Merkel Obama
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La Cancelliera si ricandida. Ormai quello di Angela Merkel è un destino manifesto. Come si è visto anche ieri nel tour europeo di Barack Obama che l'ha riempita di elogi. Una ricandidatura che secondo molti analisti rappresenta la risposta di certo mondo alla vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti.

La Merkel e la sua Germania, infatti, rappresenterebbero l'ultimo baluardo d'Occidente alle forze ostative al fondamentalismo liberista, che ha nell'attuale forma di globalizzazione il suo compimento.

Un ordine del mondo messo in discussione dalla Brexit e, in maniera ancor più radicale, dalla vittoria di Trump, almeno a stare al programma che il nuovo presidente ha enunciato nella sua vittoriosa campagna elettorale.

Non si tratta, certo, di porre fine alla globalizzazione, che ormai appartiene al destino, ma di porvi dei correttivi. Il problema è che la forma di liberismo imperante, per la sua natura fondamentalista (non è un caso che si sia sviluppata in parallelo ad altri fondamentalismi, ad esempio quello islamico), vede in ogni possibile correttivo una minaccia esistenziale.

Da qui la necessità di una resistenza, della quale la ricandidatura della Merkel sarebbe passo necessario. Ciò perché l'Unione europea è uno dei pilastri dell'attuale forma di globalizzazione. In particolare da quando il Vecchio continente ha mutato la sua fisionomia: da comunità creata per associare i destini dei popoli del Vecchio continente a una unione di Stati legati da soli vincoli finanziari sotto la rigida tutela tedesca.

Un mutamento radicale che ha visto in parallelo la consegna del continente ai nuovi padroni del mondo globalizzato: non più i rappresentanti dei popoli, ma i funzionari (e/o delegati) delle banche e della grande finanza.

Si va alla resistenza, quindi. Sotto la guida non disinteressata di Angela Merkel, il cui successo politico è stato costruito proprio su tale assetto dell'Europa e del mondo.

E però c'è da segnalare un particolare non secondario di questa nuova avventura della Cancelliera. Essa infatti ha inizio con il suo endorsement a Frank-Walter Steinmeier per la presidenza della Repubblica Federale di Germania, avvenuto dopo non poche perplessità e in parallelo alla vittoria di Trump.

Non si tratta di un'indicazione che nasce solo da un'esigenza di stabilità interna legata al perdurare del compromesso tra socialdemocratici e cristiano democratici sul quale la Merkel ha fondato la sua permanenza al potere.

Essa, infatti, non può prescindere dal profilo dell'uomo designato alla presidenza, da sempre fautore del dialogo tra Berlino e Mosca, linea che ha portato avanti anche nei momenti di maggiore attrito tra Oriente e Occidente, attirandosi le relative critiche.

Così tale designazione può avere anche un altro livello di lettura, ovvero quello di un possibile riposizionamento della Germania nel solco di una nuova distensione tra Occidente e Russia, prospettiva questa indicata da Trump nel corso della sua campagna elettorale.

D'altronde da quando è crollato il Muro, la Germania vede nell'Europa dell'Est un'area privilegiata per la sua proiezione internazionale. E nella Russia un interlocutore più che prezioso.

Così la nomina di Steinmeier alla più alta carica dello Stato appare un modo per indicare e blindare tale prospettiva. Se si tiene conto che una stretta partnership tra Russia e Germania, associando le risorse russe alla tecnologia e alla finanza tedesche, può dar vita al polo produttivo forse più importante del mondo, si comprende la portata della posta in gioco.

Una partita ancora tutta da dipanare, e che certo troverà contrasto internazionale (sul punto vedi anche Piccolenote.it). Ma che la Germania si prepara a giocare potendo contare su una nuova e più decisa presa sull'Unione, dal momento che il nuovo corso americano, votato (sembra) all'isolazionismo, renderà gli Stati europei orfani e quindi necessitati a una nuova copertura globale.

Ma che potrebbe giocare anche in proprio, se la spinta anti-globalizzazione provocata dalla vittoria di Trump dovesse, come sembra, favorire le forze centripete del Vecchio Continente, con conseguente dissoluzione degli attuali vincoli associativi. In quest'ultimo caso, la Germania sembra aver già pronto un piano B, non ancora all'orizzonte degli altri Stati membri della Ue.