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Un tempo erano solo i computer ad essere a rischio hacker. E nemmeno tutti, ma solo quelli delle grandi aziende o istituti bancari, dove il gioco dell'intrusione valeva la candela delle informazioni da sottrarre. Oggi non è più così. I dati che fanno gola agli hacker e ai criminali informatici, in gergo cracker, siamo noi, le nostre identità digitali, le storie che raccontiamo ogni giorno in rete. Il motivo è semplice: le trasposizioni in bit di ciò che siamo svelano tanto delle abitudini che ci portiamo dietro.
Postare su Facebook l'ora in cui si va e si torna da lavoro, pubblicare troppe foto da un posto lontano da casa o far capire quanto si tiene al proprio gatto sono degli elementi che possono facilitare la vita ai ladri, virtuali e reali, che sfruttando il potere dei social possono studiare il momento giusto per violare un appartamento e scoprire la combinazione di cassette di sicurezza e casseforti. Insomma condividere le proprie esperienze è sempre bello ma sarebbe meglio farlo con parsimonia e misura, per evitare che il libro aperto diventi un passe-partout per gli estranei.
C'è paura ma poca cautela La digitalizzazione della sfera personale non ha di certo aiutato, ponendo in essere nuove sfide di sicurezza che riguardano non solo chi dovrebbe preoccuparsi di proteggere il dato ma anche il legittimo possessore, l'utente, che non sempre è attento a ciò che compie su internet e ai modi con cui mette a rischio la propria incolumità.
La sicurezza delle persone sul web dipende da diversi fattori.Prima di tutto dalla capacità di prendere decisioni corrette. Le abitudini online possono aiutare a proteggere vita digitale, denaro e informazioni personali, oppure possono trasformare chiunque in una preda facile per i cybercriminali. Secondo una recente indagine di Kaspersky Lab,
leader nel settore della sicurezza informatica, i navigatori sono sempre più preoccupati dalle minacce telematiche ma nonostante ciò conservano con maggiore semplicità le informazioni personali sui dispositivi mobili. Ciò rende necessario una completa rieducazione nell'utilizzo degli strumenti informatici, soprattutto gli smartphone, che rappresentano oramai un tesoro inestimabile per i ladri virtuali.
Londra al centro del mondo informaticoKaspersky Lab porta avanti da anni un concreto piano di informazione, scaturito nel 2015 nell'apertura di un Centro Europeo di Ricerca con sede a Londra. Da qui gli esperti studiano i trend delle minacce globali che puntano obiettivi sparsi in tutto il continente, supportando e aiutando singole aziende e operatori ad affrontare con i giusti mezzi gli attacchi. Non solo software dunque ma una comprensione a 360 gradi dei rischi che minano il successo della tecnologia moderna, non per ultimo quello l'Internet delle Cose e degli indossabili. Non è un caso se Kaspersky abbia recentemente annunciato una collaborazione con BioNyfiken, una comunità svedese di bio-hacking, con l'obiettivo di comprendere e analizzare i rischi del "collegamento" del corpo umano ad Internet.
Per comprendere meglio qual è il ruolo dei Lab nella difesa del cyberspazio europeo, abbiamo fatto due chiacchiere con Morten Lehn, Managing Director di Kaspersky Lab Italia.
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In che modo il Centro di Ricerca europeo si inserisce all'interno della rete di hub del gruppo? Qual è il suo compito?Il compito principale del nuovo Centro di Ricerca Europeo, situato a Londra, è quello di aiutare clienti e partner di tutta Europa a identificare, difendere e eliminare le minacce non ancora note, fornendo la possibilità di ricevere informazioni utili e dettagliate dagli esperti di Kaspersky Lab. ll primo centro di ricerca europeo rafforza ulteriormente la presenza internazionale di Kaspersky Lab, inserendosi all'interno della rete di hub già presenti in Russia, Stati Uniti e Cina. È la sede principale dei membri del Regno Unito del Kaspersky Lab Global Research and Analysis Team (GReAT) e di un più ampio team anti-malware, che lottano in prima linea contro le minacce informatiche. I ricercatori lavorano a stretto contatto con i colleghi degli altri centri Kaspersky Lab in tutto il mondo per condividere i dati sulle minacce più recenti che colpiscono organizzazioni e individui. I nostri Lab rilevano a livello mondiale più di 325 mila nuovi malware quotidianamente, con un incremento di 10 mila malware al giorno rispetto al 2014.
"L'Italia è nella top ten dei paesi più infetti"Qual è la situazione dell'Italia nel più ampio panorama di obiettivi di hacker e cracker in Europa?È simile a quella di altri Paesi sviluppati, ovvero la diffusione delle minacce va di pari passo con quella dell'ICT, ed in particolare di applicazioni quali Mobile computing, Cloud, Social Media, automazione industriale, Internet of Things e così via. Secondo il rapporto del Clusit pubblicato recentemente, nel 2014 il valore delle perdite subite in Italia da cittadini, aziende ed istituzioni a causa di attività di cybercrime è stimato in 9 miliardi di euro, mentre il tasso di crescita degli attacchi che abbiamo registrato nel primo semestre 2015 rispetto all'anno precedente (che sono solo la punta dell'iceberg rispetto al totale) è stato del 10%.
Guardando, invece, alla posizione dell'Italia in quanto "stato minaccia, da cui partono attacchi diretti al resto del mondo", purtroppo siamo nella top ten della classifica: le case dei nostri concittadini sono piene di computer infetti, a disposizione delle organizzazioni criminali che li utilizzano per sferrare attacchi, truffe e quanto è più remunerativo per i criminali. Questo perchè il livello di consapevolezza medio del problema è ancora purtroppo molto basso. Basterebbero davvero poche e semplici azioni, quali una soluzione di sicurezza aggiornata e l'applicazione degli aggiornamenti di sistema, per farci uscire almeno dalle prime dieci.
Il trend di attacchi cibernetici è in calo o in rialzo nel nostro paese? Quali sono le minacce più comuni?In notevole crescita e in linea con quello europeo e mondiale e non ci sono al momento indicazioni che possa calare nel breve periodo. Oggi la superficie di attacco complessiva esposta dal nostro Paese nel cyberspazio tende a crescere più velocemente della capacità di difenderla, anche perchè i livelli di sicurezza spesso inadeguati consentono ai criminali di compiere con facilità una serie di reati su larga scala (per esempio l'estorsione tramite malware quali cryptolocker, il phishing di credenziali bancarie, l'uso online di carte rubate per realizzare truffe), guadagnando cifre importanti. E' estremamente importante che tutti i soggetti coinvolti (istituzioni, imprese, cittadini) decidano di investire più tempo e risorse per la sicurezza informatica, che nel giro di pochi anni è diventata un problema critico, tanto che il Direttore di Europol ha dichiarato che "il cybercrime è oggi una delle principali minacce a livello continentale ".
Quanto ha contribuito lo scandalo del Datagate nella rinnovata comprensione, da parte di tutti, della necessità di proteggere la propria identità digitale?Lo scandalo Datagate ha certamente puntato i riflettori sul tema privacy. Secondo noi, il modo in cui le persone reagiscono dipende molto dal momento in cui viene misurata questa reazione. Ad esempio, se analizzassimo la reazione delle persone subito dopo una violazione o la rivelazione dell'accesso ai dati personali di un governo otterremo risultati differenti rispetto a ciò che accadrebbe dopo un attacco terroristico, quando l'entità della notizia farebbe apparire la sicurezza pubblica più importante. Uno dei maggiori problemi per quel che riguarda l'essere compiacente, però, è che gli utenti non sempre sanno come comportarsi in queste situazioni. Quindi, anche se l'attenzione sull'argomento potrebbe essere aumentata, non necessariamente questo ha inciso sull'attenzione che le persone prestano nel proteggere sé stessi.
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