Figli della Società
L'Accordo di Parigi dovrebbe garantire che le emissioni globali scendano entro il 2030 a 35 Gt CO2e; ma sulla base dei Contributi volontari determinati a livello nazionale (Indc, Intended National Determined Contributions), nel 2030 saremo oltre quasi del doppio...intorno alle 60 Gt CO2e.
Entrambi gli accordi hanno evitato di affrontare il compito più importante: porre un limite all'estrazione dei combustibili fossili (petrolio, gas e carbone), responsabile del 60% delle emissioni totali di gas serra. Se non si lascia sottoterra l'80% delle riserve accertate, è contenere entro i 2° C l'aumento della temperatura.
L'accordo di Parigi, inoltre, non garantisce l'obiettivo di zero deforestazione entro il 2020, posto negli Obiettivi di sviluppo sostenibile di recente approvati; eppure, la deforestazione produce il 17% delle emissioni globali. Al contrario, continua il cammino verso il commercio del carbonio e le compensazioni (offsets) che permettono ai paesi di "sostituire" le foreste native abbattute con piantagioni arboree in monocoltura.
Infine, gli accordi di Cancún e Parigi non hanno meccanismi legali per assicurare la loro applicazione. Anche gli impegni finanziari per l'adattamento e la mitigazione sono incerti. Davvero, "il re è nudo".
Un altro domani è possibile!
Il futuro non è scritto. Dipende dalle nostre azioni nell'oggi. Quanto accadrà alla COP21 a Parigi è il risultato di un lungo processo durante il quale le grandi multinazionali si sono impossessate dei governi e dei negoziati climatici alle Nazioni unite. L'Accordo di Parigi è un buon affare per i politici in cerca di popolarità e di rielezione, perché non li obbliga a far nulla. Ed è buono anche per le industrie estrattive perché permette loro di continuare con il business as usual e di godere dei nuovi mercati del carbonio come Redd+, Climate Smart Agriculture, le compensazioni relative all'uso dei suoli, e anche delle false tecnologie come la Cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs, Carbon Capture and Storage), la bioenergia e la geo-ingegneria.
Per costruire un altro domani dobbiamo recuperare la nostra capacità di sognare e uscire dal catastrofismo al quale i mass media ci hanno abituati. Una transizione veloce e da subito, uscendo dai combustibili fossili, è possibile. Le tecnologie per farlo sono alla nostra portata. I costi del solare e dell'eolico sono scesi di molto e continueranno a scendere. E' del tutto fattibile che paesi come la Bolivia, con un elevato irraggiamento solare, ottengano il 25% della propria energia elettrica dal fotovoltaico prima del 2020. Lo sviluppo di progetti nucleari e delle mega dighe idroelettriche non è giustificato sul piano ambientale ed economico. E' oggi possibile pensare a un mondo fondato sull'energia solare, eolica, micro-idroelettrica e su altre iniziative sostenibili.
La questione centrale non è solo il tipo di tecnologia ma anche chi la controlla, quale ne è la scala e a chi e che cosa serve. La transizione di cui abbiamo bisogno è quella che ci porta fuori non solo dai combustibili fossili ma anche da uno Stato centralista e dalla gestione privata dominata dalla logica del capitale e del potere. L'energia solare che dobbiamo promuovere non è quella dei grandi impianti che sfrattano popolazioni locali e indigene. Al contrario, occorre promuovere progetti di energia solare su scala familiare, comunitaria e comunale che danno forza alla società e trasformano le popolazioni da consumatori a produttori di energia.
Oggi la lotta contro i cambiamenti climatici è la lotta per la difesa delle nostre foreste distrutte dall'agribusiness. Le foreste primarie sono un'importante fonte di cibo, se gestite con i principi dell'agro-ecologia forestale. Invece ogni ettaro deforestato, oltre a emettere dalle 300 alle 500 tonnellate di CO2, è un grave attacco alla biodiversità, alla generazione di ossigeno, al ciclo dell'acqua e alle popolazioni indigene che abitano i luoghi. Per "compensare" un ettaro deforestato, solo quanto all'assorbimento della CO2, occorre riforestare da 8 a 16 ettari e attendere per 10-15 anni che gli alberi crescano. Da tutti i punti di vista, conviene fermare la distruzione delle foreste native. L'agricoltura familiare, contadina e comunitaria raffreddano il clima del pianeta e possono farlo anche di più. L'agroecologia contadina è una reale opzione contro l'avvelenamento da parte delle sostanze tossiche in agricoltura e degli organismi geneticamente modificati usati dall'agribusiness.
Il futuro che vogliamo non sarà costruito soprattutto dal settore privato o dallo Stato. Entrambi non devono più essere al centro dell'economia e della politica, affinché la società possa controllare il proprio destino. Occorrono iniziative per decentralizzare e democratizzare il potere politico ed economico ora concentrato nelle banche, nelle imprese multinazionali, nella burocrazia statale e nel complesso militare.
L'alternativa al cambiamento del clima è la democrazia reale. La risposta è in un'umanità auto-organizzata, consapevole, che disponga di forza, creda in se stessa e nella natura molto più che nella tecnologia e nelle forze di mercato.
Le soluzioni non verranno dall'alto, devono essere costruite dal basso. La COP21 è un testimone vigliacco dei crimini climatici commessi ovunque nel mondo. La risposta è negli sforzi locali e concreti che possiamo costruire dal basso per cambiare i modelli di consumo, di produzione e di vita in generale.
Un cambiamento di sistema può essere costruito su base quotidiana, in lotte come "Ende Gelände" che prende di mira la più grande miniera di carbone in Germania, o nelle proteste in India contro le centrali a energia nucleare, o le iniziative per sviluppare l'energia solare comunitaria in Bolivia, il movimento per l'espansione dell'agroecologia, che raffredda il pianeta e salva le foreste, e molte altre azioni.
Il processo di mobilitazione in vista di COP21 dovrebbe servire a rilanciare, coordinare e rafforzare le svariate iniziative nelle quali si trovano i semi di un altro domani.
(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
Pablo Solón Romero- Ambasciatore dello Stato plurinazionale della Bolivia alle Nazioni Unite dal febbraio del 2009 al luglio del 2011. E' stato a lungo il capo-negoziatore della Bolivia nelle conferenze internazionali sul clima. Nel 2011 ha ottenuto l'importante premio sui Diritti umani conferito da Global Exchange.