Figli della SocietàS


Pirates

Finanzcapitalismo: schiavi del debito

basta europa delle banche
"Di tutti i modi per organizzare l'attività bancaria, il peggiore è quello che abbiamo oggi"
(Sir Mervyn King, ex governatore Banca d'Inghilterra)
Da sempre strumento di supporto dell'economia capitalistica, con l'avvento del neoliberismo la finanza si è tramutata da servitore a padrone dell'economia mondiale, fagocitandola e riproducendosi a ritmi vertiginosi.

di Ilaria Bifarini *

Una delle trasformazioni più inumane del sistema capitalistico industriale, fondato originariamente sull'industria manifatturiera e più in generale di produzione, è quella in capitalismo finanziario, in cui il potere è concentrato in pochi grandi istituti di credito. Le banche hanno cessato il loro ruolo di supporto e di credito allo sviluppo, preferendo investire in prodotti finanziari dai quali viene generato altro capitale, in un sistema autoreferenziale in cui i profitti nascono dalla speculazione, senza passare attraverso il lavoro e la produzione.

In modo graduale, ma anche repentino, il sistema capitalistico ha spostato l'asse dall'economia reale a quella finanziaria e, ancora peggio, alla speculazione che ne deriva, tanto da essere stato ribattezzato "finanzcapitalismo" o "capitalismo ultrafinanziario".

Orientato alla massimizzazione del profitto ricavato dal denaro stesso, in esso la ricchezza non passa attraverso la produzione di beni o servizi, né è previsto un piano di redistribuzione tra lavoratori e consumatori, ma solo l'accentramento nelle mani di pochi, pochissimi. Da sempre strumento di supporto dell'economia capitalistica, con l'avvento del neoliberismo la finanza si è tramutata da servitore a padrone dell'economia mondiale, fagocitandola e riproducendosi a ritmi vertiginosi.

A partire dal 1980 l'ammontare degli attivi generati dal sistema finanziario ha superato il valore del Pil dell'intero pianeta. Da allora la corsa della finanza al profitto è diventata così veloce da quintuplicare per massa di attivo l'economia reale nel giro di un trentennio.

Cult

Gentiloni: uomo-portafoglio per i debiti di Renzi

gentiloni
© AFP 2016/ AL-WATAN DOHA / KARIM JAAFAR
Come volevasi dimostrare: i debiti lasciati dal governo Renzi esistevano veramente. E ora toccherà pagarli al premier subentrante, Paolo Gentiloni.

Ma si tratta solo della consueta partita di giro, gestita in casa, all'interno del Partito Democratico e di questo governo-fotocopia. Una situazione che almeno non obbligherà i vecchi o rinnovati ministri a inscenare il solito teatrino, quello dei nuovi arrivati che si stracciano le vesti accusando i precedenti inquilini di Palazzo Chigi di qualunque delitto e che nel rimpallarsi le imputazioni sprecano un anno di lavoro. Stavolta non dovrebbe esserci la lotta di veline, perchè c'è Gentiloni che dovrà diventare l'uomo-portafoglio dei debiti di Renzi. Resta però un interessante dato politico: il tour della Penisola fatto dall'ex premier e dalla sua sodale Boschi, finalizzato a promuovere il Sì al referendum e che ha lasciato ai cittadini un pesante dazio da pagare, un'antipatica eredità prevista anche su Sputnik.

Il conto presentato dall'UE è salatissimo, con 3,4 miliardi di euro di manovra correttiva che corrispondono a due terzi del gettito ex Ici sulla prima casa. È una cifra destinata a impedire l'ennesima procedura d'infrazione, che toglierebbe la terra da sotto i piedi a uno Stato cui gli organismi comunitari hanno già largamente concesso flessibilità nelle norme sul pareggio di bilancio e sul patto di stabilità. Questo lassismo era stato mal digerito da gran parte dell'establishment di Strasburgo e di Bruxelles, che conoscono bene i pregi e i difetti della classe politica italiana.

C'è da domandarsi se gli argomenti addotti dal ministro dell'Economia Padoan, cioè la deflazione e le condizioni di mercato avverse alle privatizzazioni (che considera fattori fuori dal controllo del Governo), potranno convincere l'Eurogruppo a lasciar decadere l'eventuale procedura d'infrazione; però diventa difficile crederlo dopo il declassamento del rating dell'Italia e dopo le previsioni sulla crescita economica tutte riviste al ribasso.

