempo.

Cuba e Iran, come affrontati da Obama nella fase terminale del suo mandato, rappresentano il metodo soft, quello in cui certi poteri economici si ripromettono il dominio globale attraverso la corruzione e l'addomesticamento di avversari gradualmente omologati al proprio modello. Israele, Arabia Saudita, Turchia e altri poteri economici USA-UE, come il complesso militarindustriale, di cui sono espressione politica i neocon (Hillary compresa), puntano all'annientamento tout court. Nel loro caso prevale anche un'altra considerazione: l'urgente necessità di liquidare un dissenso interno gravido di potenziale insurrezionale: palestinesi qua e oppositori interni là. Come anche di superare una crescente crisi economica. La soluzione di questa è vista nel controllo del petrolio tutto, ovunque si trovi, sangue che fa battere il cuore del capitalismo imperialista. Alla faccia della farsa allestita a Parigi, con i fuochi fatui del COP21, e della stessa sopravvivenza di tutti quanti (tanto, per i furbi della negazione del mutamento climatico, il rischio non esiste e, se esistesse, lo superano i miracoli tecnologici delle geo-ingegneria).

Perché la riduzione forzata del prezzo del petrolio, se era diretta inizialmente a sfiancare protagonisti energetici concorrenti, come Russia, Iran e Venezuela, a lungo andare ha minato anche la tenuta sociale, economica e dunque politica, di chi l'ha promossa. Ed ecco che chi molto petrolio ce l'ha, come i sauditi e annessi subalterni del Golfo, chi non ne ha, ma se lo fa pompare dai vassalli curdi, nel caso di Turchia e Israele, ha preso l'abbrivio ed è partito alla conquista del resto. Grazie all'Isis, forse oggi più saudita-turco-israeliano che statunitense (gli Usa vantano l'autosufficienza energetica), in Iraq, secondo detentore mondiale di riserve, Libia, terzo, e Siria, produttore minore, ma strategicamente irrinunciabile per le vie del petrolio, le cose si stavano mettendo bene. Prima che arrivassero i russi .

Light Sabers

I sauditi rischiano di fallire, per questo cercano la guerra

arabia saudita fumetto
E' fuor di dubbio che sia di Riad la responsabilità della gravissima crisi con l'Iran. Quando si annuncia l'esecuzione in un sol giorno di 47 persone, diverse delle quali sciite, tra cui un imam reo soltanto di aver promosso una manifestazione di protesta, non sono necessarie analisi sofisticate per capire che si tratta di una provocazione deliberata. Ma a quali fini?

Facciamo un passo indietro. L'Arabia Saudita è da sempre in cima alla lista nera dei Paesi che violano i diritti umani, ma ha sempre beneficiato di uno statuto speciale da parte degli Stati Uniti e di conseguenza dei loro alleati. La ragione la conosciamo tutti: è il principale produttore di petrolio al mondo. Ed è più che valida per indurre Washington a chiudere per quarant'anni entrambi gli occhi.

Negli ultimi due anni, però, il quadro è cambiato. Lo sfruttamento del cosiddetto shale oil, l'olio di scisto, di cui l'America è ricca, ha reso meno importante il regime saudita. I prezzi del greggio hanno iniziato a scendere e Riad ha reagito tentando il tutto per tutto: siccome i giacimenti di shale oil sono redditizi solo oltre un certo prezzo al barile, il regime saudita anziché tentare di contrastare la caduta dei prezzi con il taglio della produzione, come sarebbe stato logico, ha percorso la via inversa: l'ha aumentata nella speranza di far fallire i produttori americani. Scommessa in buona parte persa per ragioni mai esplicitate ufficialmente ma che sono facilmente intuibili: quello dell'olio di scisto, sebbene molto inquinante, ha un valore strategico per il governo degli Stati Uniti che ha fatto e farà di tutto per non vanificarlo.

A tremare finanziariamente, invece, ora è proprio Riad, dove quest'anno è esploso il deficit pubblico e che vede compromessa a medio termine la propria stabilità economica. Un gigante che appariva incrollabile ora scopre di essere strutturalmente fragile e teme per il proprio avvenire. L'Iran cosa c'entra? C'entra, c'entra. Perché i sauditi sono sunniti e loro sciiti in un dissenso paragonabile, per intenderci, a quello che a lungo ha opposto cattolici e protestanti in Europa. Ma soprattutto perché l'Iran proprio quest'anno è stato sdoganato dagli Stati Uniti, grazie allo storico accordo sul nucleare.

Quegli Usa che, però, assieme ai sauditi, ai turchi e agli Emirati fino a ieri hanno armato e finanziato l'Isis nel tentativo di rovesciare Assad ovvero il leader di un Paese da sempre amico proprio di Teheran. La fine delle sanzioni ha peraltro spinto ulteriormente al ribasso il prezzo del petrolio, accentuando le difficoltà dell'Arabia Saudita. Aggiungete il fatto che Riad ha speso cifre enormi in armamenti e la criticità della situazione apparirà evidente.

Riad sta fallendo su tutti i fronti. L'offensiva lanciata nello Yemen contro gruppi sciiti vicini a Teheran e che ha provocato una guerra terribile ignorata dall'Occidente, non ha dato i risultati sperati. Da quando Putin ha cominciato a bombardare massicciamente, l'Isis ha perso terreno e tutti hanno capito che Assad resterà al potere ancora a lungo. E' così svanito il sogno dei sauditi di creare uno Stato Islamico a nord (nell'area tra Siria e Iraq), che avrebbe dovuto chiudere a tenaglia l'Iran. La Russia appare più forte, l'America, in un anno elettorale, più debole mentre il prezzo del petrolio continua calare.

I governanti della Casa Regnante non brillano certo per acume strategico: per quanto ricchi restano dai capi tribali imbevuti di fanatismo religioso. Il timore è che abbiano scelto la via peggiore per tentare di uscire dai guai: quella di approfittare della propria supremazia militare per provocare una guerra con l'Iran che faccia salire il prezzo del petrolio e che si concluda con il dominio sunnita anche a Teheran e, di conseguenza, a Bagdad. Un delirio, che pone l'Occidente di fronte alle proprie responsabilità storiche. Un delirio da fermare ad ogni costo.



Fonte
: blog.ilgiornale.it

Heart - Black

Heil mein NATO! Ucraina 'vivaio' del rinascente nazismo in Europa

neonazisti ucraini
La roadmap per la cooperazione tecnico-militare Nato-Ucraina, firmata in dicembre, integra ormai a tutti gli effetti le forze armate e l'industria bellica di Kiev in quelle dell'Alleanza a guida Usa. Manca solo l'entrata formale dell'Ucraina nella Nato. Il presidente Poroshenko ha annunciato a tal fine un «referendum» in data da definire, preannunciando una netta vittoria dei «sì» in base a un «sondaggio» già effettuato. Da parte sua la Nato garantisce che l'Ucraina, «uno dei partner più solidi dell'Alleanza», è «fermamente impegnata a realizzare la democrazia e la legalità».

I fatti parlano chiaro. L'Ucraina di Poroshenko - l'oligarca arricchitosi col saccheggio delle proprietà statali, del quale il premier Renzi loda la «saggia leadership» - ha decretato per legge in dicembre la messa al bando del Partito comunista d'Ucraina, accusato di «incitamento all'odio etnico e violazione dei diritti umani e delle libertà».

Vengono proibiti per legge gli stessi simboli comunisti: cantare l'Internazionale comporta una pena di 5-10 anni di reclusione. È l'atto finale di una campagna persecutoria analoga a quelle che segnarono l'avvento del fascismo in Italia e del nazismo in Germania. Sedi di partito distrutte, dirigenti linciati, giornalisti seviziati e assassinati, attivisti bruciati vivi nella Camera del Lavoro di Odessa, inermi civili massacrati a Mariupol, bombardati col fosforo bianco a Slaviansk, Lugansk, Donetsk. Un vero e proprio colpo di stato sotto regia Usa/Nato, col fine strategico di provocare in Europa una nuova guerra fredda per colpire e isolare la Russia e rafforzare, allo stesso tempo, l'influenza e la presenza militare degli Stati uniti in Europa.

