mattarella
© EUTERS / Alessandro Bianchi
Si apre così una crisi senza precedenti nella storia politica del secondo dopoguerra in Italia. Una crisi che si può definire "europea", poichè dice una cosa inequivocabile: che la maggioranza dell'elettorato italiano ritiene necessario cambiare la politica dell'Europa, cambiare l'Europa così com'è. E basta. Niente di più, ma anche niente di meno.

E l'esito — provvisorio, del tutto provvisorio — dice che la classe dominante italiana, quella che ha condotto il paese alla crisi attuale, al debito pubblico oltre i 2300 miliardi di euro, a sei milioni di famiglie povere, alla disoccupazione giovanile al 50% nel sud, al disastro dei servizi sociali, alle privatizzazioni selvagge, alla stagnazione, al precariato generalizzato, non solo non intende andarsene, ma si appoggia al ricatto dei "mercati" e pretende che esso abbia la meglio sul voto popolare.

Interprete di questa "strana idea" è stato il presidente della Repubblica, Mattarella, che ha spiegato, esplicitamente, il suo pensiero. Così contravvenendo all'articolo 1 della Costituzione, sulla quale ha giurato, che suona inequivocabile così: "la sovranità appartiene al popolo".

La "scusa" scelta è stata la designazione, a Ministro dell'Economia del nuovo governo, del professore Paolo Savona, "accusato" da Mattarella di voler uscire dall'Euro. Accusa totalmente infondata, come aveva in extremis fatto sapere l'interessato con un comunicato che si concludeva con le inequivocabili parole:
"Mi batto per un'Europa più forte, e più giusta".
Non è bastato. Mattarella non ha fatto mistero dei suoi pensieri allarmistici e allarmati: un governo con questo ministro sarebbe comunque un segnale negativo per l'Europa. E, dunque, meglio impedire la formazione del governo che correre questo rischio.

Aveva forse previsto che il leader della Lega, Matteo Salvini, e quello dei 5 Stelle, Di Maio, avrebbero ceduto, togliendo di mezzo Paolo Savona e ripiegando su una soluzione diversa. Ma, nel pomeriggio di ieri, i due leader della nuova maggioranza — dopo inediti, drammatici e imprevisti abboccamenti con il Presidente nel corso del pomeriggio hanno risposto picche: non possiamo e non vogliamo cedere a richieste che, palesemente, vengono dall'esterno del paese. Una maggioranza esiste, il premier incaricato, Giuseppe Conte, ha l'elenco dei ministri già pronto, il presidente non ha i poteri per respingere il "governo del cambiamento".

E Mattarella ha varcato il Rubicone decidendo che i "mercati" contano di più del popolo. E lo ha fatto con una ulteriore sfida, annunciando un piano immediato, esclusivamente suo, per un governo del Presidente. Poche ore dopo l'annuncio che oggi egli avrebbe incontrato Sergio Cottarelli, forse per affidargli un incarico. Ma i numeri dicono che, se anche Cottarelli (ex ministro per la spending review del Governo Letta) venisse presentato alle Camere, non riceverebbe la maggioranza.

Ma ciò consentirebbe a Mattarella di mantenerlo in carica, per gli affari correnti e per approvare, con decreto (altra grave irregolarità) una nuova legge elettorale. Sono solo ipotesi, per il momento, tutte segnali di uno scontro che contrappone l'elite politica uscente al voti popolare del 4 marzo. E che prelude a una situazione di scontro politico generalizzato.

La risposta del M5 Stelle è stata subito furibonda, come del resto quella di Salvini per la Lega: proposta di avviare la procedura di Impeachment per attentato alla Costituzione. La Lega, al momento in cui scriviamo, non si è ancora pronunciata chiaramente. Salvini ha invitato alla calma i suoi. Evidentemente pensando che, in caso di elezioni anticipate, il suo successo sarà comunque straripante. Ma perfino la piccola coalizione di destra di Fratelli d'Italia, ha subito annunciato che appoggerebbe l'impeachment.

Se si consolidassero queste posizioni, ci sarebbero I numeri per l'impeachment nelle due camere riunite. E, per Mattarella la situazione diventerebbe incandescente. Ci sono stati solo due precedenti di questo genere: il primo contro l'allora Presidente della Repubblica Leone, l'altro contro Francesco Cossiga. In entrambi i casi l'impeachment non si realizzò perché entrambi si dimisero prima del compimento del voto. In questo caso non sarà così facile evadere dalla responsabilità.

Ma non sarà una storia breve. Molto deve accadere nell'immediato: quale governo, di quale durata, con quali compiti. Inoltre: quali saranno le reazioni di cosiddetti "mercati", della Germania, della Francia, della Banca Centrale Europea. Infine quando e se ci saranno nuove elezioni.

Dalla parte del Presidente c'è la maggioranza dei grandi mass media, che lo giustificano e lo difendono. C'è il Partito Democratico di Matteo Renzi. E c'è anche Berlusconi. Il che significa che l'alleanza di destra è definitivamente finita. Berlusconi tende la mano al Partito Democratico, per salvarsi. È evidente che in caso di elezioni entrambi sono ancora più a rischio di quanto non abbia mostrato il loro duplice disastro elettorale del 4 marzo. E, in ogni caso, non hanno I numeri per resistere all'ondata popolare contro di loro.

Unica arma: la minaccia di sanzioni da parte di Bruxelles. Ma attenzione: l'Italia è uno dei fondatori dell'Unione Europea. Il segnale che viene da Roma dice che la crisi è continentale. Non sarà facile disinnescarla.