Chalkboard

Disastri naturali, il modello di Cuba e il baratro italiano

frtyui
"Il segreto dell'esito della Difesa Civile Cubana è non pensare al costo che suppone fermare imprese, traslocare centinaia di migliaia di persone, alimentare gli sfollati, paralizzare economicamente il paese quando è imprescindibile. L'esito radica nel dare la massima priorità alla salvaguardia della vita umana."
Così terminava un articolo di Fernando Ravsberg, giornalista uruguaiano corrispondente a Cuba per la BBC, uscito sul giornale spagnolo Público. L'articolo spiegava perché l'uragano Matthew, lo scorso ottobre, non ha causato vittime a Cuba, mentre nelle altre isole caraibiche il ciclone mortale aveva provocato moltissime vittime mortali.

Il giornalista del canale informativo britannico, tutt'altro che vicino al Partito Comunista Cubano, descriveva l'incredibile capacità di resistenza e risposta del modello cubano alle molteplici calamità naturali che si abbattono sull'Isola. Un modello basato sulla partecipazione e l'informazione, in cui la chiave per garantire la protezione alla cittadinanza è la solidarietà tra gli abitanti. Una solidarietà, però, tutt'altro che spontanea o caduta dal cielo, bensì organizzata nei minimi dettagli, sia a livello istituzionale che sociale, a livello statale ma soprattutto comunitario.

In situazioni di emergenza, tutte le famiglie cubane evacuate trovano sistemazioni in scuole, istituzioni, qualsiasi edificio è messo a disposizione in caso di pericolo per calamità naturale. Durante l'ultimo uragano, qualche mese fa, queste operazioni hanno coinvolto più di un milione di persone (su una popolazione di undici milioni). La Difesa Civile è, per l'appunto, composta soprattutto da civili: solo una piccola parte degli uomini e delle donne che si attivano in caso di rischio fanno parte dei corpi statali, il resto sono persone che nella vita quotidiana svolgono altri mestieri. Infatti, in un altro articolo, Alexis Lorenzo, psicologo e membro della "Rete Latinoamericana di Psicologia per i casi di Emergenze e Disastri", spiega: ‹‹se chiedessimo a un cubano cos'è la Difesa Civile, risponderebbe: siamo noi, ogni persona partecipa nelle diverse tappe di preparazione››.

Crusader

Sovrantita' democratica significa subito spendere 20 miliardi per le popolazioni colpite da terremoto e gelo. Poi mandare all'inferno la UE

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LA SOVRANITÀ DEMOCRATICA È SPENDERE SUBITO 20 MILIARDI per le popolazioni e le aree colpite dal terremoto e dal gelo e mandare all'inferno la UE e i suoi vincoli di bilancio.


Questa dovrebbe essere la risposta alla letterina con cui i burocrati della UE chiedono di tagliare 3,4 miliardi di euro dal bilancio pubblico.

Attenzione, chi denuncia la cialtroneria di Renzi, che per fare la sua perdente campagna referendaria ha distribuito furbescamente mance e promesse, chi condanna i giochetti del governo con la UE, ha perfettamente ragione. Va però aggiunto che gli stessi burocrati UE si sono prestati ai trucchi renziani, rinviando la loro presa di posizione a dopo il voto sulla controriforma costituzionale, che hanno sfacciatamente sostenuto. Dopo la vittoria del NO ora Bruxelles ci presenta il conto e dice che dobbiamo pagare. Eh no.

Il ministro Del Rio, ai governanti tedeschi che chiedono par condicio nelle multe tra Volkswagen e FCA, ha risposto che siamo un paese sovrano. Il nostro governo difende la sovranità del paese solo quando deve obbedire a Marchionne? Eh no.

Quello che sta avvenendo è gravissimo e non può essere coperto dal teatrino della politica di palazzo e dai borbottii incomprensibili di Padoan, Gentiloni, Mattarella. Un paese che si fa imporre il bilancio dello stato da poteri esteri non ha più una sovranità, non è più una democrazia, è solo una colonia.

Arrow Down

Il fallimento del Jobs Act

Licenzia Act

di Guglielmo Forges Davanzati


È ormai chiaro che, rispetto all'obiettivo dichiarato (accrescere l'occupazione), il Jobs Act si è rivelato fallimentare. Il provvedimento, che ha introdotto contratti a tutele crescenti (frequentemente ed erroneamente definiti a tempo indeterminato) è stato accompagnato da ingenti sgravi contributivi a favore delle imprese per la 'stabilizzazione' dei contratti di lavoro.

