di Domenico RosaNegli ultimi decenni, il processo di unificazione è tornato sotto la lente di ingrandimento di storici e studiosi. Un atteggiamento più critico è stato adottato dalla recente storiografia sulla questione. Tanto che personalità del mondo della cultura come Arrigo Petacco, Giordano Bruno Guerri e Paolo Mielinon hanno difficoltà ad usare l'espressione guerra civile che fa da contraltare alla tradizionale nozione di Risorgimento, troppo spesso fatto passare, soprattutto con l'epopea garibaldina, come un entusiastico movimento popolare¹ e non come un'impresa di spregiudicatezza elitario-nobiliare e borghese. Anche per chi crede nella Nazione italiana, e non cede a nessun tipo di nostalgismo, effettivamente anacronistico, non può non ravvisare un vizio di forma che sta alla base della sua unificazione politica.
Nel corso dei decenni è stato costituito un mito risorgimentale che ha presentato i suoi fautori come eroi gloriosi: il cosiddetto Risorgimento oleografico. In tutte le città italiane a queste personalità sono state dedicate strade, piazze e monumenti e i nuovi ministri del culto della patria hanno non di rado accusato di 'italocentrismo' e reazione chi si ostinava a raccontare come l'unità fosse realmente avvenuta.
Per la verità un archetipo di italianità esisteva già prima del 1861, ma sotto forma di una pluralità creatrice, basti pensare all'epoca dei Comuni, quando gli italiani avevano una casa divisa in più camere e non in un solo salone.
Secondo il critico Borgese, invece, l'Italia fu piuttosto la creatura di un poeta: Dante. "
Gli stranieri che identificano l'Italia con Dante hanno in sostanza ragione. - continua Borgese -
Non è un'esagerazione dire che egli fu per il popolo italiano quello che Mosè fu per il popolo di Israele"². L'opera iniziata da Dante fu poi portata a compimento da Alessandro Manzoni, di cui si ricorda sempre l'attività di romanziere e troppo poco quella di linguista; che invece fu prolifica e decisiva a fondare quella che poi sarà la lingua della futura Italia unita, contribuendo in maniera notevole a costruire la nostra identità³. I poeti perciò svolgono un ruolo fondamentale e tra Ottocento e Novecento, da Carducci a d'Annunzio, tutti celebrano la nuova Italia, prendendo spunto dalle grandezze più remote per esaltare le recenti gesta risorgimentali. Saranno proprio loro, i letterati ad apportare il maggior contributo alla costituzione della memoria nazionale, ma la sensibilità artistica, per sua propria natura, va oltre la cruda realtà e non tiene conto che politicamente il novello Regno d'Italia è solo un Regno di Sardegna allargato.
L'artefice dell'unità d'Italia è senza dubbio l'astutissimo conte di Cavour: geniale, - se per geniale si intende una persona determinata, disposta a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi - freddo, lucido, calcolatore. Ministro del governo D'Azeglio nel 1850, sarà tra i più decisi fautori dell'approvazione delle leggi Saccardi che prevedevano l'abolizione del foro ecclesiastico (cioè i tribunali della Chiesa che giudicavano i reati commessi dai membri del clero) e del diritto d'asilo negli edifici religiosi. Il conte, a differenza di Mazzini e Garibaldi, non prendeva apertamente posizione contro la Chiesa, ma in privato parlava della distruzione del potere temporale dei papi come di "
uno dei fatti più gloriosi e più fecondi della storia dell'Umanità"⁴. Morirà nel 1861, nove anni prima che questo avvenga, ma nel frattempo la sua politica anticattolica ha preso piede e nel 1855, insieme a Rattazzi, (governo del connubio), promulgherà la legge per la soppressione delle comunità religiose contemplative, cioè di quelle comunità che non svolgevano una funzione sociale (l'assistenza ai malati o le attività educative) e il conseguente incameramento da parte dello Stato dei loro beni. Il governo sardo, da un lato si riconosce la religione cattolica come l'unica religione di Stato (art.1 dello Statuto Albertino), dall'altro attua una serie di misure volte ad indebolirla⁵. Lo stesso Cavour, maggior artefice di questa politica, avrà il tempo di morire da cattolico, con tutti i crismi, per presentarsi alla posterità come il prototipo dell'italiano. La sua morte rappresenterà la prima canonizzazione laica della nuova Italia.
Camillo Benso, conte di Cavour, nasce a Torino nel 1810, da una famiglia dell'aristocrazia piemontese, nel 1850 diventa per la prima volta ministro, nel 1852 è chiamato dal re a dirigere il governo. Ottenuta la carica la manterrà tranne una breve parentesi, fino alla morte. La sua politica frutterà al Regno di Sardegna l'annessione della maggior parte degli Stati italiani.
Commenta: Per maggior informazioni riguardo l'ipotesi che le grandi catastrofi e pandemie come La Morte Nera avvenute nei secoli e nei millenni precedenti a causa di fattori di origine cosmica, invitiamo il lettore di guardare il seguente Documentario: