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Sparsi per gli immensi territori che facevano parte dell'Unione Sovietica e, prima di essa, dell'Impero Zarista, esistono angoli di mondo che sono stati dimenticati dal progresso, dove persino la Storia sembra essersi fermata a prendersi una pausa di riflessione.

Sono frammenti di una civiltà che non esiste più, se non nella memoria di chi vi ha trascorso e dedicato parte della propria vita, per poi - all'inizio degli Anni Novanta - essere sbalzato senza preavviso in una società completamente diversa, competitiva, aggressiva, spietata, che nel giro di pochi anni ha prima messo in dubbio, poi ripudiato e irriso e infine condannato precocemente al dimenticatoio oggetti, usanze, ideologie, modi di vivere e di parlare, di vestirsi e di pensare, che erano appartenuti a diverse generazioni di cittadini sovietici e sembravano poter durare ancora almeno altrettanto a lungo.

Ma quasi per magia, per beffa, per pura casualità dettata dal caotico intreccio dei giochi geopolitici, alcuni brandelli di territorio sono stati miracolosamente risparmiati dall'onda della modernizzazione e dell'occidentalizzazione, e resistono indocili a portare la testimonianza di quel mondo del passato al quale ancora orgogliosamente appartengono.


TRANSNISTRIA


Nel Marzo 2013, insieme ai miei amici Giuliano e Jacopo, arrivammo in macchina a Tiraspol, capitale della Transnistria, da Chisinau, capitale della Moldavia.

Fino al 1990 Moldavia e Transnistria erano un'unica Repubblica, nell'ambito dell'URSS: la Repubblica Socialista Sovietica Moldava. E ancora adesso, a livello internazionale, l'indipendenza della Transnistria non è riconosciuta ufficialmente da nessun Paese al mondo.

Però, ormai già da 26 anni, poco prima di Bender e del fiume Dnestr corre un confine ben presidiato e i due Paesi vivono completamente separati de facto.

mappa Moldavia e Transnistria
La Transnistria, stretta tra Moldavia e Ucraina, e più a sud, la Gagauzia. La Transnistria controlla un territorio di 3.567 Km2 (poco più piccola della Liguria) per una popolazione di 550.000 abitanti. La Gagauzia ha invece un territorio di 1.832 Km2 e una popolazione di 160.000 abitanti.

Tirava un fortissimo vento freddo quel Marzo a Tiraspol, ma lo spettacolo che ci aspettava valeva molto più di qualsiasi piccolo disagio atmosferico.

Per chi come me iniziò a visitare le Repubbliche nate dalla dissoluzione dell'URSS nei primi Anni Novanta si trattò di un vero e proprio viaggio nel tempo.

Girando per il Prospekt principale della città ci sembrava di essere tornati indietro di 20 anni. Le strade e le case parevano essere rimaste intatte nel corso dei decenni, senza che nessuna opera di restauro avesse osato contaminarle. I negozi esponevano le merci in modo semplice ed essenziale, proprio come ai tempi sovietici o, come qualcuno ricorderà, alcuni modesti negozi di provincia in Italia fino agli Anni Settanta. I caffè e i ristoranti: spaziosi, vuoti, ovattati, di un'eleganza vintage e nostalgica, dove si sarebbe potuto trascorrere intere giornate a conversare sotto voce, ad ascoltare il silenzio, sorseggiando vodka (in effetti quello che facemmo noi per ore ed ore senza percepire che il tempo passava. Che importanza poteva avere! Solo il tempo perso è tempo guadagnato.) Il vecchio cinema sovietico, dove entrammo a vedere un film a caso, che non ricordo proprio quale fosse, solo per assaporare l'atmosfera del luogo. L'unica discoteca (o forse sarebbe meglio dire sala da ballo) della città. Anche la musica era la stessa di un tempo.

Trascorremmo alcuni giorni in quel paradiso perduto, ripetendo ogni giorno gli stessi lenti rituali, col solo scopo di farci assimilare il più possibile dai ritmi di quella città che ci aveva temporaneamente fagocitati. E fu lì, tra un vodkino e l'altro, che prendemmo la decisione di visitare tutti gli "Stati non riconosciuti" nati sulle macerie dell'URSS.

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Il centro di Tiraspol, capitale della Transnistria, in un giorno di festa.
La storia di questi Stati e il modo in cui hanno ottenuto l'indipendenza - sempre attraverso una guerra, più o meno cruenta - merita un approfondimento.

L'Unione Sovietica era infatti composta, ad un primo livello di suddivisione amministrativa, da 15 Repubbliche [1], ma ciascuna di queste Repubbliche a sua volta conteneva al suo interno numerose regioni e province dotate di una condizione più o meno alta di autonomia (Oblast, Krai ecc...) o addirittura altre Repubbliche minori.

La dissoluzione dell'URSS, nonostante quello che ci abbia raccontato la stampa occidentale, fu un evento non voluto e subìto dalla stragrande maggioranza della popolazione di ciascuna delle 15 Repubbliche [2]. In molti avrebbero preferito continuare a vivere in uno Stato multietnico, piuttosto che ritrovarsi cittadini di Stati nazionali a forte impronta etnica e nazionalista e spesso intolleranti verso le minoranze.

La Moldavia fu uno di questi casi. Secondo il censimento del 1989 in Moldavia vivevano una maggioranza di Moldavi-Rumeni (64,5%, ma molti di loro erano da tempo russizzati e usavano preferibilmente il russo come lingua, rispetto al rumeno [3]), una forte minoranza slava di Russi e Ucraini (26,8%) e altre minoranze meno numerose, tra cui Gagauzi (3,5%) e Bulgari (2%).

Nella Transnistria (cioè la sottile fascia di territorio ad est del fiume Dnestr) però i rapporti numerici si capovolgevano, con un 54% di Slavi contro un 40% di Moldavi (la maggior parte dei quali russofoni).

La decisione delle autorità moldave di abolire il russo come lingua ufficiale, a favore del rumeno, e contestualmente di sostituire il rumeno scritto con caratteri cirillici (da sempre in uso in Moldavia) con il rumeno scritto con caratteri latini (in uso in Romania), scatenò le prime proteste, presto tramutate in tumulti in tutto il Paese.

In Transnistria nel 1990 fu indetto un referendum per l'indipendenza dalla Moldavia, che ebbe un risultato favorevole con oltre il 90% dei voti. Dunque, il 2 Settembre 1990, la Transnistria dichiarò unilateralmente la secessione e la formazione di una Repubblica indipendente.

Dopo lo scioglimento dell'URSS, la Moldavia, appoggiata dalla Romania, intraprese una campagna militare per riprendere il controllo sulla Repubblica secessionista. Da una parte combatterono l'esercito regolare moldavo, rinforzato da numerosi paramilitari e volontari rumeni. Dall'altro la popolazione civile della Transnistria, che però trovò il risolutivo aiuto della 14ma Armata Russa, che era di stanza proprio a Tiraspol e, sotto gli ordini del Generale Aleksandr Ivanovič Lebed', riportò una netta vittoria sull'esercito moldavo, attraversando infine anche il confine naturale rappresentato dal fiume Dnestr, per prendere possesso anche della città a maggioranza russofona di Bender [4].

L'indipendenza della Transnistria, che dura ormai da più di 25 anni, oggi però è messa a rischio dai mutati equilibri politici nella vicina Ucraina.
Il territorio della Transnistria infatti ha una forma inusualmente allungata, e si estende lungo la riva orientale del fiume Dnestr. Non ha sbocchi al mare e confina solo con 2 altri Stati: la Moldavia ad Ovest e l'Ucraina ad Est.

L'Ucraina, fin dai primi Anni Novanta, si era fatta protettrice, insieme alla Russia, dell'indipendenza del piccolo Paese confinante e della sua maggioranza di cittadini Slavi (molti dei quali proprio di nazionalità ucraina).

Ora, per compiacere ai nuovi alleati occidentali, il nuovo governo ucraino ha capovolto la propria posizione riguardo ai rapporti con la Transnistria, fino ad arrivare a minacciare interventi militari unilaterali e non provocati.

Oggi dunque la Transnistria si trova bloccata tra due vicini ostili (Moldavia e Ucraina, ai quali va aggiunta anche la Romania), troppo lontana dalla Russia e con un territorio veramente difficile da difendere [5] in caso di attacco congiunto da due lati.

La richiesta della Transnistria di annessione alla Russia (presentata nel 2014 in seguito ad analoga annessione della Crimea) per ora non è stata presa in considerazione e la vulnerabilità del piccolo Stato si presta molto bene alla creazione artificiale, da parte dei vicini ostili, di un qualsiasi casus belli.

Anche la vicina Moldavia però non può essere certa del mantenimento dell'integrità territoriale. Una seconda regione separatista, la Gagauzia, abitata da una maggioranza dell'82% di Gagauzi [6] russofoni e contrari al processo rumenizzazione forzata e di avvicinamento alla UE, da tempo minaccia la secessione.

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Per le strade di Tiraspol

NAGORNO KARABAKH


Due anni dopo, nel 2015, sempre nella nostra classica formazione a tre, decidemmo di visitare il Nagorno Karabakh [7], l'enclave armena in territorio azero, teatro di una sanguinosa guerra durata dal 1988 al 1994 e risoltasi con l'indipendenza de facto della Repubblica.

In realtà la guerra non si è mai veramente conclusa e, come nel caso della Transnistria, la Repubblica del Nagorno Karabakh non è riconosciuta da nessuno Stato al mondo. Proprio pochi giorni fa c'è stato un improvviso riaccendersi delle ostilità, con una nuova aggressione da parte dell'Azerbaijan, che è attualmente ancora in corso, con perdite da entrambe le parti.

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Il Nagorno Karabakh occupa un’area di 11.458 Km2 (poco meno grande del Trentino Alto Adige) e ha una popolazione di 143.000 abitanti
Raggiungere il Nagorno Karabakh non è semplice. L'unica via percorribile è la strada che parte da Erevan, capitale dell'Armenia e, dopo circa 8 ore di saliscendi sulle montagne del Caucaso, arriva a Stepanakert, capitale dell'autoproclamatasi Repubblica montanara.

Quando arrivammo in Armenia era anche in quel caso Marzo e, dopo una sostanziosa colazione nel meraviglioso centro storico di Erevan e qualche rituale vodkino, concordato il prezzo con un tassista, ci avventurammo verso la nostra meta.

Il primo tratto di strada è pianeggiante, e corre a fianco delle pendici del Monte Ararat [8] (la montagna sacra degli Armeni, alta 5.137 metri, il cui nome si può tradurre in "Creazione di Dio" dalla lingua armena, ma che oggi si trova oltre confine, in territorio controllato dalla Turchia).

Dopo alcune ore però la strada inizia ad inerpicarsi sulle montagne innevate del Caucaso. La percorremmo tutta senza fare soste, sorseggiando bottiglioni di ottimo vino armeno e ascoltando i racconti della guerra da parte del nostro tassista, che era proprio un montanaro del Karabakh. Più di una volta ci trovammo incolonnati in file di carri armati e altri automezzi militari che si dirigevano al fronte e in più di un'occasione udimmo sparare (non so se si trattasse di vere e proprie scaramucce, che da quelle parti sono all'ordine del giorno, oppure di semplici esercitazioni dell'Esercito di Difesa del Nagorno Karabakh.)

Giungemmo a Stepanakert al tramonto e, dopo aver trovato posto in un modesto albergo in centro città, iniziammo a percorrere il viale centrale alla ricerca di un posto dove cenare.

La capitale del Karabakh è, se possibile, ancora più dimessa e silenziosa di Tiraspol. Si tratta di fatto di un villaggio di montagna isolato dal resto del mondo e in un territorio dove le operazioni belliche, seppur su scala limitata, durano ormai da quasi 30 anni. In giro tanti soldati, pochissima gioventù, pochi i locali, buie le strade, all'imbrunire la città si svuota. Passeggiammo a lungo in quel luogo ameno ed elegiaco e alla fine riuscimmo a sfamarci in una rustica pizzeria locale che serviva una specie di pizza turca, per poi spostarci a concludere la serata in un piccolo e oscuro bar, mentre per le strade non illuminate regnava il silenzio più irreale.

Ci ritirammo infine nel disadorno stanzone del nostro albergo. Quella volta avevamo poco tempo per il nostro giro e l'intenzione era quella di trascorrere i pochi giorni disponibili nella piacevole Erevan, quindi la mattina dopo ci aspettava già il nostro tassista per il massacrante viaggio di ritorno.

Di mattina la città era più viva e colorata. Facemmo ancora una passeggiata, acquistammo alcuni souvenirs e, dopo la consueta abbondante colazione e una breve visita al suggestivo monumento di Ded i Baba, ci mettemmo in viaggio. Avevamo previsto una sosta nella storica cittadina di Shusha, per visitarne la Cattedrale e un Monastero, per poi proseguire verso l'Armenia, che avremmo raggiunto in serata.

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Il centro di Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh
Il mantenimento dell'indipendenza dell'isolato Nagorno Karabakh è da sempre a rischio, in una condizione per molti versi analoga a quella della Transnistria.

Le istanze indipendentiste si svilupparono fin dal 1988, quando ormai l'URSS era in fase di disgregazione e l'enclave armena, che aveva accettato di fare parte della Repubblica Socialista Sovietica dell'Azerbaijan nell'ambito di un'Unione Sovietica multietnica, non aveva alcuna intenzione di trovarsi a essere parte di un Azerbaijan indipendente e nazionalista e anelava quindi al ricongiungimento con la madrepatria, la Repubblica di Armenia.

Nel 1991, al momento dello scioglimento dell'URSS, la guerra si inasprì. Il parlamento del Karabakh votò la secessione dall'Azerbaijan e gli azeri, numericamente superiori, più ricchi e meglio equipaggiati, invasero la regione, appoggiati anche dalla alleata Turchia.

Stepanakert fu bombardata per lunghi mesi (proprio dalla vicina Shusha, che era un caposaldo azero) e ampie aree della Repubblica caddero in mano azera. La tenacia dei montanari armeni però non venne mai meno. Nel maggio 1992 la presa di Shusha permise di allentare l'accerchiamento intorno alla capitale e di rendere meno dannosi i bombardamenti che quotidianamente cadevano sulla stessa, mentre la conquista del villaggio di Lachin, di fondamentale importanza strategica, consentì di aprire una via di collegamento con l'Armenia, dalla quale affluirono aiuti militari e generi di prima necessità per la popolazione.

La successiva liberazione di Martakert e di Agdam, avvenute entrambe nel 1993, segnarono la definitiva vittoria armena, che fu sancita dall'Accordo di Bishkek e dal susseguente cessate il fuoco.

Si tratta però di una tregua instabile. L'Azerbaijan non ha mai veramente accettato la perdita della regione. L'Azerbaijan è molto più ricco e popoloso dell'Armenia, e grazie alle entrate garantite dall'estrazione del petrolio, ha un budget militare potenzialmente molto superiore. Gode poi dell'appoggio della Turchia, affine per lingua, religione e ceppo etnico della popolazione.

L'Armenia invece, isolata sulle montagne del Caucaso e circondata da Stati più potenti e ad essa ostili, vive quasi esclusivamente delle rimesse della Diaspora Armena [9], ed è soggetta a progressivo spopolamento, poiché i giovani preferiscono andare a cercare fortuna in Russia piuttosto che restare nel loro Paese che offre loro poche prospettive.

Il Nagorno Karabakh dunque, proprio come la Transnistria, ha un futuro incerto e pieno di insidie, e si presenta come luogo ideale per creare un casus belli [10] e riaprire le ostilità su vasta scala.

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Per le strade di Stepanakert

ABKHAZIA E OSSEZIA DEL SUD


Quest'anno, come sempre di Marzo, e sempre insieme a Jacopo e Giuliano, abbiamo visitato l'Abkhazia.

Partendo in macchina dalla città russa di Sochi il viaggio dura solo 3 ore, lungo la strada che costeggia il Mar Nero, e permette di contemplare paesaggi veramente notevoli, con le montagne del Caucaso che scendono a picco sul mare.

Il tratto di strada in Russia presenta una porzione di riviera costellata di edifici moderni, grandi palazzi, alberghi e residence di lusso, ma appena superato il confine con l'Abkhazia lo spettacolo muta completamente. Comincia il solito viaggio indietro nel tempo che tanto ci affascina!

Prima di partire, a Sochi, in molti ci avevano sconsigliato una tale destinazione, sostenendo che avrebbe potuto essere rischiosa per la presenza di non meglio precisati briganti abkhazi e banditi che fermano le auto lungo la strada per derubare i passeggeri. Può darsi che questo possa veramente accadere se ci si avventura in qualche villaggio sperduto sulle montagne, ma lungo la strada principale che collega Sochi e la Russia alla capitale abkhaza Sukhumi ritengo assai inverosimile fare incontri del genere. Almeno noi non li abbiamo fatti, nè all'andata nè al ritorno.

Sukhumi è una graziosa cittadina che, come Tiraspol e Stepanakert, ricorda in molti particolari la vita ai tempi dell'Unione Sovietica. Per chi cerca palazzi moderni, negozi alla moda e locali luminosi e rumorosi non è certo il posto ideale. Si possono trovare però dei buoni ristoranti, un piacevole lungomare, un centro storico interessante e soprattutto si può ritrovare quell'atmosfera di passato che, come un velo trasparente e protettivo, avvolge la città e la rende affascinante e arcana.

La vicinanza del mare e la relativa tranquillità della regione ne fanno anche un possibile luogo di villeggiatura dall'ottimo potenziale turistico e assai a buon mercato. Ma per ora solo pochi viaggiatori, e quasi solo russi, hanno scoperto questo posto.

Probabilmente le città di mare italiane di un secolo fa si presentavano più o meno come è Sukhumi oggi e, previa la consigliabile conoscenza di un po' di russo, si tratta di una destinazione veramente gradevole dove trascorrere qualche giorno lontano dalle caotiche mete turistiche tradizionali, gustando il cibo locale in qualche trattoria in riva al mare o passeggiando sulla spiaggia e per le vie del centro storico.

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L’Abkhazia ha un territorio di 8.432 Km2 (poco minore di quello dell’Abruzzo) e una popolazione di 242.000 abitanti. L’Ossezia del Sud ha un territorio di di 3.900 Km2 (pressapoco come il Molise) e una popolazione di 55.000 abitanti.
L'Abkhazia e l'Ossezia del Sud (che non abbiamo ancora visitato e ci riproponiamo di farlo al più presto), ai tempi dell'URSS facevano parte della Repubblica Socialista Sovietica di Georgia. Ma non erano abitate solo da Georgiani, bensì, appunto da Abkhazi e Osseti (oltre che da altre minoranze etniche del complessissimo mosaico dei popoli del Caucaso).

Gli Abkhazi sono un popolo caucasico presente nella regione fin da Epoca Bizantina (nel 780 fondarono un primo Regno di Abkhazia indipendente, che si mantenne tale fino al 1008 [11]), hanno una loro lingua appartenente al gruppo delle lingue caucasiche nord-occidentali e dal punto di vista religioso sono divisi tra cristiani ortodossi e musulmani sunniti.

Gli Osseti invece derivano dall'antico popolo degli Alani [12]. Politicamente sono divisi tra l'Ossezia del Nord, che fa parte della Federazione Russa, e l'autoproclamatasi Repubblica dell'Ossezia del Sud, distaccatasi dalla Georgia. Sono di religione cristiana ortodossa e la loro lingua è simile al persiano.

In modo analogo a quanto abbiamo visto per la Transnistria e per il Nagorno Karabakh, queste due regioni, al momento della frantumazione dell'URSS, si trovarono a far parte di uno stato nazionale - la Georgia - verso la quale non provavano alcuna affinità.

La politica di georgianizzazione forzata iniziata nei primi Anni Novanta portò alla dichiarazione di indipendenza prima dell'Ossezia del Sud [13] (28 Novembre 1991) e poi dell'Abkhazia [14] (23 Luglio 1992) e alle successive guerre contro l'esercito regolare georgiano che, anche qui come negli altri casi narrati precedentemente, si conclusero con la vittoria degli indipendentisti e con la secessione.

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La spiaggia di Sukhumi, capitale dell’Abkhazia.
Nel 2008 però la Georgia, governata allora dall'avventuriero filo-americano Saakashvili, tentò un colpo di mano, attaccando a sorpresa (e con l'appoggio diplomatico americano) la piccola Repubblica dell'Ossezia del Sud e bombardandone la capitale Tskhinvali. Ciò provocò l'immediata reazione della Russia, storicamente protettrice di queste regioni con le quali ha un confine comune.

Le truppe georgiane furono completamente sconfitte nel corso di soli 3 giorni e dovettero ripiegare sulle loro posizioni di partenza e oltre le stesse, mentre la Russia si decise allora a riconoscere l'indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ad assumerne la tutela. (Trattasi dunque di Stati a riconoscimento limitato [15] e non propriamente di Stati non riconosciuti come nei casi citati prima).

A differenza di Transnistria e Nagorno Karabakh, dunque, l'indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud oggi non è in serio pericolo. Le due minuscole Repubbliche confinano direttamente con la Russia. Sono presenti sul loro territorio truppe russe e l'eventualità di una ripresa delle ostilità da parte della Georgia è al momento assai improbabile, oltre che priva di ogni reale possibilità di successo (a meno di un inverosimile appoggio da parte della NATO.)

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Una strada del centro di Sukhumi. Le gradevoli e alberate vie del centro storico sono dominate da un massiccio e sinistro edificio: il palazzo arancione sullo sfondo è la vecchia sede del Parlamento, semidistrutto durante la guerra del 1992-93, è rimasto a simbolo dell’indipendenza e a monito dei sacrifici che si devono affrontare per conquistarla e mantenerla.

REPUBBLICHE POPOLARI DI DONETSK E DI LUGANSK


Per completezza di informazione, tra gli Stati non riconosciuti o parzialmente riconosciuti presenti in area ex Sovietica, vanno citate anche la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk [16], autoproclamatesi tali nel 2014, a seguito del colpo di stato di Maidan in Ucraina.

Io personalmente ho visitato Donetsk e la sua regione innumerevoli volte, prima della guerra e dell'indipendenza. Donetsk allora non aveva molto in comune con i "frammenti di URSS" descritti nelle pagine precedenti, essendo di gran lunga la città più ricca e moderna della ex-Ucraina, con infrastrutture (penso allo stadio, al moderno aeroporto, ai centri commerciali, ora andati tutti totalmente o parzialmente distrutti a causa dei bombardamenti indiscriminati dell'esercito ucraino sulle aree abitate da civili) da fare invidia a molte città dell'Europa Occidentale.

Evidentemente la guerra e l'indipendenza avranno sconvolto la Donetsk che conoscevo, fino a cambiarle volto. Penso che sia il caso di tornare a visitarla il più presto possibile. Spero di poter darne cronaca a breve, come hanno già fatto tanti miei connazionali che, in questi due anni di guerra, si sono recati nel Donbass per portare il loro aiuto umanitario o, in alcuni casi, anche per combattere nelle file della resistenza contro i battaglioni di punitori ucraini.


Note
:

[1] Russia, Ucraina e Bielorussia, le 3 grandi Nazioni slave. Lituania, Lettonia ed Estonia, le 3 Repubbliche affacciate sul Mar Baltico. La Moldavia al confine occidentale con la Romania. Georgia, Armenia e Azerbaijan nel Caucaso. E ancora le 5 Repubbliche centroasiatiche: Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan.

[2] Con l'eccezione delle 3 Repubbliche Baltiche, dove effettivamente la maggioranza della popolazione era favorevole all'indipendenza (senza però tenere conto delle forti minoranze russofone, soprattutto in Lettonia ed Estonia, che invece videro in modo traumatico il distacco dalla Madrepatria e da allora vivono in uno stato di semi-apartheid legalizzato, una vergogna senza precedenti per la "democratica" Europa). In tutte le altre Repubbliche la maggioranza della popolazione era favorevole a mantenere l'URSS. In 9 delle 15 Repubbliche (Russia, Ucraina, Bielorussia, Azerbaijan, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan) si tenne anche un referendum nel 1991, e tutte votarono ad ampia maggioranza per il mantenimento dell'URSS.

[3] Ancora oggi, girando per Chisinau, capitale della Moldavia, si sente parlare tanto in rumeno quanto in russo. Nelle campagne della Moldavia il rumeno è la principale lingua in uso. In Transnistria, Gagauzia e nella municipalità di Balti si parla invece prevalentemente russo.

[4] Città natale dello scrittore russo Nicolaj Lilin, che vi ha ambientato alcuni dei suoi romanzi.

[5] La Transnistria dista più di 500 Km in linea d'aria dal più vicino confine della Russia Continentale e non ha sbocchi al mare. Senza la collaborazione dell'Ucraina è quindi militarmente indifendibile da parte della Russia. In realtà, considerando il fatto che tutta l'Ucraina sud-orientale da Harkov fino ad Odessa è russofona e russofila, dopo un ipotetico smembramento dell'Ucraina e un ritorno delle sue regioni orientali e meridionali nell'orbita russa, un continuum territoriale con la Transnistria sarebbe realizzabile.

[6] I Gagauzi sono una popolazione di etnia turca ma di religione cristiano ortodossa e di lingua prevalentemente russa (esiste comunque anche la lingua gagauza, affine al turco) migrati in Moldavia e nel Budjak all'inizio del XIX Secolo dalla Bulgaria e da altre aree allora appartenenti all'Impero Ottomano.

[7] Questa regione montana del Caucaso Meridionale faceva parte del Regno d'Armenia fin dal 190 a.C. Oggi è ancora abitata da armeni e la lingua ufficiale è l'armeno, utilizzato però qui nella sua versione orientale.

[8] Secondo la leggenda proprio su questa montagna approdò l'Arca di Noè dopo il Diluvio Universale.

[9] Su quasi 9 milioni di Armeni, infatti, solo 3 milioni vivono in Armenia. Altri 3 milioni vivono in Russia, quasi 1 milione negli USA, mezzo milione in Francia, 150.000 nel Nagorno Karabakh. Esistono poi forti minoranze armene in Georgia, Iran e Siria, mentre la numerosissima comunità armena di Turchia fu completamente sterminata dai Giovani Turchi durante il Genocidio Armeno del 1915-16, che contò circa 1,5 milioni di vittime. A causa della mancanza di disponibilità da parte della Turchia a riconoscere tale Genocidio, ad oggi le relazioni diplomatiche tra Armenia e Turchia non sono normalizzate, e il confine è chiuso e presidiato.

[10] Nel 2014, nel pieno della crisi Ucraina, il Dipartimento di Stato Americano fece molte pressioni sull'Azerbaijan per aprire un secondo fronte in Nagorno Karabakh, e solo la repentina convocazione a Sochi, da parte di Putin, dei presidenti di Armenia Serzh Sargsyan e Azerbaijan Ilham Aliyev in Agosto evitò all'ultimo momento il peggio. Di pochi giorni fa invece è la notizia di una nuova escalation (2 Aprile 2016) con una inaspettata aggressione azera al Karabakh (ancora in corso), proprio due giorni dopo l'incontro tra il Segretario di Stato USA John Kerry e il Presidente dell'Azerbaijan Aliyev a Washington per ... discutere come risolvere la questione del Nagorno Karabakh ...

[11] In questa data l'Abkhazia entrò per la prima volta nell'orbita georgiana. Ottenne nuovamente l'indipendenza nel XV Secolo per perderla nuovamente nel Secolo successivo a causa della conquista Ottomana.

[12] Popolo nomade di pastori guerrieri di origine iranica, vengono menzionati per la prima volta nel libro "Geografia" di Strabone nel I Secolo d.C. Nel IX Secolo formarono un Regno cristiano sulle montagne del Caucaso, che durò fino al XIII Secolo, quando fu sommerso dalle orde mongole.

[13] La Guerra in Ossezia del Sud durò dal 5 Gennaio 1991 al 24 Giugno 1992. Le truppe dell'Ossezia del Sud, appoggiate da volontari provenienti dall'Ossezia del Nord e dal supporto della Federazione Russa, infine sconfissero l'esercito georgiano.

[14] La Guerra in Abkhazia durò dal 14 Agosto 1992 al 27 Settembre 1993. Le truppe Abkhaze furono affiancate da quelle della Confederazione dei Popoli Montanari del Caucaso e dal Battaglione Bagramyan, composto da volontari armeni residenti in Abkhazia, ed ebbero ragione dell'esercito regolare georgiano.

[15] Oltre che dalla Russia, le due Repubbliche sono state riconosciute anche da Venezuela, Nicaragua, Nauru, Vanuatu e Tuvalu.

[16] Questi due Stati di recente formazione, sebbene occupino aree abbastanza limitate a causa dell'aggressione ucraina che ha sottratto loro molti distretti (ad oggi i territori sono di circa 8.550 Km2 per la Repubblica di Donetsk e circa 8.350 Km2 per la Repubblica di Lugansk), sono di gran lunga i più popolosi tra gli Stati non riconosciuti. La Repubblica di Donetsk conta infatti 2,3 milioni di abitanti e quella di Lugansk 1,5 milioni di abitanti.

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Articolo di Cesare Corda per SakerItalia.it