Abu Omar


Milano, 17 Febbraio 2003. L'imam Abu Omar si sta recando in moschea, quando viene improvvisamente rapito da dieci agenti della C.I.A. viene chiuso in un furgone, pestato a sangue e trasferito in Egitto con uno dei voli segreti dei servizi americani; si tratta di un vero e proprio caso di extraordinary rendition, strumento utilizzato dagli Stati Uniti negli anni di lotta internazionale al terrorismo, consistente nel rapimento di un sospetto in un paese straniero, conducendolo poi in un paese terzo senza leggi anti-tortura.


Omar era tenuto sotto stretta sorveglianza dal SISMI (Servizio Informazioni e Sicurezza Militare), per presunti collegamenti con le organizzazioni del fondamentalismo islamico. L'imam veniva subito trasferito in Egitto, dove subisce torture e soprusi da parte degli agenti dei servizi segreti americani. Il Corriere della Sera, il 27 giugno 2005, scrive:
"È Abdelhamid Shari, direttore laico dell'Istituto islamico di viale Jenner a Milano, a confermare che l'imam rapito dalla Cia nel febbraio 2003 è detenuto in una prigione egiziana. Quella di Al Tora sulla Corniche del Cairo, come il Corriere ha rivelato due giorni fa. I familiari di Abu Omar - aggiunge Shari - hanno la possibilità di visitarlo ogni sette-dieci giorni: l'ultima volta pochi giorni fa. L'imam è provato per quanto ha patito in cella e le tracce delle sevizie «sono visibili sulla sua pelle»."
Lo stesso Corriere della Sera fa notare come sia strano il comportamento dell'Egitto. Dopo aver accettato di ricevere l'imam, nel febbraio 2003, appena un anno dopo Abu Omar viene rilasciato. La condizione per la libertà era però il silenzio, condizione espressamente non rispettata, in quanto non solo a pochi mesi dal rilascio c'è stato un nuovo internamento, ma fu lo stesso Abu Omar a denunciare le torture subite dagli agenti egiziani e americani. Scrive infatti il Sole 24 ore l'8 Gennaio 2007:
Sono stato appeso a testa in giù come un bue al macello, con le mani legate dietro la schiena e i piedi legati, sono stato sottoposto a scosse elettriche su tutto il corpo, specialmente alla testa per indebolirmi il cervello». Legato a un materasso sarebbe stato inondato da un getto d'acqua gelida collegato a una fonte di elettricità. «Ero vicino alle camere della tortura per lunghi periodi. Udivo i lamenti e le grida degli altri, volevano farmi crollare psicologicamente». Secondo El Zayat, Abu Omar ha tentato di togliersi la vita almeno una volta. Sempre secondo il legale, un uomo, apparentemente americano, sarebbe stato presente agli interrogatori. I sospetti ricadono su Robert Seldon Lady, il capo della Cia a Milano, che ha raggiunto il Cairo quattro giorni dopo l'arrivo di Abu Omar e vi sarebbe rimasto per due settimane."
Proprio in questi giorni Seldon Lady, l'ex capo della C.I.A. a Milano, ha infatti ottenuto - insieme all'agente Betnie Medero - due anni di grazia dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Gli anni di reclusione per Seldon Lady sono ora scesi a 4, dunque sotto la soglia necessaria per procedere all'estradizione negli States, come annunciò l'allora ministro Severino. Il segreto di Stato sul caso Omar è stato mantenuto da tutti i governi italiani dal 2003 a oggi, dove finanche il governo Renzi - che aveva promesso la cancellazione di molti segreti di Stato - non fornisce nuove rivelazioni.

Anche alcuni agenti del SISMI sono indagati, insieme ad altri agenti C.I.A., per complicità nel caso. In particolare nella fase di preparazione ed esecuzione del rapimento dell'imam, condotta da agenti di entrambi i paesi, la giustificazione sarebbe che erano passati solo due anni dall'attacco terroristico alle Twins Tower. Certo, la cooperazione sul piano internazionale nella lotta al terrorismo è un punto fondamentale del Diritto Internazionale, non a caso quest'anno abbiamo assistito più volte alle richieste - non ascoltate e spesso derise - del presidente russo Vladimir Putin di rafforzare un'alleanza comune contro Daesh. Ma il problema è qui più vasto: non si tratta di giudicare o meno l'appartenenza di Abu Omar a nuclei terroristici, e neanche quella di rifiutare la cooperazione dei Servizi Segreti tra paesi; bensì quella di far in modo che tale cooperazione si basi sui princìpi di rispetto della sovranità dei paesi coinvolti, evitando dunque pressioni estere su questioni che hanno a che fare con la condivisione di intelligence.

Sappiamo bene che in Italia il potere politico e quello giudiziario si sono più volte incontrati e scontrati, così come sappiamo bene che spesso entrambi sono sconfinati nei rispettivi campi di competenza. Questa volta però, oltre a essere presente uno sconfinamento interno (la vicenda è stata sottoposta all'attenzione della Corte Costituzionale per conflitto tra poteri), c'è anche un conflitto esterno e fondamentale: com'è possibile che una democrazia, un paese basato sulla suddivisione del potere esecutivo, legislativo e giudiziario, sacrifichi uno di questi sotto richiesta di un altro paese?

Lungi dal fare l'elogio del sistema democratico liberale, bisognerebbe che però, almeno dai suoi rappresentanti, venisse rispettato e onorato a pieno. Bisognerebbe pretendere dai nostri governanti un'assoluta intransigenza sulla tutela della sovranità del Paese, per lo meno su questioni di primaria importanza come quelle che toccano il potere giudiziario, emblema stesso del sistema democratico. Nessun appello alla libertà contro il terrorismo può essere efficace, senza l'indipendenza e la risolutezza necessarie per perseguire i propri interessi nazionali, giusti o sbagliati che siano. Come diceva Robespierre "La libertà consiste nell'obbedire alle leggi che ci si è date e la servitù nell'essere costretti a sottomettersi ad una volontà estranea."