Trustees of the British Museum/Mathieu Ossendrijver
© Trustees of the British Museum/Mathieu Ossendrijver

Gli scienziati dell'antichità riescono ancora a stupirci. Una recente scoperta dimostra che gli astronomi babilonesi sapevano fare un uso avanzato della geometria.

Gli appassionati di storia sanno che spesso gli scienziati, e in particolare gli astronomi dell'antichità erano in grado di fare cose impensabili con strumenti rudimentali. In particolare gli astronomi babilonesi riuscirono a tracciare il moto dei pianeti nel cielo notturno usando solo lo spirito d'osservazione, l'aritmetica e una volontà di granito. Il che sarebbe già ammirevole, se non fosse che la traduzione di una tavoletta ha dimostrato che erano in grado di usare strumenti così avanzati da essere in anticipo di più di un millennio.

I babilonesi sono celebri, grazie anche ai libri di scuola, per le loro tavolette di argilla, molte delle quali sono arrivate fino a noi. Grazie a loro abbiamo imparato che questo popolo aveva conoscenze matematiche avanzate, e in particolare gli astronomi babilonesi erano in grado di effettuare osservazioni molto dettagliate. L'archeologo astronomico Matthieu Ossedrijver dell'Università di Berlino ha scoperto che c'è molto di più. Un testo babilonese su Giove, infatti, ha dimostrato che gli studiosi usarono una tecnica avanzatissima, chiamata procedura trapezioidale. per tracciare i movimenti del pianeta gigante nei cieli.


La matematica del futuro


L'aspetto impressionante è che la tecnica usata dagli astronomi babilonesi è considerata uno dei cardini della matematica moderna, in particolare di quel ramo chiamato Calcolo. Fino a oggi si credeva che il metodo descritto nella tavoletta fosse stato scoperto in Europa nel medioevo, 1.400 anni più tardi. La tavoletta, che fa parte di una collezione di testi scoperti in Iraq nel 19° secolo. La scoperta, fra l'altro, è stata quasi casuale: nel 2014, mentre Ossedrijver lavorava a un altro studio, questa tavoletta è scivolata fuori dagli scaffali e lo ha incuriosito. Si trovava nella collezione del British Museum dal 1881 e nessuno prima l'aveva studiata.