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Finirà che prima o poi dovranno chiamarlo "Premio Putin". Sì, perché il presidente russo, per la terza volta consecutiva, si conferma l'uomo più potente del mondo. Ieri la rivista Forbes ha reso nota l'annuale classifica che misura l'importanza e l'influenza dei leader mondiali attraverso quattro criteri: la portata, l'uso del potere politico, l'influenza e le risorse finanziarie. Dietro il leader del Cremlino si sono posizionati la cancelliera tedesca Angela Merkel, vero motore politico dell'Europa unita, il presidente Usa Barack Obama, sempre più in caduta libera, Papa Francesco, ormai fisso nella top five, e il presidente cinese Xi Jinping.

«Il presidente della Russia - ha scritto Forbes - continua a dimostrare di essere uno dei pochi uomini al mondo abbastanza potente da fare ciò che vuole e a farla franca. Le sanzioni internazionali poste in essere dopo l'annessione della Crimea e lo scoppio della guerra in Ucraina hanno deprezzato il Rublo e guidato la Russia verso una profonda recessione, ma non hanno fatto male a Putin nemmeno un po'». La politica Usa delle sanzioni, dunque, ha totalmente fallito ed ora anche i media occidentali iniziano ad accorgersi di questo.

Un recente sondaggio diffuso dall'istituto demoscopico russo VTsIOM nelle scorse settimane, del quale L'Antidiplomatico aveva già parlato, ha dimostrato che il consenso del presidente russo in patria ha raggiunto livelli senza precedenti, segnando il record dell'89,9%. Ma cosa si nasconde dietro il successo del presidente russo. Su questo si è scritto molto nelle scorse settimane. Diversi analisti hanno provato a dare la propria opinione in maniera distaccata rispetto al fascino calamitante di Putin, arrivando a diverse conclusioni.

Essenzialmente il leader del Cremlino copre con la sua presenza e la sua politica determinata quel vuoto di leadership che l'Europa, ma l'occidente più in generale, soffre tremendamente. L'era dei Blair, dei Berlusconi, dei Bush e degli Schroeder è finita da un pezzo e chi è venuto dopo, Merkel compresa, nonostante spicchi come la migliore tra i peggiori, non sono riusciti a coprire quello che sta diventando il più grave handicap dell'Unione Europea. Così Putin ha trasformato in un bene (la sua tendenza dispotica e dittatoriale, che esiste, inutile prenderci in giro, anche se non nella misura denunciata e amplificata dall'occidente) quello che per molti era un male.

Piace Vladimir, piace perché in una società che si sta rapidamente laicizzando e favorendo il multiculturalismo a scapito delle tradizioni cristiane, è diventato il baluardo dell'identità nazionale e degli antichi valori, unico capace di combattere l'avanzata dell'estremismo islamico e dei tagliagole dell'Isis, combattuti fino ad ora con poca convinzione da Usa e Unione Europea. Affermare ciò, non significa tifare per lui, ma constatare la realtà. Lo abbiamo visto in Siria con quest'asse Mosca-Damasco, che ha rafforzato l'antico legame tra Putin e Assad. Mentre uno spaesato Barack Obama ha rifiutato il dialogo con il presidente siriano, il leader russo ha aperto le porte della diplomazia. Risultato: tutte le decisioni sulla Siria passano da lui. Così a margine del prossimo G20, che si terrà ad Antalya, in Turchia, tutti vogliono incontrarlo. Erdogan, Cameron, Merkel e via via tutti i maggiori capi di Stato europei.

Per non parlare del Medio Oriente, dove la politica di Putin sta raccogliendo i suoi frutti. Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, tutti paesi dove principi e sultani fanno a gara per ingraziarselo. Dal 9 all'11 novembre toccherà a Sabah al-Ahamad al-Jaber al-Sabah, emiro del Kuwait, che sarà in Russia per discutere proprio di Medio Oriente e Nord Africa. Persino Donald Trump, in corsa per diventare il candidato dei repubblicani alle elezioni presidenziali del 2016 in Usa, gli ha aperto le porte. «Credo che possiamo avere un rapporto molto buono con la Russia e che avrò un rapporto molto buono con Vladimir Putin», ha detto ieri. Segno che qualcosa, anche nella coscienza degli americani, da sempre ostili alla Russia, qualcosa sta cambiando.