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© Sputnik. Andrey Stenin

Un Paese in balìa del caos dal 2011 e smembrato in bande. Sospesa fra il passato e un futuro incerto, la Libia oggi rappresenta una vera incognita. Prioritaria per l'Italia e fattore cruciale sullo scacchiere internazionale, che ne sarà della Libia?


"Incognita Libia, cronache di un Paese sospeso", esce nelle librerie il saggio di Michela Mercuri che ripercorre la travagliata storia libica arrivando ai fatti più recenti. Il volume con la prefazione di Sergio Romano spiega le contraddizioni della Libia, nazione che in preda a milizie e gruppi criminali è sprofondata in una grave crisi economica.

Analizzando il complesso risiko libico, l'autore del saggio propone anche delle possibili soluzioni per la stabilizzazione della Libia, dove l'Italia, lasciata sola dagli "alleati" europei, potrebbe cooperare con la Russia, attore fondamentale nella regione. Sputnik Italia ha raggiunto per un'intervista Michela Mercuri, autore di Incognita Libia, docente di storia contemporanea dei Paesi Mediterranei all'Università di Macerata.

— Michela Mercuri, com'è strutturato il suo libro?

— Il libro parte dalla storia della Libia, dalla fine dell'800 quando il Paese era sotto l'Impero Ottomano, poi arriva fino ai giorni nostri passando attraverso le rivolte arabe e la caduta di Gheddafi. Questo libro dà uno sguardo generale alla Libia attuale parlando di vari aspetti: il ruolo degli attori internazionali, che giocano nel risiko libico, i rapporti con l'Italia e gli attuali assetti interni. Il libro tocca tutti i temi controversi della Libia di oggi, ma dà uno sguardo verso il futuro, parlando dei problemi e delle possibili soluzioni per stabilizzare la Libia.

Si parla molto gli ultimi anni della stabilizzazione della Libia, ma al momento non mi sembra ci siano soluzioni concrete né condivise da parte di tutti gli attori europei. Il libro insomma affronta il passato e il presente, ma cerca di proporre alcune soluzioni per la stabilizzazione futura del Paese, tenendo conto dei problemi che persistono in Libia.

— Che cosa sta facendo l'Italia e qual è il suo ruolo in Libia?

— Non mi sento di condannare, come molti stanno facendo, il ruolo dell'Italia in Libia. L'Italia non può scegliere i propri alleati in politica estera. La Libia è la priorità dell'Italia, che ha sostenuto fin dall'inizio Sarraj ed è stata quindi l'unico attore internazionale a sostenere sempre il governo a marchio ONU. Poi negli ultimi tempi rendendosi conto che Sarraj non riesce a controllare tutto il territorio ha aperto il dialogo ad Haftar, ma non solo. A differenza degli altri attori europei, l'Italia si sta impegnando anche a dialogare con gli attori locali. Minniti di recente è andato in Libia, ha dialogato con i sindaci e le municipalità per cercare di creare un consenso quanto più ampio possibile. Da questo punto di vista credo che l'Italia stia agendo bene.

Su un altro aspetto però mi sento di essere più critica: l'Italia ha il problema dei flussi migratori, il 90% dei migranti che arrivano nel nostro Paese passano dalla Libia. L'Italia si è trovata sola senza l'appoggio degli altri Paesi europei ed è dovuta correre ai ripari con una politica "tampone" stringendo accordi con le milizie che controllano i flussi dei migranti. È una politica di brevissimo periodo perché stringere accordi con le milizie significa avere a che fare con attori molto instabili, che cambiano casacca con molta facilità.

Riportare i migranti in Libia vuol dire fare una politica di breve respiro con attori che non possono garantirci un futuro e poi vorrebbe dire riportare i migranti in una situazione drammatica, nei centri di detenzione libici infatti i migranti vengono torturati, le donne violentate. Se da un lato l'Italia sta agendo politicamente bene, dall'altro la politica migratoria italiana, per quanto sia stata spinta da motivazioni impellenti, non può avere risultati continuativi nel tempo se non accompagnata da un maggiore supporto europeo.

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© Foto: fornita da Michela MercuriCopertina del libro "Incognita Libia"
— Quali sono i maggiori nodi di questa crisi?

— In primo luogo il più grande problema è che manca una coesione a livello europeo. Vorrei fare l'esempio della Francia, che fin dall'inizio ha avuto un atteggiamento incoerente contro l'Italia, perché ha deciso di intervenire in Libia soprattutto per togliere al nostro Paese la primacy sulle risorse energetiche. Venendo ai tempi più recenti vediamo che Macron al vertice di Taormina ha lodato l'Italia per lo sforzo sui migranti, poi però al summit di Tallin ha bocciato la proposta italiana per una regionalizzazione degli sbarchi. A luglio ha convocato un vertice fra Haftar e Sarraj senza nemmeno avvertire l'Italia. Questo è sintomatico di uno scollamento a livello europeo. Se non c'è una maggiore incisività e un'azione comune a livello europeo la Libia non si stabilizzerà mai.

