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© AP Photo/ Riccardo De Luca
Sta entrando nella sua fase conclusiva e teoricamente più delicata la campagna elettorale in corso in Italia.

Eppure, si avverte evidente un'anomalia rispetto alle tornate degli ultimi venti anni. Gli spazi per le affissioni sono in parte ancora vuoti, mentre in passato i manifesti tendevano velocemente a stratificarsi su ogni superficie libera. Mancano inoltre i grandi formati da sei metri per tre con i quali i candidati alla premiership sostenevano la propria candidatura. All'assenza di competizione sulle mura delle città fanno eco un disinteresse ed un disincanto palpabili, che meritano qualche spiegazione.

Quanto sta succedendo, in effetti, è il risultato logico di due circostanze specifiche. In primo luogo, c'è penuria di soldi. Il finanziamento pubblico della politica è stato spazzato via dal furore dell'antipolitica, con il risultato che persino il Pd avrebbe iniziato la sua campagna elettorale con non più di dieci milioni di euro in cassa, stando almeno a quanto si dice.

Poi, secondo elemento, pesano, e molto, le regole del gioco che le forze politiche si sono date prima di andare al voto. Il Rosatellum con il quale saranno elette le nuove Camere è un sistema escogitato per garantire che dalle urne non esca alcun vincitore. Nel clima di generale incertezza determinatosi dopo la sconfitta referendaria patita da Matteo Renzi il 4 dicembre 2016, i più hanno voluto cautelarsi rispetto al rischio di essere battuti.

Le prove di forza passate sono state così rimpiazzate da una specie di ricognizione "addomesticata" del livello di consenso riscosso nel paese dalle singole formazioni politiche. Nuova maggioranza e governo si formeranno non ai seggi, ma nelle Camere, sotto l'attenta e prudente regia del Capo dello Stato, una figura che all'estero si immagina cerimoniale ma che invece in Italia detiene poteri molto importanti e significativi. Certo, sono sempre possibili sorprese, data la relativa imprevedibilità dell'elettorato, ma in linea di massima l'impressione è che siamo sul punto di assistere ad un esercizio di "democrazia manovrata". Si respira aria di combine. Invece di completare il cammino verso una forma compiuta di sistema maggioritario, premessa indispensabile alla costituzione di un più forte potere esecutivo, l'Italia sta tornando pericolosamente indietro.

Non entusiasma neppure il livello del confronto sui media, che è dominato dalla declinazione di proposte pensate per soddisfare la collezione più ampia di interessi particolari. E' invece del tutto ignorato il campo dell'alta politica, malgrado ora più che mai la scelta degli allineamenti internazionali rivesta carattere decisivo. Forse neanche questo fatto è casuale. Al contrario, deriva da due fattori che caratterizzano marcatamente l'Italia: l'incomprensione diffusa dell'importanza della politica estera ed il sostanziale squilibrio esistente in favore delle forze che nel Bel Paese interpretano le visioni dell'ala liberal del sistema politico americano e dei suoi alleati europei.

In effetti, sono ormai schierati dal lato dei "globalisti" non solo il Pd e i suoi alleati, in particolare la formazione guidata da Emma Bonino, aperta sostenitrice di George Soros, ma anche Forza Italia, ormai saldamente nel Partito popolare europeo, e lo stesso Movimento Cinque Stelle, che negli ultimi mesi ha effettuato una vera e propria svolta moderata.

Il suo candidato premier, Luigi Di Maio, si è recato da poco negli Stati Uniti, dove pare abbia incontrato solo esponenti politici lontani da Trump. Più recentemente, è stato introdotto anche nei salotti buoni della grande finanza londinese. L'ostilità alle sanzioni contro la Russia ostentata dai grillini di per sé non dice nulla dell'effettiva natura del Cinque Stelle. Si tratta infatti di un orientamento comune al grosso dei partiti italiani e condiviso persino dal governo, che in almeno un paio di volte ha cercato di aprire un confronto in Europa sull'opportunità di rinnovarle automaticamente, venendo peraltro sconfitto. Dal lato sovranista, ci sono solo la Lega, Fratelli d'Italia, alcune formazioni minori d'estrema destra come Casapound e qualche forza politica d'impronta neocomunista.

Proprio per questo motivo, oltre che per la prudenza del Berlusconi di questo periodo, è probabile che dopo le elezioni del 4 marzo prenda forma una maggioranza simile a quella attuale, forse addirittura con lo stesso premier, se necessario reclutando anche i grillini, o almeno una parte di loro, e magari ricorrendo pure allo shopping di parlamentari eletti in altri gruppi, com'è già accaduto tante volte. Ne discenderà presumibilmente un altro governo filo-tedesco ma subalterno alla Francia, amico della Cina, legato ai liberal statunitensi e agli sponsor dell'Islam politico. Quindi avverso alla Casa Bianca e, naturalmente, alla Russia, almeno per tutto ciò che non riguarda il commercio. D'altra parte, in Italia pecunia non olet.

L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.