Bizarro Earth

Il Meglio del Web: Quali effetti avrebbe una guerra Sauditi contro Iran? - Trascrizione e Video

USAID ISIS

Fonti militari russe, calcolano che in caso di conflitto, l'Iran sarebbe in grado di colpire, con missili, la gran parte dei pozzi petroliferi sauditi, che si trovano vicino alle coste del Golfo Persico, mettendo così in ginocchio le capacità produttive di Riyad. I sauditi dovrebbero inoltre trasferire le loro forze aeree verso le aree occidentali del paese, per sottrarle al pericolo di subire la stessa sorte, diminuendo così la capacità di risposta aerea e di ritorsione sui pozzi petroliferi iraniani. In sostanza, rilevano le stesse fonti, la navigazione delle petroliere lungo tutto il Golfo si trasformerebbe in un'impresa ad altissimo rischio. Non si dimentichi che una grossa quota dei rifornimenti petroliferi cinesi passa per quella via. Gli effetti sul prezzo del greggio sarebbero rilevanti in caso di conflitto prolungato, tali da provocare una grave crisi energetica internazionale.

Arabia Saudita e Turchia rafforzano i legami e chiamano a rapporto le monarchie del Golfo

Dopo Arabia Saudita, Bahrein e Sudan, anche il Kuwait ha richiamato il suo ambasciatore a Teheran. l'Iran risponde sprezzante: la rottura delle relazioni diplomatiche con questi paesi vassalli non avrà alcun effetto. Viceversa, secondo il portavoce del governo iraniano, sarà l'Arabia Saudita a patirne le conseguenze. Intanto il Consiglio di cooperazione degli stati arabi del Golfo ha convocato una riunione straordinaria, sabato a Riyad, a cui parteciperanno tutte le monarchie del Golfo mentre Arabia Saudita e Turchia hanno creato un Consiglio di cooperazione strategica. L'alleanza militare, oltre che economica tra Ankara e Riyad diventa sempre più forte; l'offerta turca di mediazione con l'Iran non può avere alcun risultato.

Black Cat

Il mistero dell'ex leader neonazista ucraino: il suo nome sparito dall'elenco dei ricercati Interpol

Yarosh
Sulla testa di Yarosh pendeva un mandato di cattura internazionale per aver incitato “al terrorismo attraverso l’uso dei mass media”


E' stato uno dei motori di Maidan, quell'insieme di proteste che hanno portato alla caduta di Viktor Yanukovich
. Poi è andato a combattere nell'est contro "l'aggressore russo", rimediando anche qualche ferita. E quando Petro Poroshenko lo ha chiamato come consigliere militare al ministero della Difesa, lui non ha certo rifiutato. Dmitro Yarosh, 44 anni, deputato in Rada eletto nel collegio di Dnepropetrovsk, ex leader del Pravij Sektor, movimento ultranazionalista e neonazista ucraino, è l'uomo attorno al quale in queste ore si sta consumando un giallo.

interpol


Il suo nome, infatti, è scomparso dall'elenco dei ricercati sul sito dell'Interpol, come denunciato qualche giorno fa dall'agenzia di stampa russa Tass
. Cercando il suo nome sul motore di ricerca interno, si arriva a una pagina che non contiene alcuna informazione. Fino a qualche settimana fa, come si può ben vedere dalla foto in allegato, la scheda di Yarosh era chiaramente visibile. Sulla sua testa pendeva un mandato di cattura internazionale spiccato dalla Procura generale della Federazione Russa per aver incitato "al terrorismo attraverso l'uso dei mass media". Al momento dall'Interpol nessuno ha voluto commentare la vicenda.

Lo scorso novembre Yarosh si era dimesso da leader del Settore destro ucraino, parlando di contrasti con l'attuale missione del movimento e annunciando la creazione di un nuovo soggetto politico guidato da lui. «Noi siamo all'opposizione di questo governo - ha detto qualche settimana fa - ma non prevediamo alcuna rivolta sanguinosa contro di esso. E' per questo che assieme ai miei collaboratori esco dal Pravij Sektor. Avvieremo la costituzione di un nuovo moviment. Il congresso fondativo è previsto per febbraio». Difficile per ora dire se la sua uscita dal Pravij Sektor e la scomparsa dagli elenchi Interpol siano solo pure coincidenze o fatti collegati.

Secondo Rostislav Ishchenko, analista politico russo, interpellato da Vesti qualche giorno fa, Yarosh si è dimesso da capo del Settore Destro per salvare la propria vita. «Lui, come un uomo intelligente, cerca di scappare da questa casa fatiscente per sfuggire alle proprie responsabilità, che verranno a galla nel momento in cui tutti saranno catturati, processati e impiccati».

