Renzi
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La politica italiana affronta con drammatica incoscienza le priorità delle azioni del Governo. Lo dimostra questa burrascosa settimana in cui l'ottimismo della ripresa è scosso da uno tsunami di brutte notizie.


La prima è che il debito italiano non diminuisce, anzi è salito di 76 miliardi di euro. L'assurdità sta proprio qui: è noto come il debito sia, insieme al sistema della Previdenza e della Tv pubblica, una vera zavorra per lo sviluppo del Paese; eppure qualunque governo, che sia di destra, centro o sinistra, tecnico o politico, di coalizione o di pacificazione nazionale, pare dimenticarsene non appena prestato il giuramento. Grandi proclami durante le elezioni, ma poi il canovaccio è sempre quello: tassa, fai debiti e spendi.

Di recente Carlo Cottarelli, ex commissario alla Spending Review dimessosi in polemica con Renzi, di fronte ad una platea di studenti aveva ammonito:
Le attuali condizioni favorevoli sul mercato dei capitali sembrano aver fatto scivolare in secondo piano questo problema; e sarebbe un errore perché un dato ancora molto alto ci espone a potenziali rischi elevati. È chiaro che in determinate circostanze può risultare necessario accrescere la spesa pubblica per stimolare l'economia, ma oltre certi limiti non si può andare. È il caso dell'Italia che lo scorso anno ha fatto registrare uno dei rapporti tra debito pubblico e prodotto interno lordo più alti della sua storia: 133 per cento, un dato che ci pone al terzo posto nella graduatoria di demerito dei Paesi avanzati, alle spalle di Giappone e Grecia.
Neanche a farlo apposta, i rischi paventati da Cottarelli sul "Sistema Italia" si sono puntualmente verificati, con il crollo del valore di molti titoli bancari su Piazza Affari, col timore che si inneschino altri crac a cascata con conseguenti ricadute sociali. Alla faccia del solido sistema bancario elogiato a più riprese dal Ministero dell'Economia e dalla Presidenza del Consiglio: escusatio non petita per giustificare l'iperattività dimostrata dal Governo nel campo della finanza, che ahimé non ha dato i risultati sperati. Purtroppo è impensabile che per un Paese con un indebitamento a livello record, secondo solo a quello della Grecia, si possa elaborare un piano di salvataggio come avvenuto qualche anno fa in altri Stati europei e negli USA: non solo non lo permetterebbero più le norme, ma mancherebbe persino il denaro per poterlo attuare. La situazione è figlia dell'incapacità di tagliare e razionalizzare i troppi sprechi e gli stipendifici che hanno dissanguato l'Italia dalla Prima Repubblica in avanti.

Mario Draghi
© East News/ Luo Huanhuanpresidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi
Cambiano gli attori, dicevamo, ma il copione resta uguale. Ne è una dimostrazione la notizia che il Governo varerà un decreto, su proposta del Ministro dell'Economia, volto a escludere parzialmente o totalmente alcune società partecipate dalle nuove norme della riforma Madia. Per intenderci, il decreto Madia è quello che dovrebbe dare una stretta ai carrozzoni a partecipazione pubblica. Questo provvedimento, che ancora una volta affida al premier un discutibile potere di scelta soggettiva che fa il paio coi poteri autoassegnatisi in tema di Cda della RAI, relega in secondo piano l'idea di una pulizia globale del sistema e crea una zona grigia sulla quale continuerà il controllo diretto della politica e cioè quello delle mani bucate. La scelta è incomprensibile, in particolare visto che la quota interesse, complice il calo dello spread e il Quantitative Easing di Draghi, ha continuato a scendere. Basti pensare che proprio quest'ultimo intervento della Banca Centrale Europea ha fatto risparmiare in 9 mesi agli italiani 26 euro a testa per gli interessi sul debito. Se presto o tardi gli italiani salderanno il salatissimo conto delle scelte dei loro governi, tale salasso verrà pagato sul fronte delle politiche estere.
Le frasi renziane tipo Non perdo la faccia per due tubi (parole riferite alla moral suasion che il Governo avrebbe dovuto mettere in atto nella realizzazione del gasdotto North Stream) e gli attacchi scomposti, come quello a Junker perchè è a rischio l'avvallo sulla Legge Finanziaria, porteranno solamente conseguenze nefaste a tutti gli italiani. E dopo il solito bluff del premier, con la richiesta di una riunione per rivedere i rapporti con la Russia, ecco che il Governo conferma di nuovo le sciagurate sanzioni, aggravando i danni all'economia reale, quantificabili in più di 2 miliardi e mezzo nel 2015. L'orchestra governativa di Renzi va avanti a suonare, mentre il Titanic Italia continua ad affondare.