guerra infinita

DI PEPE ESCOBAR


counterpunch.org

Ci sono molti paralleli tra una guerra incompiuta negli anni '50 nel nord-est asiatico ed una di 16 anni in corso nel crocevia tra l'Asia centrale e quella meridionale. Cominciamo con la Corea del Nord.

Ancora una volta gli hunger games tra U.S.A. e Corea vanno avanti. Non era necessario.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha infatti spiegato come:
"La Russia insieme alla Cina ha sviluppato un piano che propone un doppio congelamento: Kim Jong-un fermerebbe i test nucleari e smetterebbe di lanciare qualsiasi tipo di missile balistico, mentre Stati Uniti e Corea del Sud bloccherebbero le grandi esercitazioni che vengono utilizzate come pretesto per i test del Nord".
Non c'è alcuna prova concreta che la partnership strategica Russia-Cina abbia trasmesso questo piano direttamente all'amministrazione Trump. Anche se lo avessero fatto, la proposta è stata rifiutata. I soliti "esperti militari" l'hanno contrastata duramente, insistendo su uno sbilanciato vantaggio per Pyongyang. Peggio ancora, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale H.R. McMaster continua a promuovere la guerra preventiva - come se questa fosse una "soluzione" realistica ai conflitti gravi.

Nel frattempo, quel piano per un "fuoco avvolgente" intorno a Guam rimane sul tavolo di Kim Jong-un. È fondamentale ricordare che il piano era la risposta della Corea del Nord all'annuncio di "fuoco e fiamme" di Trump. Kim ha dichiarato che, affinché le rispettive diplomazie tornino a parlarsi, "è necessario che gli Stati Uniti facciano prima una scelta adeguata". Dove quest'ultima significa fermare l'esercitazione militare Ulchi-Freedom Guardian - 30.000 soldati statunitensi e più di 50.000 truppe sudcoreane.

Il presidente sudcoreano Moon Jae-in ripete doverosamente il mantra del Pentagono: questi hunger games, che dureranno fino al 31 agosto, sono "difensivi". Simulazioni al computer che prevedono un - molto improbabile - attacco unilaterale di Pyongyang possono essere qualificati come difesa. Ma Kim e la Korean Central News Agency interpretano la cosa per quel che è: la prova di una "decapitazione", un attacco preventivo foriero di regime change.

Non c'è da stupirsi che la KCNA insista su una possibile "catastrofe". E Pechino, decisamente, concorda. Il Global Times ha ragionevolmente sostenuto che "se la Corea del Sud non vuole la guerra sulla propria penisola, dovrebbe fermare queste esercitazioni".

Non poter fare ordine nein nostri probelmi

Sarebbe di grande aiuto per sdrammatizzare evocare quella grande canzone di marcia della prima guerra mondiale; "Compila i tuoi problemi nella vecchia borsa del kit / E sorridi, sorridi, sorridi".

La questione è seria. Un trattato di difesa reciproca tra Cina e Corea del Nord è in vigore dal 1961. In questo quadro, la risposta di Pechino al "fire and fury" di Trump è stata una carineria. Se Pyongyang attacca, la Cina è neutrale. Ma se gli Stati Uniti lanciano un attacco preventivo in stile McMaster, la Cina interviene - militarmente - per conto di Pyongyang.

In breve, Pechino ha chiarito che preferisce mantenere lo status quo. Scacco matto.

Hunger Games a parte, la guerra verbale nella penisola coreana è diminuita notevolmente dopo che la Cina ha chiarito la propria posizione. Secondo una fonte interna al governo, questo conferma che "gli eserciti americano e cinese, come quelli americano e russo in Siria, si stanno coordinando per evitare una guerra".

C'è stato un incontro la scorsa settimana tra i Joint Chiefs of Staff americano e cinese, i generali Joseph Dunford e Fang Fenghui. Hanno firmato un accordo che il Pentagono ha detto "ridurrà il rischio di errori di calcolo" nel nord-est asiatico.

