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Viene spontaneo domandarsi: ma il buon esito della riforma costituzionale non doveva essere lo spartiacque che avrebbe impedito la fine dell'Italia e ne avrebbe sancito il rilancio?


Al momento attuale l'intellighenzia nostrana ha ottimi motivi per praticare l'arte della polemica e riempire di fuffa i giornali nazionali: bisogna assegnare le responsabilità politiche relative alla tragedia di Farindola, c'è da dibattere sull'eventuale defenestrazione di Renzi dalla leadership del Partito Democratico, si elaborano frasi e previsioni tanto sciocche quanto banali sul neo-presidente Trump.

Tuttavia, il tema della riforma costituzionale è svanito dall'informazione ufficiale, l'unica "buona" secondo i parametri che si vogliono imporre ai cittadini europei. In verità, l'argomento era scemato di interesse già nel giorno in cui si era consumata la sconfitta al referendum. Viene spontaneo domandarsi: ma il buon esito della riforma costituzionale non doveva essere lo spartiacque che avrebbe impedito la fine dell'Italia e ne avrebbe sancito il rilancio? Ci venivano prospettati scenari apocalittici in caso di sconfitta del Sì e veniva raccontato che mantenendo l'attuale assetto costituzionale sarebbe stato impossibile continuare a governare e a legiferare.

E invece, a oltre un mese di distanza dal fatidico 4 dicembre, è cambiato poco o nulla. Lo spread è costante, Piazza Affari non ha registrato ribassi choc, il debito pubblico continua a lievitare proprio come negli ultimi quarant'anni, la crisi morde ancora il tessuto imprenditoriale e ben 12 leggi sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Insomma, il cielo non è crollato, il mondo non è finito.

Tutto bene, già, ma ci tormenta quella frase pronunciata spesso nei dibattiti televisivi e usata come maglio perforante dai sostenitori del Sì: "le riforme costituzionali ce le chiede l'Europa".

Come dimenticarsi del tour del giovane premier, che girava il pianeta raccogliendo l'appoggio dei più autorevoli leader mondiali, molti dei quali, intanto, sono già scesi dal trono: Obama, Holland, Schulz, Merkel. Dov'é adesso la loro attenzione patologica verso la Costituzione di un Paese straniero? Strano, è sparita anche quella: in un mese non è arrivata una sola parola da parte della Commissione Europea o del Fondo Monetario. Chissà se il premier Gentiloni, al momento di ricevere la lettera dell'UE sulla possibile apertura di una procedura d'infrazione, non si aspettasse in realtà un monito sulla necessità di mettere al primo posto nella sua agenda la modifica dell'assetto istituzionale. Fa impressione rammentare quanti fiumi di parole siano stati versati per dare forza alla propaganda del governo sulla riforma Boschi-Renzi ed è doloroso vedere quanti personaggi pubblici si siano prestati a tenere in piedi il gigantesco teatrino che oggi si mostra per quello che era: nient'altro che il tentativo di far restare sulla scena un personaggio che nonostante tutto era gradito all'establishment comunitario e a certi poteri.

Tuttavia, al Corriere della Sera Mario Monti, un veterano dell'Unione Europea, aveva dichiarato: la UE (...) non ha mai chiesto questa modifica della costituzione.

Nella carnevalata di prezzolati e di finti idealisti a sostegno della riforma costituzionale intravediamo quell'odio che oggi viene riversato sul nuovo Presidente americano. Sarà che le penne sono le medesime, così come le modalità di demonizzazione dell'avversario, ma continuiamo a stupirci che il copione appaia ormai così prevedibile, stanco, visto e rivisto. Ieri gli intellettuali di casa nostra erano pronti a immolarsi sull'altare delle riforme, naturalmente per il bene del Paese; oggi si impegnano nei due minuti quotidiani di odio (quanto l'Occidente del 2017 somiglia all'Oceania di 1984...) e si prodigano nel ridicolizzare Donald Trump. Ed è proprio questa arte di vendersi al politically correct del momento che rende debole e poco credibile l'informazione italiana.

Un'informazione che riesce ad essere coerente nella sua incoerenza: ieri applaudiva il Nobel della Pace a Obama, quello assegnatogli praticamente sulla fiducia; e sempre preventivamente vuole assegnare ora l'Oscar dell'incapacità e della cattiveria a un presidente che si è appena insediato.

Infine, dispiace assai vedere come la riduzione dei costi della politica sia un altro argomento già passato di moda. All'attuale governo, insieme alla nuova legge elettorale, basterebbero tre mesi per far approvare il taglio del numero di eletti in Parlamento e per introdurre una norma anti-ribaltoni. Sono misure che, se andiamo a rileggerci le dichiarazioni dei due fronti referendari, metterebbero tutti d'accordo. Non sarebbe una rivoluzione copernicana, ma darebbe una prima risposta a quanto chiede da tempo il popolo italiano; e magari darebbe un'immagine migliore del nostro Paese nel mondo. Ma si sa, le mode passano, così come passano gli slogan elettorali.