In secondo luogo non vi può essere una stabilizzazione del Paese senza una ripresa dell'economia. Dobbiamo sforzarci di più per aiutare economicamente la Libia, questo non è ancora stato fatto. L'Italia da sola sta stanziando 6 milioni di euro per lo sviluppo della Libia. Prima di dare i soldi alla Libia bisognerebbe stabilizzare il panorama interno, anche in questo caso le istituzioni europee dovrebbero essere più coese. Finché l'Italia verrà lasciata da sola sarà difficile stabilizzare la Libia.

— A livello globale qual è il suo punto di vista sul ruolo della Russia nella regione?

— La Russia fino ad un certo momento ha supportato Haftar, anche in termini economici. Ultimamente la Russia ha cercato di salire su un gradino più alto, cioè di porsi in qualità di attore diplomatico per cercare di creare un dialogo in Libia fra Sarraj e Haftar. Spesso Putin o Lavrov hanno incontrato sia Sarraj sia Haftar. La Russia potrebbe avere un ruolo importante di mediatore nella crisi libica, ne parlo anche nell'ultimo capitolo del libro.

L'Italia potrebbe cogliere la palla al balzo e cercare di dialogare con la Russia, visto che l'Europa l'ha lasciata sola. L'Italia potrebbe quindi negoziare assieme a Mosca verso la stabilizzazione della Libia. L'Italia è infatti molto vicina a Sarraj, ma anche agli attori dell'ovest libico, come le milizie di Misurata, la Russia, pur avendo intavolato un dialogo con Sarraj, è molto vicina ad Haftar. Inoltre i nostri due Paesi hanno interessi comuni importanti in Libia, sia russi sia gli italiani dialogano con la compagnia petrolifera libica NOC.

Anche per gli interessi energetici potrebbe nascere una cooperazione, un dialogo fra Italia e Russia. È chiaro però che questo isolerebbe l'Italia a livello europeo, quindi il nostro Paese dovrebbe capire che cosa intende veramente fare. Il dialogo con la Russia potrebbe essere, a mio avviso, una strada da percorrere per la stabilizzazione della Libia.

— Quali soluzioni possibili della crisi libica propone nel suo libro? Che ne sarà di questo Paese?

— Le soluzioni che prospetto per la Libia vanno su tre strade. La prima, come ho già accennato, è la ripresa dell'economia. La Libia ha molto più petrolio di quanto ne possa consumare per i prossimi 50 anni, parliamo di 5 milioni di persone. Partendo da questo presupposto e sostenendo la Libia nella produzione del petrolio, sottraendo il controllo dei pozzi alle milizie si potrebbe far ripartire l'economia. Se non ci sono soldi i libici guadagnano dai traffici di droga, armi e migranti.

Il secondo punto è il dialogo inclusivo. Noi abbiamo sempre cercato di far dialogare Sarraj e Haftar, la Francia e la Russia in parte sta facendo questo, però non dobbiamo dimenticare che i due leader rappresentano circa il 40% della Libia. Ci sono molti attori locali che non si riconoscono in Sarraj e Haftar. Se noi non includiamo questi attori nel dialogo non vi potrà essere nessuna stabilizzazione del Paese. L'Italia sta agendo in questo senso.

Infine secondo me pensare adesso a delle elezioni e ad una Costituzione in un Paese così frammentato è un po'utopistico. Salamé ha prospettato una Costituzione e delle elezioni, però finché vi sono così tanti attori in un Paese frammentato tutto ciò è troppo ottimistico. Forse una soluzione per la Libia sarebbe dare maggiore autonomia alle municipalità locali, una sorta di "decentralizzazione" del potere nelle varie autonomie locali con un controllo centrale.

— Vorrebbe aggiungere qualcos'altro?

— Tutto quello che ho detto non potrà avvenire in un batter di ciglia, abbiamo destabilizzato la Libia nel 2011, abbiamo realizzato un intervento militare senza aver pensato al dopo. Abbiamo aspettato cinque per pensare un piano per la Libia. Non possiamo tentare adesso di risolvere la situazione in pochi mesi. Si tratta di un processo molto lungo che deve essere accompagnato dall'Italia, dall'Europea e dalla Russia. Bisogna dialogare con tutti gli attori libici per creare queste condizioni.


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