bandiera italiana dipinta su asfalto

De Luca, Filippeschi, Sala, Muraro e oggi Marra (e qualcuno dice già "domani la Raggi"). Le amministrazioni regionali e comunali in questo post referendum sono investite da inchieste e scandali. Storie diverse, difficili anche solo da confrontare eppure la sincronia delle iniziative di Cantone e delle varie procure fa pensare.
Che il compito prioritario del governo Gentiloni, quello di garantire stabilità politica, passi anche per le aule dei tribunali e le colonne dei giornali? Che anche la magistratura stia iniziando la lunga marcia verso le prossime elezioni?

Del ruolo politico della magistratura tanto si è scritto, tanto si è detto, insisterci ancora sembrerà ai lettori più assidui di questo sito un'inutile ridondanza. Se ci torniamo è solo per sottolineare come il Movimento 5 Stelle viva su questo terreno una contraddizione in cui non riesce ad orientarsi. Da un parte ha reso aspetti fondativi della propria identità l'idolatria della magistratura, l'incontestabilità delle inchieste sulla corruzione e il sostegno alla figura di Cantone, dall'altra sta sperimentando sulla propria pelle l'efficienza della procura di Roma nel disarticolare ogni ipotesi di governo locale in contraddizione con gli orientamenti del governo nazionale (era già successo del resto con le ultime due giunte capitoline, quella di Alemanno e quella di Marino), con Pignatone a fare il bello e il cattivo tempo.

Nessuna "teoria del complotto", non crediamo sia necessario costruire chissà quali montature giudiziarie per sollevare scandali contro questa classe politica vista l'opacità del sistema degli appalti, del funzionamento della macchina amministrativa degli enti locali, delle nomine politiche e visto il ricorso palese e rivendicato al voto di scambio. Si tratta di prendere atto in primis del ruolo politico che la magistratura continua a svolgere nel nostro paese, e in secondo luogo del fallimento dei laboratori amministrativi in cui si sono impegnate le due forze politiche più rappresentative: Milano per il Partito Democratico e Roma per il Movimento 5 Stelle.

Sull'aspetto di crisi propriamente politica, c'è da constatare che le giunte Raggi e Sala stanno scivolando su i loro "cavalli di battaglia". Modello Expo a Milano e trasparenza delle nomine a Roma, in particolare di quelle su cui più forte era stata l'esposizione della sindaca. La vicenda milanese ridicolizza il ruolo di "capitale morale" attributo al capoluogo lombardo da Cantone meno di un anno fa mentre le vicende romane danno la bordata (finale?) alla vuota retorica sull'onestà dei 5 stelle. Con una importante differenza, però. Innanzitutto, la retorica renziana dell'innovazione contiene già gli anti-corpi contro gli accidenti giudiziarie che si potrebbero incontrare lungo il cammino del Progresso, in particolare in una contrapposizione rivendicata ai desueti "lacciuoli" amministrativi che stringono le energie propulsive della creatività imprenditoriale di cui è simbolo la capitale meneghina. Ma soprattutto nella possibilità materiale di proseguire il proprio piano di governo grazie al totale controllo dei gangli intermedi dell'amministrazione indipendentemente dall'ibernazione temporanea di Sala. L'ostentata tranquillità con cui il sindaco di Milano si è auto-sospeso dall'incarico ci dice molto su questo punto. Tali considerazioni non valgono di certo per Viriginia Raggi a Roma, che paga l'inconsistenza, innanzitutto semantica, della narrazione sull'Onestà e si trova ora ad affrontare le radici dell'impossibilità materiale di un governo a cinque stelle della Capitale. La vicenda Marra (ma anche, in diversa misura, Muraro) pongono infatti il Movimento 5 Stelle di fronte ad altre due contraddizioni profonde.

La prima è l'impossibilità di fare tabula rasa della macchina amministrativa che di fatto contribuisce al governo delle città in modo determinante. Era già evidente nelle vicende Atac e Ama, lo spoil system con cui le giunte degli ultimi vent'anni hanno reso le aziende municipali il proprio bacino elettorale non può essere cancellato con un colpo di spugna. I dirigenti amministrativi scelti da Rutelli, Veltroni e Alemanno continuano a esercitare un potere nella macchina burocratica in grado di ipotecare la possibilità di cambiare effettivamente qualcosa, la scelta possibile è stretta tra la nomina di incompetenti (nel senso, per lo meno, di inesperti del funzionamento immancabilmente corrotto della macchina amministrativa) e la nomina di "compromessi" con i poteri forti cittadini. Su questa contraddizione entrano in crisi le parole d'ordine di onestà e trasparenza.

La seconda è legata a questa possibilità di cambiamento al centro della comunicazione grillina: giornali, governo, poteri romani hanno un'idea chiarissima di quale sia il cambiamento necessario per la capitale, lo hanno anche fatto diventare legge con il Salva Roma, privatizzare tutto iniziando da Atac e Ama. La giunta Raggi fino ad oggi si è opposta strenuamente a questa ipotesi ma già nelle prossime ore, con il bilancio da approvare in Aula Giulio Cesare, sarà nuovamente evidente che nel rispetto delle regole vigenti e mettendo d'accordo i poteri forti cittadini non c'è possibilità di tutelare gli interessi dei "cittadini".

Il bivio è chiaro: essere la giunta del no alle olimpiadi e alle privatizzazioni o quella che tutela gli interessi dei costruttori sulla questione stadio, degli sgomberi e delle cariche ai senza casa sotto l'albero di natale a piazza Venezia.

La politica nazionale accelera, la magistratura incalza, il tempo stringe.


Articolo originariamente pubblicato su sito: infoaut.org