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Ingegnere edile, è stato accusato di evasione fiscale nel paese asiatico e il suo nome figura (con un errore) in un mandato di cattura internazionale. Non può espatriare per lavorare né fare concorsi pubblici. Da anni si proclama innocente e ora attende che il governo faccia la sua parte per contribuire alla soluzione del caso.

Marco Di Giacomo è un ingegnere edile abruzzese che da anni combatte una battaglia che sembra presa di peso da un romanzo di Kafka. Su di lui pende, infatti, un mandato di cattura internazionale dell'Interpol: ineseguibile però, perché a essere ricercato, alla stregua di un pericoloso killer dei due mondi, è un certo "Marco Di Giocomo", nato il 18 aprile del 1975: questo errore di battitura, quella "o" al posto della "a" fa sì che il vero Marco Di Giacomo (nato sempre "ad Atri il 18 aprile del 1975" si legge nella scheda dell'Ordine degli ingegneri di Teramo) resti a piede libero.

Se solo potesse, lui si costituirebbe ben volentieri: per suffragare una volta per tutte la sua innocenza, e per uscire da un'impasse burocratica che lo ha logorato. L'accusa nei suoi confronti è grave: evasione fiscale, e risale al periodo (dal novembre del 2012 al maggio del 2013) in cui ha lavorato in Azerbaigian, nazione ricca di petrolio ma a "democrazia limitata", come project manager di un gruppo di costruzioni italiano specializzato nelle realizzazione di grandi infrastrutture, con commesse milionarie in varie parti del globo.



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Marco Di Giacomo

L'azienda (la Impresa S.p.A) nel frattempo è fallita, è in amministrazione straordinaria dal 10 luglio del 2013 e Di Giacomo/"Di Giocomo" si sente un agnello sacrificale chiamato a espiare colpe non sue. "Io non avevo nessuna carica di legale rappresentanza: Impresa spa è accusata di evasione fiscale, e si sono accaniti su di me, che ero un semplice impiegato con precise competenze tecniche, senza un ruolo finanziario, senza voce in capitolo sui pagamenti" racconta "lo Stato dell'Azerbajian mi ha messo nel mirino, e il nostro Ministero degli Esteri ha preso sottogamba il mio dramma, nonostante li avessi avvisati immediatamente della tragedia degli equivoci che andava maturando. L'Italia ha continuato a fare maxi-accordi commerciali col governo azero, ma del mio caso non s'è mai parlato".

Sbatti il mostro in prima pagina, insomma, e sul sito dell'Interpol. "Nel dicembre del 2013 ero in Africa per lavoro. Mi contattò un amico azero, non un'autorità competente, dicendomi: 'Sei sulle prime pagine dei giornali di Baku (la capitale dell' Azerbaijan ndr), e ti dà la caccia anche l'Interpol. Ti accusano di evasione fiscale". Mi crollò il mondo addosso".

Ha inizio così un'odissea che quest'estate ha conosciuto un epilogo altrettanto paradossale. Marco Di Giacomo comincia a protestare le sue ragioni ai nostri Ministeri degli Interni e degli Esteri, alla nostra ambasciata nell'ex repubblica sovietica, alla sua ex società fallita, per ultimo anche al premier Matteo Renzi. Scrive più di duecento mail con posta certificata: lettere senza risposta, che si fanno via via più accorate e disperate. Passa il tempo al telefono col funzionario di turno. Una corsa contro il tempo, la sua. Ecco le tappe della vicenda:

- Nel giugno del 2013, l'ingegnere italiano conclude il lavoro in Azerbaijan e va a lavorare (sempre per conto della stessa azienda) nel Sultanato dell'Oman: resta lì fino a luglio;

- 19 giugno 2013: arriva la prima richiesta di comparizione davanti al giudice in Azerbaijan. Di Giacomo è incriminato per "evasione fiscale aggravata". "Arriva" per modo di dire: lui non viene a saperlo;

- 18 luglio 2013: seconda richiesta di comparizione (anche qui non viene informato);

- 28 luglio 2013: scatta il mandato di cattura internazionale dell'Interpol. Difetto di comunicazione pure in questo caso, e poi il suo cognome è Di Giacomo, non "Di Giocomo" come scrive l'Organizzazione internazionale della polizia criminale;

