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© © Sputnik. Irina Gerashchenko
Quando l'Occidente aprirà gli occhi sulla tragedia del Donbass? Parliamo di una guerra che ha dilaniato città intere nel centro dell'Europa, spezzato la vita a migliaia di persone, strappato l'infanzia a bambini innocenti.

L'intervento russo in Siria per lottare contro l'Isis è sulle prime di tutti i giornali del mondo, la stampa occidentale non ha perso tempo e anticipando il primo raid aereo, ha subito condannato la Russia di aver colpito dei civili, tra cui bambini.

Ora, come si spiega tutto questo tempismo? Perché allora i media occidentali e europei non si degnano di parlare dei bambini uccisi nel Donbass dalle bombe dell'esercito ucraino in un conflitto che dura ormai da anni? C'è chi non ci sta. È il caso per esempio di un ragazzo italiano, Vittorio Nicola Rangeloni, ora corrispondente di guerra in collaborazione con le istituzioni locali, che ha voluto rompere questo silenzio e vedere con i propri occhi quello che avviene nel Donbass. Vittorio da Donetsk ha raccontato a Sputnik Italia della sua esperienza.

— Ci sono diversi conflitti nel mondo, è la prima volta che ti rechi in guerra? Perché proprio nel Donbass?

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© © Sputnik. Valeriy Melnikov
— A mio modo di vedere, la guerra e' un concetto vasto, che non deve per forza far pensare ad uno scontro tra carri armati, a trincee o a sangue sparso nei campi piuttosto che sull'asfalto. Essa può essere anche più subdola e impercettibile. La guerra è conquista, sovversione e destabilizzazione di territori, per questo affermo che può essere combattuta anche silenziosamente senza sparare proiettili. In Europa questa guerra prosegue da diverso tempo: è una guerra fatta di interessi di pochi, censura, di progressiva riduzione della libertà e della sovranità e di spersonalizzazione. In questo vortice, tramite il golpe di Maidan, è stata risucchiata anche l'Ucraina. O meglio, parte dell'Ucraina in quanto le regioni del Donbass hanno deciso di non voler far accettare quei giochi politici che a lungo andare ne avrebbero cancellato l'identità.

Mentre a Kiev, i manifestanti del Maidan hanno cacciato il presidente eletto a colpi di molotov sulla polizia inerme, nel Donbass le manifestazioni pacifiche, così come i referendum popolari, sono stati repressi con carri armati e bombardamenti dell'aviazione dell'esercito. La guerra civile nel sudest ucraino è stata indotta dal governo centrale, ed alla popolazione non è rimasto altro che difendersi e non piegarsi ai soprusi, a qualsiasi costo. Il popolo di queste regioni ha fatto una scelta coraggiosa, e perciò condividendo questo valore della libertà non ho potuto fare altro che appoggiare la causa del Donbass.

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© © Foto: fornita da Vittorio Nicola Rangeloni
Quella del Donbass è una guerra che ha tolto la vita a più di 8.000 persone, ma è anche una guerra di cui l'Occidente, l'Italia non parla. Perché secondo te, come si può chiudere gli occhi di fronte a così tanta sofferenza?

— Non si può chiudere gli occhi davanti a questa tragedia. Semplicemente non si può. Eppure la guerra fatta di morte e di sangue nel Donbass, ha un legame saldo con quella silenziosa che sta subendo l'Europa: la guerra viene sponsorizzata dagli USA tramite Nuland, Pyatt e McCain, quali veri direttori del governo Ucraino, costringendo l'Europa a tacere per non ledere i loro interessi. È bene ricordare che proprio a causa di questa guerra, i paesi Ue sono stati "sollecitati" ad intraprendere sanzioni economiche contro la Russia, rivelatesi una vera e propria zappata sui piedi. L'unica spiegazione del silenzio è che sia voluto da chi gestisce le trame politiche dall'altra parte dell'oceano, ribadendo ai più attenti che l'Europa è solo una colonia addomesticata ed impossibilitata ad esprimere la propria voce.

Durante tutti i mesi della tua vita a Lugansk e nel Donbass hai visto la presenza di osservatori internazionali, l'Osce, "Save the children" e associazioni simili? Se sì, che cosa fanno, non comunicano al mondo la gravità della situazione umanitaria della regione?

