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Come avevamo già messo in guardia nel giugno 2015, gli Stati Uniti hanno annunciato ufficialmente che inizieranno le operazioni terrestri in Siria utilizzando le Forze Speciali. Il Washington Post nel suo articolo "Obama tenta di intensificare le operazioni in Siria con le truppe per le operazioni speciali" riporta che:
Il presidente Obama sta inviando un piccolo contingente di Forze Speciali nel nord della Siria, attuando così il primo effettivo dispiegamento di truppe degli Stati Uniti in quel caotico paese. La missione mostra un cambiamento profondo nella strategia di Obama, la cui determinazione nello sconfiggere lo Stato Islamico in Iraq è sempre stata controbilanciata dalla costante preoccupazione di non consentire un coinvolgimento troppo marcato delle truppe statunitensi nell'irrisolvibile conflitto siriano. Gli ultimi sviluppi coinvolgeranno meno di 50 istruttori delle Forze Speciali che opereranno con i gruppi della resistenza che combattono lo Stato Islamico nel nord della Siria, ma, secondo i funzionari dell'amministrazione Obama, non saranno coinvolti in combattimenti diretti.


L'ingresso delle Forze Speciali in Siria è solo l'inizio


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Se da una parte gli Stati Uniti asseriscono che questa mossa serve a "sconfiggere lo Stato Islamico (ISIS)", dall'altra questa è invece una chiara manovra per instaurare in Siria le tanto agognate zone "tampone" o "di sicurezza", dove al governo siriano sarebbe impedita ogni operazione. Sicuramente, per dare copertura a queste Forze Speciali verrebbe usata anche la forza aerea degli Stati Uniti, creando, nelle aree in cui essi sarebbero operativi, una zona di non sorvolo a tutti gli effetti.

La mappa che accompagna l'articolo del Washington Post mostra chiaramente come il territorio dell'ISIS comprenda a malapena l'ultimo corridoio utile per far arrivare i rifornimenti a questo gruppo terroristico (e anche ad altri, compresi al-Qaeda e al-Nusra) dal territorio della Turchia, paese membro della NATO. E' molto probabile che le Forze Speciali americane comincino le operazioni in queste aree e nelle zone che verranno liberate in seguito, man mano che l'operazione americana si espande.

Il probabile risultato, se queste operazioni avranno successo, sarà la divisione e la distruzione della Siria come stato-nazione. Questa è qualcosa di più di una semplice ipotesi, è una conclusione ricavata da documenti politici, datati e firmati, del Brookings Institution, che aveva chiesto l'istituzione di queste zone fin dall'inizio del 2012, anche se con altri pretesti artificiosi.

Nel marzo del 2012, il "Middle East memo N°21" del Brookings Institution, "Valutando le opzioni per un cambio di regime" diceva chiaramente che (enfasi aggiunta):
Un'alternativa agli gli sforzi diplomatici sarebbe quella di focalizzarsi dapprima su come porre fine alle violenze e su come ottenere l'accesso per gli aiuti umanitari, come è stato fatto sotto la presidenza di Annan. Questo potrebbe portare alla creazione di zone protette e di corridoi umanitari la cui sicurezza dovrebbe essere garantita da una limitata forza militare. Questo naturalmente potrebbe non coincidere con gli obbiettivi degli Stati Uniti sulla Siria e potrebbe mantenere Assad al potere. Partendo da questi presupposti è comunque possibile che un'ampia coalizione, con il giusto mandato internazionale, possa aggiungere ai suoi sforzi una ulteriore azione coercitiva.
Più recentemente, nel giugno del 2015, un documento del Brookings si intitolava letteralmente: "Decostruire la Siria: una nuova strategia per la guerra americana più disperata", e veniva chiaramente riportato che (enfasi aggiunta):
"L'idea sarebbe quella di aiutare gli elementi moderati a stabilire delle zone di sicurezza affidabili all'interno della Siria, una volta che siano in grado di farlo. Gli Americani, come i Sauditi, i Turchi, gli Inglesi, i Giordani e tutte le altre forze arabe agirebbero a supporto, non solo dall'aria, ma anche eventualmente via terra, con l'aiuto anche di Forze Speciali. Un approccio di questo tipo avrebbe dalla sua il vantaggio del terreno siriano aperto, di tipo desertico, che permetterebbe la creazione di zone di sicurezza che potrebbero essere monitorate tramite l'impiego di combinazioni di tecnologie, pattuglie e altri metodi al di fuori delle forze speciali, per aiutare i combattenti siriani locali."
Sfortunatamente per i politicanti americani, le Forze Speciali americane non si devono solo più preoccupare solo della Siria e della sua aviazione. La Russia, su invito di Damasco, sta ora operando militarmente su tutta la Siria, anche lungo il confine con la Turchia, dove gli Stati Uniti hanno cercato a lungo di stabilire le loro "zone di sicurezza".

Gli Stati Uniti si sono impegnati apertamente all'invasione e all'occupazione del territorio siriano. Per arrivare a questo, l'intenzione è quella di suddividere la Siria in una serie di zone deboli e disorganizzate, in modo da "smantellare" letteralmente la Siria come entità statale funzionante. Tutto questo senza che si possa citare una singola minaccia credibile da parte della Siria verso gli Stati Uniti e senza neanche la sembianza di un mandato delle Nazioni Unite. Si fa questo anche con la prospettiva di scatenare una guerra diretta con una potenza atomica come la Russia, in una regione dove la Russia sta operando in modo del tutto legale.


Una mossa disperata per salvare una agenda fallita

Le ultime azioni americane sono la mossa disperata del potere politico e finanziario-corporativo di Washington e Wall Street, ormai sempre più isterico. Le recenti sedute del Comitato sulle Forze Armate del Senato degli Stati Uniti hanno cercato di dare una risposta credibile alla cospirazione criminale che l'America sta sviluppando nei confronti della Siria, in modo particolare dopo i recenti interventi della Russia. Il comitato e i testimoni chiamati ad intervenire hanno cercato di formulare una risposta, anche se non si è discusso abbastanza a lungo di zone di non sorvolo e di truppe americane sul terreno.

E' un bluff calcolato malamente. La presenza delle Forze Speciali e dell'Aviazione Americana in operazioni illegali al di dentro e sopra la Siria, volta ad impedire alla Siria l'accesso al proprio territorio, avrà bisogno di tempo per essere implementata. Si dice che il numero di uomini delle Forze Speciali mandati in Siria non supererà le 50 unità. La Siria e i suoi alleati possono dispiegare lo stesso o un numero maggiore di Forze Speciali nelle stesse aree per creare essenzialmente una "zona di sicurezza" ricavandola da altre "zone di sicurezza". Anche il denunciare le azioni illegali dell'America presso le Nazioni Unite potrebbe essere un buon mezzo per evitare un potenziale confronto con le forze americane che operano in Siria non invitate.

La premessa che L'ISIS vada combattuto e sconfitto colpendolo in Iraq e Siria è vanificata dalla stessa ammissione da parte americana che l'organizzazione si sarebbe ormai diffusa ben oltre i confini delle due nazioni. L'ISIS non è chiaramente in grado di auto-sostenersi con le limitate risorse che può trovare all'interno dei territori che occupa. Se gli Stati Uniti fossero veramente interessati a fermare l'ISIS, dovrebbero bombardare i suoi sponsor ad Ankara e Riyad. Naturalmente era già chiaro più di un anno fa che la comparsa dell'ISIS sarebbe stata volutamente adoperata dagli Stati Uniti per conseguire i suoi obbiettivi geopolitici in Siria e in Iraq, usandola come pretesto per il tanto a lungo agognato e più esteso intervento militare dell'Occidente.

Il mito che la suddivisione e la distruzione della Siria, con la deposizione del governo in carica, possa in qualche modo alleviare la violenza in Siria e ridurre l'attuale crisi dei migranti che ora l'Europa si trova ad affrontare, è contraddetto dal fatto che gli stessi argomenti sono stati usati per giustificare l'intervento in Libia, che ha solo aumentato il caos nel Nord-Africa e creato in primo luogo il problema dei migranti.

Se il mondo, Europa compresa, vuole cercare di prevenire il diffondersi dell'ISIS e l'espansione di una sempre più grave crisi dei migranti, deve diventare una priorità assoluta fermare gli Stati Uniti e i loro partners prima che creino un'altra "Libia" nel Medio Oriente. E, mentre è assai improbabile che l'Europa dia qualche segnale di volersi muovere in questa direzione, si spera che la Siria e i suoi alleati capiscano le conseguenze di crollare ora, con questa situazione, e verso quali confini il caos tenterà poi di dirigersi.

Articolo di Tony Cartalucci pubblicato su New Eastern Outlook il 31 ottobre 2015
Tradotto in Italiano da Mario per Sakeritalia.it

Articolo originariamente pubblicato su New Eastern Outlook