Tra i fuochi d'artificio con cui si è dimesso, Steve Bannon l'ha detta giusta:
"Non esiste soluzione militare, scordatevelo. 10 milioni di persone a Seul moriranno entro mezz'ora dall'uso di armi convenzionali: non so cosa di cosa stiate parlando, non esiste una soluzione militare, ci hanno in pugno".
Prova ne è la "sospensione" delle esercitazioni con il bombadiere B-1B, nella base aerea Andersen a Guam. Questo fatto fondamentale zittisce la retorica del segretario di Stato Rex Tillerson e del capo del Pentagono James "Mad Dog" Mattis, che prima dell'uscita di Bannon avevano promesso "forti conseguenze militari se la Corea del Nord facesse le scelte sbagliate".

Ancora una volta, la vera questione è la Nuova Via della Seta

Spostiamoci in Afghanistan. "Mad Dog" Mattis una volta disse che si è divertito a sparare ai combattenti talebani. Rumsfeld era stato più realistico: se ne andò dall'Afghanistan (verso l'Iraq) perché non c'erano abbastanza buoni obiettivi da bombardare.

Chiunque abbia trascorso tempo a studiare la catena montuosa afgana Hindu Kush ed i deserti sud-occidentali sa perché il proverbiale "non esiste soluzione militare" abbia senso. Ci sono innumerevoli ragioni, a partire dalla profonda radicalizzazione del conflitto etnico (circa il 40% è Pashtun, vive nelle campagne e molti sono talebani: quasi il 30% sono Tagiki, vivono in città, sono educati e presenti nel governo; più del 20% sono sciiti Hazara; il restante 10% sono Uzbeki).

Negli ultimi 16 anni, Washington ha bombardato, non aiutato, Kabul. La corruzione del governo è assurda, comandano i dittatori. I talebani prosperano perché offrono protezione alla gente. Per la rabbia dei Pashtun, la maggior parte dell'esercito è composto da Tagiki. I politici Tagiki sono perlopiù vicini all'India, mentre la maggior parte dei Pashtun favoriscono il Pakistan (dopotutto, hanno cugini dall'altro lato della linea Durand).

Al-Qaeda non esisterebbe nemmeno se Brzezinski non avesse avuto l'idea di inventarsela in chiave anticomunista nella Kabul degli anni '80. A questo si aggiunge il mito che il Pentagono debba stare in Afghanistan per impedire ai jihadisti di attaccare l'America. Al-Qaeda è estinta in Afghanistan. E Daesh non ha bisogno di territori per preparare la propria jihad fai-da-te.

L'America è in Afghanistan per business, non per altro. E non stiamo parlando di oppio od eroina.

Due mesi fa, l'ambasciatore afghano a Washington, Hamdullah Mohib, era tutto contento di come Trump fosse "molto interessato al potenziale economico dell'Afghanistan", in particolare nelle "nostre riserve di rame, minerale ferrosi, terre rare, argento, zinco, mercurio e litio, che valgono un trilione di dollari circa". Ciò ha portato i soliti anonimi "funzionari statunitensi" a dire il mese scorso a Reuters che Trump vuole un po' di quella ricchezza in cambio di "aiuti" a Kabul.

Uno studio, di una decina di anni fa, della US Geological Survey ha stimato la potenziale ricchezza mineraria afghana - oro, argento, platino, minerali ferrosi, uranio, zinco, tantalio, bauxite, carbone, gas naturale e rame - in più di 1 trilione di dollari americani, etichettando l'Afghanistan come "l'Arabia Saudita del litio".

E la concorrenza - ancora una volta, la Cina - è già lì, ad affrontare numerosi problemi di infrastrutture e burocrazia, ma volenterosa di includere l'Afghanistan nella Nuova Via della Seta (anche detta BRI), così come nel suo ramo per la sicurezza, la Shanghai Cooperation Organization.

Non è un segreto che Russia e Cina vogliano che una soluzione venga decisa dagli afghani e sotto la supervisione dello SCO (di cui l'Afghanistan è un osservatore e futuro membro). Quindi, dal punto di vista dei neocon, l'Afghanistan ha senso come pedina per ostacolare la BRI.

Quel che la Russia e la Cina vogliono per l'Afghanistan - essere un altro nodo nel processo di integrazione dell'Eurasia - non è molto diverso da quello che Russia, Cina e Corea del Sud vogliono per la Corea del Nord: una maggiore connettività, nel senso di una futura ferrovia Trans-Coreana legata a quella Trans-Siberiana.

Quanto a Washington ed ai lobbisti, sanno cosa significa "investire" in due guerre che non porteranno alcun beneficio?


Fonte:
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Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG