Referendum Costituzionale
© AFP 2016. Andreas Solaro

Si discettava, prima del voto, su chi sarebbe stato il vero vincitore del referendum qualora avesse vinto il "no". Ebbene, tutti i partiti, e nessuno, hanno vinto perché il fronte degli oppositori alla riforma è stato così numeroso e variegato che chiunque voglia intestarsi il successo commette un atto di appropriazione indebita.


Tra chi ha votato negativamente ci sono certamente coloro che l'hanno fatto perché non convinti dei contenuti della riforma, ma anche, e probabilmente la maggioranza, perché voleva semplicemente mandare a casa Renzi, senza nemmeno curarsi di cosa fosse scritto nel testo rigettato. Ci sono quelli sfiduciati dall'azione di un Governo che non è riuscito a toglierli dal precariato e non garantisce il loro futuro.

Quelli che, pur stando "a sinistra", volevano riequilibrare i rapporti di forza dentro il loro partito.

Quelli che erano stati "rottamati" e cercavano vendetta. Quelli che, pur volendo riformare la Costituzione, non sopportavano la baldanza del giovane Presidente del Consiglio ed erano indignati dal suo continuo e spavaldo mentire.

Quelli che identificavano Renzi con l'Europa, o almeno con l'Euro, e han votato "contro".

Quelli che sono stati soltanto influenzati da qualche conoscente che li ha indirizzati verso quella decisione. Infine, ma sicuramente non abbiamo esaurito il panorama, quelli che considerano la Costituzione vigente quale un dogma intoccabile e sacrilegio ogni tentativo di modificarla.

Tante, dunque, le motivazioni ma uno solo il risultato tragico (politicamente): le dimissioni del Governo. D'altra parte, non c'erano alternative dopo che tutti i Ministri, chi più chi meno, si erano spesi per la riforma che ben il 60 percento degli italiani ha mostrato di non gradire. Anche se, formalmente, la caduta del Governo non era obbligata, nel linguaggio della politica la bocciatura subita non riguardava più soltanto la riforma costituzionale ma la stessa guida del Paese.

Che cosa accadrà ora è soltanto oggetto d'ipotesi.

Per il momento, Mattarella ha chiesto a Renzi di congelare le dimissioni fino all'approvazione della Legge di Bilancio in Parlamento. Poi, il Presidente della Repubblica dovrà necessariamente convocare i Presidenti delle Camere, i Capi Gruppo e, possibilmente, i responsabili dei Partiti presenti in Parlamento, per capire se una qualunque maggioranza potrebbe dare la fiducia a un nuovo Governo. A seconda del risultato di questi colloqui, attribuirà il nuovo incarico allo stesso Renzi o ad altri. In mancanza di una maggioranza disponibile, Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere e indire le elezioni.

Tuttavia, qui nasce il primo dei problemi che ci aspettano: l'unica legge elettorale in vigore approvata dal Parlamento era basata sul contenuto della riforma bocciata e non prevede quindi il voto per il Senato. Se si dovesse votare immediatamente, si potrà farlo per la Camera con l'Italicum e per il Senato con il "Consultellum", cioè con una legge così come modificata dalla sentenza della Corte Costituzionale che cassò la legge detta "Porcellum".

In altre parole, si avrebbero contemporaneamente due sistemi elettorali non omogenei tra loro: uno maggioritario con il premio di maggioranza e l'altro proporzionale e senza "premi".

La probabilità che si possano creare maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento è irrisoria e il risultato sarebbe l'ingovernabilità con conseguenti nuove elezioni, ma sempre con le stesse leggi.

Sia i CinqueStelle che la Lega chiedono comunque di votare subito, pur sapendo che nessun Governo potrebbe ottenere la fiducia da entrambe le Camere. Ciò che li motiva è soltanto la speranza di avere un incremento dei propri consensi per cambiare così i rapporti di forza, gli uni verso gli altri partiti, gli altri all'interno del centrodestra. Nessuno di loro pensa o si cura dell'instabilità politica ed economica che ne conseguirà.

La soluzione più probabile sarà che Mattarella cerchi di trovare una qualunque maggioranza o perfino un Governo di minoranza che duri il tempo sufficiente per varare una nuova legge elettorale e solo dopo si vada al voto.

A questo punto occorrerà vedere cosa intenda fare Renzi e come si comporteranno i membri del suo partito. Lui, per ora, resta il segretario del PD e quindi il dominus della situazione, ma così come sono sempre tanti quelli che saltano sul carro del vincitore di turno, altrettanti sono quelli che ne scendono quando si realizza una sconfitta.

Riuscirà a mantenere il controllo dell'apparato? Accetterà di guidare un Governo di transizione o indicherà un personaggio di secondo piano che non oscuri la sua possibile candidatura alle prossime consultazioni? E, soprattutto, accetterà di far sì che il PD sostenga un qualunque Governo o si farà prendere dal "cupio dissolvi"?

Comunque sia, ogni elezione sarà tecnicamente impossibile prima di febbraio e in tre mesi possono accadere molte cose.

La peggiore sarebbe che speculatori internazionali approfittino della confusione e del vuoto di potere per attaccare i nostri Buoni del Tesoro spingendo gli interessi a nostro carico a livelli altissimi, come accadde alla fine del Governo Berlusconi.

Allora non ci fu un Draghi con il quantitative easing ma oggi, se l'attacco fosse forte e coordinato non è nemmeno garantito che la Banca europea possa davvero riuscire a tenervi testa.

Siamo certi che, nel caso si scatenasse la speculazione, anche la rigida Germania acconsentirà ad allentare i cordoni della borsa perché un fallimento dell'Italia significherebbe la fine dell'Euro e, molto probabilmente, della stessa Unione Europea.

Ma quali condizioni porranno Berlino e Bruxelles se il caso si presentasse?

Le prime reazioni della Borsa di Milano al voto sono state positive, probabilmente perché gli investitori avevano gia' messo nel conto il risultato del referendum e oggi ricomprano. Oppure perché si valuta positivamente la decisione di Mattarella di "congelare" le dimissioni. Anche l'Euro si è leggermente rafforzato sul dollaro e questo lascerebbe sperare che, nonostante tutto, non si temano crolli finanziari e attacchi sulla moneta.

Non escluderei però che si tratti di fuochi di paglia o di manovre di alcuni forti investitori, pronti a scattare in un secondo momento, dopo aver attirato nel gioco ingenui risparmiatori.

Non c'è alcuna certezza che se avesse vinto il "sì" l'Italia e la sua economia sarebbero state più forti e stabili. E' però sicuro che, con la vittoria del "no", settimane o mesi di forte instabilità politica ci attendono e non si può escludere che qualcuno, da qualche parte nel mondo, sia già pronto ad approfittare delle debolezze altrui.