Intanto, è diventata operativa l'area di libero scambio tra Unione europea e Ucraina, sancita dall'accordo di associazione firmato sei mesi fra. Per il commissario al Commercio europeo, Cecilia Malmstrom, si tratta «di una opportunità unica per stabilizzare e sviluppare l'economia Ucraina». L'Ucraina riceverà accesso preferenziale al più ampio mercato del mondo (500 milioni di consumatori nella Ue), mentre le imprese europee potranno avere un accesso più facile al mercato ucraino. Le esportazioni Ue verso l'Ucraina ammontavano nel 2014 a 17 miliardi di euro. Secondo alcuni studi l'attuazione dell'accordo aggiungerebbe a medio termine il 6% al pil ucraino.

Cult

Renzi, l'Apprendista Stregone, scelto per la "Guerra al Terrore" in Libia

renzi


Scrive oggi il Mirror che l'Italia guiderà in Libia un contingente di truppe scelte. L'operazione coinvolgerà 6 mila soldati, tra marine Usa e truppe europee.


6.000 soldati, tra marine americani e truppe europee costituiranno la forza di intervento, a guida italiana, chiamata ad intervenire militarmente in Libia per sconfiggere le forze del terrore.

Una notizia che - se confermata - dovrebbe suscitare l'indignazione di tutti noi. A progettare l'ennesima aggressione militare sono gli stessi Paesi che bombardando a tappeto la Libia nel 2011, a sostegno di milizie di matrice fondamentalista per rovesciare il regime di Gheddafi, hanno portato caos, disintegrato la sovranità e l'integrità territoriale del Paese nordafricano e - come se non bastasse - posto le basi per la nascita di avamposti del terrorismo.

Un motivo in più per chiedere l'uscita dell'Italia dalla Nato e dall'Alleanza atlantica; un motivo in più per opporsi ad una revisione della nostra costituzione repubblicana che consegnerà ad una minoranza il diritto di portare il Paese in guerra!

Chess

La Russia in Siria, a che pro? E perché?

aereo militare
© Sputnik. Dmitry Vinogradov
Zinoviev Club, Iskander Valitov

Per la nostra presenza in Siria abbiamo bisogno di un fondamento ideologico, non soltanto giuridico. Dobbiamo operare come agenti di un ordine mondiale nuovo e alternativo, agire in modo chiaro e trasparente, sostiene il membro del club Zinoviev Iskander Valitov.

L'operazione in Siria non si esaurisce solo nel neutralizzare la minaccia alla nostra sicurezza nei confini più lontani, nel proteggere un alleato e nel perseguire i nostri interessi. È qualcosa di molto più serio: noi stiamo instaurando un ordine mondiale nuovo.

Dove si sono spinti

Condoleeza Rice (ex segretario di Stato USA) e Robert Gates (ex segretario della Difesa USA) hanno pubblicato sul Washington Post un articolo in cui promuovono un'idea innovativa e molto moderna: la Russia si è inserita nella faccenda siriana perché soffre del complesso della grande potenza. Putin, blandendo una popolazione addormentata dalla propaganda, stabilizza una pesante situazione interna con le vittorie in politica estera. I due autori esortano a non credere in nessun caso che noi si voglia la pace in Medio Oriente e propongono di "controbilanciare" senza indugio la nostra presenza laggiù con un sostegno attivo alle forze che si contrappongono a noi.

Di recente Zbigniew Brzezinski è stato anche più determinato: la Russia sta attaccando i privilegi degli USA in Siria. Di fatto Brzezinski ammette che lo "Stato Islamico" e gli altri banditi in Siria sono strumenti americani e che noi ci stiamo insidiando con le nostre azioni direttamente nelle proprietà USA: perciò gli Stati Uniti devono rispondere.

Dobbiamo di conseguenza ammettere di esserci davvero messi di traverso sulla loro strada. Nei prossimi piani degli USA vi sono il depredare e il deindustrializzare l'Europa nella cornice del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti. I reclami verso la Volkswagen sono solo un primo segnale. Davanti abbiamo straordinarie innovazioni di portata storica, come ad esempio dei tassi negativi notevoli uniti all'eliminazione del denaro contante. Ma questo è riservato ai Paesi sviluppati, mentre per quelli non sviluppati c'è un semplice svuotamento dei conti (vedi Cipro).

Ci attende il deprezzamento di tutti i valori attivi di carattere industriale con relativa loro incetta da parte di chi ha accesso alla stampatrice del Federal Riserve. E poi naturalmente vi sarà l'iperinflazione, per coloro che saranno rimasti al contante. La realizzazione di questi piani presuppone lo smantellamento e la liquidazione degli Stati e di qualunque altro istituto di pensiero e volontà sovrani.

Non si asterranno dall'idea dello sfruttamento. Non si asterranno nemmeno dall'intervento armato, dalle rivoluzioni, dai colpi di Stato, dagli assassini, dal piazzare i propri agenti nei punti chiave, dal corrompere tutti i personaggi importanti, dal lavaggio del cervello, dalla disgregazione etica e morale della popolazione, dall'adescare quest'ultima, dal sostenere i terroristi di ogni colore, i ribelli di qualunque tipo, gli eserciti privati e così via. Non rinunceranno alla loro posizione nella guerra globale permanente. Non rinunceranno a far sì che ognuno dipenda completamente da loro sul piano sanitario, farmaceutico e finanziario. Non rinunceranno all'obiettivo del controllo operativo totale sulle emozioni, sui pensieri, sul comportamento sia delle singole persone che di popoli interi.

Bad Guys

Crollo dei bond, la Soluzione Finale di Schäuble per piegarci

Merkel and gang


Un piano tedesco per riformare l'Eurozona con un meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani. Obiettivo, impedire qualsiasi forma di condivisione dei rischi tra i paesi dell'Eurozona, confinando i costi dell'instabilità finanziaria e fiscale il più possibile all'interno dei paesi più deboli.
Autore del piano, il "venerabile" Wolfgang Schäuble, super-massone e cervello del governo Merkel.

Berlino «sembra aver perso fiducia verso qualsiasi forma di governance centralizzata», scrive Carlo Bastasin sul "Sole 24 Ore", e ora penserebbe solo a tutelare i tedeschi. Il piano è descritto in una lettera inviata a fine novembre dal ministro delle finanze al capo della Commissione Finanza e Bilancio del Parlamento tedesco.

La lettera, non pubblicata, prescrive un meccanismo automatico di ristrutturazione del debito pubblico per qualsiasi paese europeo che richieda assistenza finanziaria. Una volta chiesto "l'aiuto" del Mes, o Esm, «i tempi di scadenza dei titoli pubblici saranno automaticamente prolungati, riducendo il valore di mercato di questi titoli e provocando gravi perdite a chi li detiene».

Il meccanismo, continua Bastasin nell'articolo, ripreso dal blog "Vox Populi", trasformerebbe i titoli pubblici dell'Eurozona in asset finanziari rischiosi. «E questo è anche l'obiettivo di un'altra proposta del governo tedesco, che mira a eliminare Schaeublel'eccezione normativa che permette alle banche di detenerli senza dover possedere riserve di capitale per coprire le eventuali perdite». Rendere più "rischiosi" i titoli sovrani incoraggerebbe banche e famiglie a evitare di sottoscriverli alla leggera. I governi avrebbero meno incentivi ad accumulare debito, e le banche eviterebbero a loro volta di investire in titoli pubblici. Dov'è il trucco? «Stabilire un meccanismo automatico per sanzionare le situazioni economiche problematiche che si vorrebbero evitare può, nei fatti, renderle ancora più probabili», spiega Bastasin. I titoli pubblici - abolita la moneta sovrana - tengono in piedi gli Stati dell'Eurozona. «Pertanto, una volta che i titoli sovrani nei paesi dell'Eurozona sono diventati più rischiosi, l'intero sistema finanziario potrebbe diventare più fragile, e questo potrebbe influenzare negativamente la crescita e la stabilità finanziaria».

Da ultimo, anziché imporre una sana disciplina ad alcuni paesi membri, il nuovo regime «potrebbe ampliare i differenziali di rendimento dei titoli di Stato e rendere impossibile la convergenza dei debiti, aumentando la probabilità di rottura dell'Eurozona». Il piano di Berlino, continua Bastasin, va in parallelo all'idea che il contenimento della crisi sia solo una questione che riguarda i paesi più colpiti. Si basa inoltre sull'assunzione che qualsiasi forma di condivisione del rischio fornisca ai governi gli incentivi sbagliati, producendo "moral hazard". In realtà, «come la crisi ha dimostrato», la vulnerabilità finanziaria può essere «il risultato di problemi comuni», per cui «sanzionare i singoli paesi può generare un'instabilità che potrebbe degenerare in una nuova crisi».