Ambasciatore USA Armando Varricchio
© Glenn Fawcett
Armando Varricchio, una vita da diplomatico. I rapporti con Letta, Prodi e D'Alema

Un'immagine vale più di mille parole. E allora, per capire chi in questo momento pesa all'interno del gabinetto di «guerra» del premier Matteo Renzi, alle prese con la crisi internazionale in Libia, bisogna ripescare uno scatto postato su twitter dal portavoce Filippo Sensi, in arte Nomfup, lunedì 16 febbraio. È il giorno in cui il presidente del Consiglio, dopo le uscite poco chiare della settimana precedente da parte del ministro della Difesa Roberta Pinotti («Invieremo 5mila uomini» diceva) e dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni («L'Italia è pronta a combattere nel quadro della legalità internazionale»), decide di intervenire spiegando che in Libia «la situazione è difficile ma non è tempo per una soluzione militare».

L'Italia cambia verso insomma, o comunque raddrizza una posizione giudicata da alcuni diplomatici come troppo «guerrafondaia». Ma in quella foto nell'ufficio di palazzo Chigi, di fronte a Renzi al telefono, c'è il profilo di un uomo poco conosciuto alle cronache giornalistiche ma di un peso notevole dal punto di vista diplomatico, in particolare sullo scacchiere internazionale.

Stiamo parlando di Armando Varricchio, nato a Venezia il 13 giugno del 1961, una lunga esperienza da ambasciatore e consigliere diplomatico in Europa e oltreoceano, da molti definito «l'ombra di Renzi in ogni contesto internazionale» o anche «il vero ministro degli Esteri del governo» o ancora «l'ambasciatore degli Stati Uniti in pectore». Del resto, tra i gli obiettivi di carriera di Varricchio ci sarebbe appunto quello di diventare ambasciatore italiano a Washington, dove fino adesso è solo stato nel 2002 «Primo Consigliere», «responsabile per le questioni economiche e commerciali, finanziarie e globali, la cooperazione nel campo scientifico e tecnologico e i rapporti bilaterali nel settore dell'industria aerospaziale e della difesa».

Ambizioni professionali a parte, Varricchio, (mai una sua dichiarazione sui quotidiani) in questi giorni sarebbe stato fondamentale, a detta di molti, nel portare l'Italia su posizioni meno interventiste e più orientate verso «una soluzione politica». Di concerto, verrebbe da dire, con la linea del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che sulla Libia ha preferito una soluzione diplomatica. Di certo, questo 53enne con una maturità classica e una laurea in Scienze Politiche all'Università di Padova in tasca, sposato con due figli, sa muoversi con grande abilità nei gangli della Farnesina. In particolare ha un filo diretto con quattro figure politiche di peso dell'Italia sul piano internazionale, ovvero Massimo D'Alema, Enrico Letta, Romano Prodi e l'ultimo presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Fu il secondo, Letta jr, a nominarlo nel maggio del 2013 come «consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio dei Ministri e Rappresentate personale ai Vertici del G8/G20». Incarico confermato nel cambio a palazzo Chigi con il rottamatore fiorentino. Ma con Prodi, ex presidente del Consiglio e della commissione Europea, i rapporti sono ancora più lunghi. Fattore, quest'ultimo di non poco conto, perché il professore bolognese oltre a essere in pista per il ruolo da mediatore dell'Onu sulla Libia, è tra i pretendenti nel succedere a Ban Ki Moon al palazzo di Vetro alla fine del 2016.

La diplomazia ha tempi lunghi. Varricchio lo sa si guarda a dove è arrivato adesso. Dopo una breve parentesi nella finanza del Gruppo Marzotto, fresco di laurea ad appena 24 anni, arrivò agli apici della diplomazia proprio con Prodi nel 1999, all'età di 38 anni, quando diventò consigliere diplomatico dell'allora presidente di Commissione. Se a 31 anni era «Primo Segretario alla Rappresentanza Permanente presso le Comunità Europee a Bruxelles e coordinatore le attività dei Consigli Affari Esteri, nel settembre del 1996 diventa Consigliere presso l'Ufficio Diplomatico del Presidente del Consiglio Massimo D'Alema. Siamo nel pieno della guerra in Jugoslavia. Varricchio segue nello specifico le «questioni europee e i rapporti con l'Asia». Non solo. Nel 1998 diventa Capo di Gabinetto del Ministro per le Politiche Europee, che non a caso è sempre Letta jr. Quindi Prodi. Nel 2002 si sposta vicino alla Casa Bianca, ma torna in Italia nel 2006, chiamato da Napolitano, come Consigliere Diplomatico Aggiunto del Presidente della Repubblica. Assiste il Capo dello Stato durante gli incontri internazionali e le visite all'estero. Nel 2007 diventa Ministro Plenipotenziario. È sempre Napolitano a nominarlo ma riceve la legittimazione da parte del ministro degli Esteri dell'epoca, ovvero Massimo D'Alema. Nel 2009 arriva a Belgrado come ambasciatore, quindi nel 2012 viene nominato vice segretario della Farnesina.

Una carriera diplomatica di tutto rispetto e una serie di relazioni di livello lo hanno portato in questi anni a ricoprire incarichi sempre più importanti. È in ottimi rapporti con l'American Chamber of Italy (dove si può ripescare il suo curriculum vitae), organizzazione affiliata alla Chamber of Commerce di Washington D.C., la Confindustria statunitense, alla quale fanno parte oltre tre milioni di imprese, creata per favorire gli scambi economici con Washington. Sarà a un caso ma dal giorno dell'insediamento di Renzi a palazzo Chigi i rapporti tra Amcham e il governo si sono intensificati, merito di Davide Cefis, il nuovo responsabile dell'associazione a Roma. Ma merito anche del giro americano di Renzi, di cui fa parte in primis l'imprenditore Marco Carrai, Richelieu del premier, amico storico degli americani e di Israele. È stato Carrai in questi anni a portare Renzi nelle sacre stanze della politica estera americana, portandolo anche alla corte di Michael Ledeen, 74 enne, falco repubblicano che ha lavorato nelle Amministrazioni di Ronald Reagan e di George W. Bush distinguendosi per le sue iniziative da freelance dell'intelligence. Mercoledì 18 gennaio Carrai ha partecipato alla presentazione del libro del giornalista Maurizio Molinari Il Califfato del Terrore, spiegando di essere per la «pace universale». Non è tempo di falchi al governo. C'è Varricchio a pesare e misurare le cose.

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