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Comment: DIMMI COSE BELLE: Fabiola, una trisomia di 31 anni - Prima Parte



Il senso della normalità


Il tempo era un'etenità, di pensiero in pensiero le cose non si facevano mai, i giorni passavano senza concludere nulla, si doveva prendere una decisione, dovevo capire cosa fare, quel discorso fatto dal mio amico medico mi dava da pensare.
" Voi per vostra figlia Fabiola non potete fare nulla, il problema è genetico, fino a quando non si risolve quel problema non c'è nulla da fare (ovviamente sui "geni" non ci sarà mai una soluzione, quelli sono e quelli rimarranno), quel cromosoma in più non si può modificare, inutile portare vostra figlia a destra e sinistra soluzioni non ce ne sono, però tua figlia dipende da voi, voi potete fare tanto per lei, la buona riuscita sta a voi stabilirla".
Per capire questa contraddizione nei termini "non poter fare nulla e fare tutto allo stesso tempo" mi dava da pensare, non capivo se da un lato non c'era nulla da fare, dall'altro lato dipendeva da noi genitori, questo pensiero mi portò a un isolamento totale di una settimana.

Settimana lunga e piena di spunti è stata quella settimana fine ottobre del 1984, giorni di totale isolamento da quel ronzio continuo di "poverina, che dolore, che natura maligna, ecc. ecc. ", parole pronunciate da tutti coloro che facevano visita a Fabiola, che ormai mi davano fastidio, mi portavano ancora più confusione, concetti che non portavano a nulla se non alla disperazione. È stata una settimana dedicata tutta a Fabiola e alla sua crescita, a come iniziare un percorso di crescita che si annunciava non normale e pieno di insidie, settimana chiuso fra quei quattro muri in via Bartolo a Mazzarino e un piccolo bagno adiacente, in piena solitudine, settimana di meditazione per riflettere su quelle parole del mio amico medico, su quella contraddizione in cui vi erano celati i segreti educativi per far crescere una Down.

Tutto, all'inizio mi sembrò molto difficile, il primo giorno è stato difficile capire il senso di quel concetto "non poter fare nulla e fare tutto", la chiave incominciò a trovare la serratura quando mi viene in mente la parola "normale", e si, nei pensieri, nei concetti difficili, nelle soluzioni da prendere si parte sempre con le grosse problematiche, i pensieri si ingarbugliano e si cerca di complicare le cose pensando a soluzioni complicate. I primi gironi ho cercato di discutere tra me è me sulla parola "normalità", mi è sembrato che il concetto di normalità mi dovesse dare una soluzione, in effetti dal terzo giorno in poi ho capito che il considerare normale mia figlia Fabiola era la soluzione giusta. Ma come considerarla normale quando normale non era? Normale per chi è per come? Normale cosa significava? Normale era Simona che cresceva senza porsi tante domande, la mattina era normale fare colazione e comprare questo o quello per accudire la prima genitrice. Quando nasce una figlia con dei grossi problemi la vita si complica e non si pensa alla parola normalità, lo stesso comprare il latte non è normale si doveva ordinare a Palermo e tante volte andarci di presenza per la celerità, imboccarla si doveva fare in un certo modo altrimenti soffocava. Il normale era riferito al comportamento, alla crescita educativa, al fare e al modo di fare, al concetto della comunicazione.
I successivi giorni di quella famosa settimana di isolamento sono serviti a rendere fattibile il concetto di normalità in una situazione che normale non era, soprattutto in via Fiume 1 a Mazzarino (casa dove di mia cognata dove Fabiola trovava ospitalità in quei periodi), dove in quei giorni vi era un via vai di persone che attorno alla culla di Fabiola vi erano persone che con il loro affetto cercavano di portare aiuto ma incutevano e marcavano sempre un senso di anormalità intorno alla culla. Mi rendevo conto che i primi giorni di vita per Fabiola erano importanti e assorbiva come una spugna le emozioni e i sentimenti di quelle persone che di volta in volta si accavallavano nel dare sensazioni di malessere e di disperazione.

Cosa fare in quella situazione? e rendere tutto normale quando la normalità non era quella che in quel momento girava intorno a Fabiola e quando ad ogni concetto sopra vi era un macigno grande come una roccia, quando pronunciare la parola "normale" tutti inorridivano e cercavano di trovarne una soluzione e soluzione non ce nera (a detta dal mio amico medico). Il concetto di normalità, ne ero convinto, mi avrebbe portato a far capire, già nei primissimi giorni della mia figlioletta, a crescere in spirito di semplicità e di assoluta quotidianità che tutti i bimbi hanno bisogno per crescere bene e sani. Il concetto di normalità era indispensabile al fine di creare attimi di sviluppo e crescita in quella creatura dove si abbattevano fuochi e tempeste, la normalità era quel concetto che cercavo e che era indispensabile per far crescere la mia Rosa già di colore rosa.

Quarto giorno, di quella famosa settimana, fu l'inizio di un processo mentale che capovolse il mio umore, iniziai a capire, la soluzione era tutta dentro di me, io che per 4 anni già insegnavo a San Cataldo, mi incominciavo a formare come professionista insegnante mi rendevo conto che per far capire hai ragazzi un concetto didattico ci voleva la mia piena consapevolezza e la ferma coscienza di quel concetto, in sostanza io che insegnavo un mestiere che facevo già da 14 anni ci voleva poco a farlo capire. Un concetto è facile comunicarlo se tu sei dentro quel concetto, se dovevo comunicare che tutto intorno a mia figlia era normale e di conseguenza costruire un concetto di normalità, io dovevo essere in grado di capire che tutto intorno a Fabiola era normale e lei stessa era normale e per fare ciò io in primis dovevo convincermi che mia figlia era normale.
Si capisce benissimo che la cosa non era per niente semplice, ci voleva una grande forza di volontà ed un notevole autoconvincimento. Quel giorno è stato lungo ed estenuante, ma sereno, ho incominciato col dire a me stesso, Fabiola è normale, mia figlia è normale, Fabiola è normale, mia figlia è normale. Alla fine della giornata incominciavo ha vedere un pò di luce all'orizzonte, l'autoconvincimento nei giorni successivi, a completamento di quella favosa settimana di fine ottobre 1984 è stato fruttuoso, ero convinto della normalità di Fabiola, quella normalità dentro l'anormalità era consapevolizzata a tal punto che ne sono uscito vincitore da quella settimana.

Il mio comportamento delle settimane e i mesi, direi anche negli anni successivi a quell'isolamento sono stati incomprensibili a tutto il resto della mia famiglia, chi mi diceva che ero incosciente, chi fuori di testa, il fatto di considerare normale una Down a tutti quelli che mi ascoltavano non sembrava del tutto normale, in effetti non avevano tutti i torti, ma nessuno si era posto il problema di quella mia settimana di isolamento e neanche io spiegavo nulla, per la semplice ragione che non era facile far capire il mio concetto. Più andavo avanti nei giorni più mi rendevo conto che quell'atteggiamento mio nei confronti degli altri era indirettamente proporzionale al disgusto che gli altri provavano nel vedermi li davanti alla culla e fare cose normali e dire che mia figlia era normale. La conseguenza di quelle settimane portava le persone che giravano intorno a Fabiola a non dire più "poverina, che dolore, che natura maligna, ecc. ecc. " motivo ne era il fatto che essendoci io vicino alla culla ed io per loro ero folle, strano e incosciente, nessuno si permetteva di contraddirmi e fare violenza alla mia psiche, avrebbero messo a serio rischio la mia mente, già per loro malata e malsana. Insomma è stata la mia "follia" a determinare la crescita di mia figlia Fabiola.

Cosa mi ha reso e mi rende diverso dagli altri papà?, mi domandavo e tutt'ora mi domando. Non è così per tutti... è nato un figlio, si cambia. Perché il mio cambiare doveva essere diverso? Per via della sua malattia? Per questo? Spesso ho risposto di sì. Ma forse non era la verità. Non era tutta e soltanto la verità. Forse la sua condizione non è stata secondaria, ma non definitiva. A rifletterci tutto poteva stare nell'eco del mio malessere. Difficile separarlo, il mio malessere dalla sua malattia. Forse ci sarebbe riuscito Jiddu Krishnamurti, forse. Non io. E alla fine mi sono convinto che non c'è da ragionarci sopra e solo un fatto di normalità, di fare cose normali e con assoluta semplicità. Non c'è nulla da capire. Nulla da indagare. La risposta è in quel che è accaduto. Ha ragione Wittgenstein: conta il fatto. Solo il fatto. E il fatto è semplice, normale: se c'è un uovo in covata, con dentro un pulcino. Ecco, prima o poi l'uovo schiude e il pulcino nasce e cresce in assoluta normalità.

...."Perché cantano gli uccelli?", disse il Maestro.
Un uccello non canta perché ha qualche dichiarazione da fare.
Canta perché ha una canzone....
Il canto degli uccelli

Anthony de Mello

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