- Inizio dicembre 2013: finalmente viene a sapere, per vie informali, dei gravi procedimenti penali a suo carico. Ne viene messo contestualmente a conoscenza il Ministero degli Esteri italiano;

- 30 gennaio 2014: l'ingegnere, che nel frattempo si era trasferito per lavoro in Eritrea, si licenzia e decide di tornare in Italia per chiarire la sua posizione, "rischiando l'arresto già all'aeroporto";

- 19 agosto 2014: è ricevuto per la prima volta alla Farnesina. Si fa strada l'ipotesi di una transazione: Impresa SpA pagherà i suoi debiti presunti e in cambio lui sarà affrancato dall'accusa di evasione, e dal conseguente "wanted" dell'Interpol;

- Di Giacomo continua a scrivere fiumi di mail e a sollecitare un appuntamento, "ma nessuno voleva ricevermi dal vivo: volevano risolvere la questione al telefono";

- 28 giugno 2015: incontro al Ministero dello Sviluppo Economico. "Il ministro Guidi è stato in visita in Azerbaijan: non potevano, in quella sede, parlare di me?" lamenta lui; "Stiamo lavorando al suo caso" gli rispondono; .

- Il 23 luglio di quest'anno la svolta, apparente: Impresa S.p.A, oggi in amministrazione controllata, accetta di versare all'erario azero 700 mila euro di debiti, e Marco Di Giacomo firma un documento che se da un lato potrebbe scagionarlo, dall'altro lo inchioda alle sue responsabilità: "Considerato che ho integralmente pagato il danno materiale causatosi durante il mio impiego presso la succursale dell'Impresa S.p.A nella Repubblica dell'Azerbaigian, e ho commesso tale inadempienza per la prima volta - si legge nell'atto - chiedo di archiviare il procedimento penale a mio carico". "Sono stato costretto a firmare questo documento, assolutamente falso, per dar seguito alla manovra transattiva. Io avevo sempre detto: guardate che sono innocente, per quale motivo dobbiamo fare una transazione ?" sostiene l'ingegnere "Ho dovuto sottostare al ricatto del governo dell'Azerbaigian, che non rispetta i diritti umani. É il prezzo che mi è stato imposto per sperare di tornare a vivere. Fossi stato ascoltato per tempo dai nostri rappresentanti politici e diplomatici, non saremmo giunti a questa conclusione farsesca".

A inizio agosto Daniele Del Grosso, deputato del Movimento 5 Stelle, presenta un'interrogazione parlamentare sulla vicenda Di Giacomo. Il 18 agosto la replica indiretta del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, con una lettera indirizzata al governatore abruzzese Luciano D'Alfonso: "La vicenda è stata seguita dalla Farnesina sin dalla sua genesi, anche tramite la nostra ambasciata a Baku" scrive Gentiloni "Tenuto conto che "Impresa S.p.A." è in regime di amministrazione controllata, ci siamo attivati nei confronti del Ministero dello sviluppo economico e della competente curatela fallimentare per evidenziare i profili umanitari del caso. A seguito del nostro intervento, il Mistero dello Sviluppo ha, in via eccezionale, autorizzato il curatore fallimentare a impiegare una parte della liquidità disponibile per perseguire un accordo transattivo. Proprio nelle ultime settimane la curatela della società ha provveduto al versamento delle somme dovute al Ministero delle imposte azero, informandone l'ingegner Di Giacomo. Speriamo, quindi, che a seguito di questo importante sviluppo la vicenda si possa chiudere positivamente, e in modo definitivo".

Ma il profilo di Marco Di Giacomo fa ancora sinistra mostra di sé sul sito dell'Interpol. Il suo alter ego criminale "Marco Di Giocomo" potrebbe essere arrestato da un momento all'altro. "Lavoravo da anni all'estero: non posso più espatriare. Ero un professionista affermato: oggi chiedo prestiti a familiari e amici. Non ho più soldi per pagare le bollette e mantenere mia figlia e mia moglie. Sono un uomo finito. Come potrei partecipare a un concorso pubblico, o propormi a un'agenzia di reclutamento, con una taglia dell'Interpol sulle spalle?".