— Lavorando nel campo dell'informazione, in diverse occasioni ho avuto la possibilità di incontrare i rappresentanti di queste organizzazioni. La mia impressione in merito non può essere negativa. Il loro modo di operare solo secondo protocolli e formalità, preclude un confronto sereno col pubblico ed infatti la gente del posto ha più volte reclamato che redigessero un resoconto delle loro attività. A Donetsk, sono state addirittura bruciate 4 auto della missione OSCE, dopo numerosi picchetti di protesta inscenati dalla popolazione in seguito al loro immobilismo di fronte alle centinaia di vittime in un periodo ritenuto formalmente di tregua.

Una manciata di giorni fa, ai "Medici Senza Frontiere" è stato ordinato di andarsene dalla Repubblica Popolare di Lugansk in quanto in seguito a dei sopralluoghi nei magazzini dell'organizzazione, sono stati rinvenuti psicofarmaci (occultati in scatole che avrebbero dovuto contenere vitamine) di cui non è stato possibile verificare la provenienza, ma soprattutto la destinazione.

Insomma, se questi sono i comportamenti nei confronti della popolazione locale, si può immaginare quanto possa essere intenso l'interesse di difendere questa gente di fronte al resto del mondo.

— Com'è cambiata la tua vita da quando sei al fronte? Che cosa ti ha colpito di più fino ad ora?

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© © Foto: Eliseo BertolasiUna bambina a Gorlovka
— L'approccio alla vita stessa, ha avuto un mutamento radicale dal momento in cui sono arrivato alla stazione di Rostov, ad aspettare l'autobus che mi avrebbe condotto a Lugansk. I sacrifici e le situazioni dure sono state un vero e proprio pane quotidiano, ma ho imparato tanto sia ad arrangiarmi, che dalle persone. L'umiltà, la generosità e l'enorme forza di volontà di questo popolo fanno capire come un esercito di minatori e di operai abbia potuto resistere agli assalti di un esercito. Quel che mi ha colpito in particolare di questa esperienza, è il legame "sangue e suolo". Come gli abitanti dei villaggi al fronte che non hanno intenzione di lasciare le proprie case nonostante le bombe, così anche i combattenti sostengono che se necessario, sono disposti a combattere fino all'ultima goccia del loro sangue per difendere la propria terra e la propria gente. Farei davvero fatica ad immaginare tutto questo in Italia.

— Per ora la Novorossia non è uno Stato riconosciuto, però le cose stanno cambiando a livello sistemico: la valuta è cambiata, si creano diversi ministeri. Tu che futuro vedi per le Repubbliche di Lugansk e Donetsk, per la Novorossia?

— Al momento la questione politica è parecchio complessa in quanto secondo gli accordi di Minsk, le due repubbliche dovrebbero rientrare tra i confini nazionali ucraini, sebbene con le dovute autonomie. Nella pratica quotidiana invece, questi accordi sono lontani e quotidianamente disattesi da parte Ucraina e la gente del Donbass, non credo che accetterebbe mai di tornare a farsi governare da quelli che fino a ieri, ordinavano di ammazzarli definendoli subumani. La propensione di buona parte della popolazione, è quella di "tornare a casa", in Russia. Anche qui però, non e' tutto troppo semplice e il Cremlino lo sa bene che annettere questi territori, suonerebbe pressappoco come dire "guerra mondiale". La possibilità più pratica è quella di due repubbliche temporaneamente autonome, in attesa di tempi migliori in cui magari riavvicinarsi ulteriormente alla Russia. Sicuramente la base politica costruita a Donetsk ed a Lugansk in questo anno e mezzo di vita, può consentire buone autonomie e lo dimostrano i continui progressi: lo stato paga stipendi, pensioni, provvede alla ricostruzione di infrastrutture e abitazioni fornendo diversi servizi sociali.

— Che messaggio vorresti lanciare a chi conosce poco di questa guerra, che si sviluppa però nel bel centro dell'Europa?

— Mi piacerebbe che si arrivasse a capire che questa guerra, non è semplicemente una disputa tra Ucraina e le sue regioni più orientali, o al limite con la Russia, ma è una vera e propria guerra civile europea. Ogni conflitto intestino al continente, non può che arrecare danni a tutti. Anche alla stessa Italia, che sembrerebbe avere un buon margine di distanza. Questa guerra dimostra come la politica europea sia deleteria, irresponsabile e succube di Washington: da una parte, tramite i fondi europei, contribuiamo al finanziamento del governo assassino di Poroshenko, dall'altra ci precludiamo (in primo luogo) uno sviluppo dell'economia con un partner naturale come la Russia, di cui non possiamo fare a meno.

Prima maturerà questa consapevolezza, prima smetteranno di morire persone innocenti per mano dei soliti noti, iniziando così a collaborare nell'interesse dell'Europa e dei suoi popoli.