Renzi il pupazzetto
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Negli ultimi giorni di convulsa campagna referendaria abbiamo assistito a funamboliche capriole elettorali da parte degli esponenti del governo Renzi, ma l'uscita più ardita rimane quella del premier, che ha tentato di sdoganarsi quale nemico dell'establishment che comanda in Europa.
"Сredo che Dijsselbloem (presidente dell'Eurogruppo) non abbia grande consapevolezza di come vanno le cose in Italia. Ma il giorno dopo il referendum, se le cose andranno bene, chiederò al Parlamento di essere autorizzato a mettere il veto sul bilancio Ue se l'Europa non cambia politiche sui migranti".
Il politico olandese, contrario ad allargare i cordoni della borsa comunitaria in favore dell'Italia, aveva infatti attaccato affermando che
"in nome della credibilità congiunta dobbiamo essere coerenti tra quello che facciamo e quello che diciamo. E' importante che gli stati membri rispettino quel che è stato concordato sul raggiungimento dell'equilibrio strutturale. Non vi è spazio per dare maggiore spazio di manovra alle politiche di bilancio nell'ottica di sostenere la crescita".
Forse è proprio perché sa come vanno le cose in Italia, che il presidente dell'Eurogruppo vorrebbe bloccare sul nascere l'ennesima esplosione di spesa pubblica incontrollata. Un'opinione condivisa da diversi altri politici, come il tedesco Schaeuble e il lussemburghese Juncker, già entrati peraltro in conflitto acceso con il premier italiano. Il Presidente della Commissione Europea aveva replicato piccando alle sortite scomposte del baldo fiorentino: L'Italia non cessa di attaccare la Commissione, a torto, ma questo non sortisce i risultati sperati.
"L'Italia oggi può spendere 19 miliardi di euro in più di quelli che avrebbe potuto spendere se io non avessi riformato il patto di stabilità nel senso della flessibilità. Non si deve più dire, o se si vuole dirlo si può farlo, ma di fatto me ne frego (je m'en fous, NdR), che le politiche di austerità sarebbero state continuate da questa Commissione come erano state messe in atto in precedenza".
E Juncker parla anche nel merito, sollevando pesanti ombre sui conti presentati all'UE dal ministro Padoan. La sensazione è che il governo italiota abbia gonfiato il conto con terremotati e rifugiati per coprire altre partite che è difficile non collegare alle prebende elettorali annunciate da Renzi durante la campagna referendaria. Per carità, sappiamo che in Italia la politica è anche questa, ma speravamo di averla superata con la fine della Prima Repubblica: invece i resoconti dei maggiori giornali sui comizi del governatore campano De Luca dimostrano che quelle brutte abitudini non sarebbero mai cessate...

La questione centrale resta l'inversione di tendenza di Renzi, fulminato sulla via del 4 dicembre e scopertosi quasi euroscettico, lui che populista lo è sempre stato nell'accezione più meschina del termine. Partiamo da un dato incontrovertibile: l'Italia è uno dei tre Paesi UE che fra luglio 2014 e giugno 2016 non si sono mai opposti né astenuti su nessuna delle 148 decisioni prese dal Consiglio dell'Unione europea. E pensare che di argomenti interessanti dove l'Italia poteva votare contraria ce n'erano tanti.

Qualche esempio: il nuovo Regolamento sulle "condizioni zootecniche e genealogiche per l'allevamento, il commercio e l'ingresso nell'Unione di animali riproduttori di razza pura, suini ibridi riproduttori"; la Direttiva sulle norme che regolano "le azioni di risarcimento danni in base al diritto nazionale per violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea"; il Regolamento che abroga la direttiva CEE sulla fissazione del tenore massimo in acido erucico negli oli e grassi. Insomma, c'era già materiale per dimostrare il suo patriottismo, ma Renzi per due anni è stato zitto. Ora invece a ridosso del voto spunta fuori la vena anti-UE del nostro dinamico premier: una mutazione incredibile per un politico che, cifre alla mano, era stato il perfetto "yesman" dell'Unione europea. Eppure poteva avere un ruolo meno asservito, godendo della più grande pattuglia di eurodeputati in una stessa formazione politica (Pse) grazie a quel famoso 40% raccolto durante le ultime elezioni europee, ed essendo divenuta l'Italia l'ago della bilancia per il futuro dell'euro dopo i problemi della Grecia e l'uscita della Gran Bretagna.

Probabilmente Renzi non si è reso conto del potere contrattuale che aveva nelle mani e non l'ha mai utilizzato per difendere il suo Paese, per esempio in situazioni delicate come la liberalizzazione dell'importazione dell'olio tunisino in territorio nazionale. Abbiamo però una serie di personalità europee che dopo l'avvento di Trump si sono affrettate a offrire sostegno a Renzi per la tornata referendaria: gli stessi Juncker e Schaeuble, ora sorridenti e amichevoli, la stessa Merkel e persino l'OCSE. Ogni ora si aggiunge un esponente delle èlite finanziarie e comunitarie per sostenere la campagna del Sì, proprio come era avvenuto a supporto di Tsipras per il referendum greco e in favore di Cameron contro la Brexit. Il 4 dicembre si vedrà se vinceranno le pressioni internazionali su uno Stato sovrano oppure i cittadini, i quali di fatto sono chiamati a esprimersi contro un governo che sembra tutto tranne il riformatore progressista che dice di essere.