Secondo la propaganda governativa, si sarebbe fatta marcia indietro rispetto alle misure di precarizzazione del lavoro messe in atto con intensità crescente negli ultimi decenni. Nei fatti, si è trattato di un provvedimento che ha semmai reso le condizioni di lavoro ancora più precarie, sia per l'introduzione di una nuova tipologia contrattuale (il contratto a tutele crescenti) che non stabilizza il rapporto di lavoro (ma rende più difficile e costoso il licenziamento al crescere dell'anzianità di servizio), sia per l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. In più, contrariamente agli obiettivi dichiarati, si è accentuato il dualismo del mercato del lavoro italiano, inserendo una inedita cesura - datata 7 marzo 2015 - fra lavoratori assunti con veri contratti a tempo indeterminato e lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti.

Come da più parti previsto, si è trattato di un provvedimento del tutto inefficace, e per alcuni aspetti controproducente, per la crescita dell'occupazione. Dopo un aumento dell'occupazione 'a tempo indeterminato', evidentemente determinato dalla convenienza da parte delle imprese a riconvertire i contratti per avvalersi della detassazione, riducendosi i fondi pubblici per gli sgravi fiscali alle imprese, si è registrata una rapidissima inversione di tendenza: è aumentato il tasso di disoccupazione e i contratti sono diventati sempre più precari. In sostanza, si è trattato di un'operazione che ha temporaneamente "drogato" il mercato del lavoro italiano. Nulla più di questo, se non si fosse trattato di un vero e proprio spreco di risorse pubbliche per un obiettivo non raggiunto e verosimilmente non raggiungibile con gli strumenti utilizzati. Terminata questa fase, ci si ritrova in una condizione sotto molti aspetti peggiore della precedente, una triste eredità del Governo Renzi, per due ordini di ragioni.

Propaganda

Governo italiano: adeguamento all'UE e prove di censura

censura
© flickr.com/ Jennifer Moo

Gli eventi di portata storica del 2016 (Brexit, Trump presidente, sconfitta referendaria di Renzi, vittoria di forze "populiste") non riescono a venire metabolizzati da una classe politica che ha fallito nella sua totalità: diventa quindi necessario per essa addomesticare il malcontento col vecchio metodo del togliere voce a chi si ribella.


E' inutile, le élite globali proprio non si arrendono di fronte all'evidenza: la rete ha cambiato una volta per tutte il mondo dell'informazione, superando i tradizionali e forse obsoleti centri di intermediazione delle notizie. A farne le spese sono i diritti fondamentali come la libertà di parola e quella di stampa, che oggi rischiano di essere cancellati dalle direttive europee. Gli eventi di portata storica del 2016 (Brexit, Trump presidente, sconfitta referendaria di Renzi, vittoria di forze "populiste") non riescono a venire metabolizzati da una classe politica che ha fallito nella sua totalità: diventa quindi necessario per essa addomesticare il malcontento col vecchio metodo del togliere voce a chi si ribella.

Recentemente il Governo italiano ha fatto conoscere sulla testata Il Foglio, per bocca del ministro della Giustizia Orlando, le sue brillanti idee per imbavagliare l'informazione della rete: E' arrivato il momento di mettere le cose in chiaro: Facebook non può essere più considerato un semplice veicolo di contenuti. Se su una bacheca vengono condivisi messaggi d'odio, o propaganda xenofoba, è necessario che se ne assuma le responsabilità non solo chi ha pubblicato il messaggio ma anche chi ha permesso a quel messaggio di essere letto potenzialmente in tutto il mondo. Al momento non esiste una legge che renda Facebook responsabile ma di questo discuteremo in sede europea prima del G7, per mettere a tema il problema senza ipocrisie.

Alarm Clock

L'analfabetismo italiano e la Repubblica fondata sull'ignoranza

tullio de mauro

Nel giorno della scomparsa di Tullio De Mauro (1932-2017) riproponiamo questa sua intervista rilasciata l'anno scorso a La Voce di New York.
Buona lettura


Secondo gli studi dell'autorevole linguista De Mauro, meno di un terzo della popolazione italiana avrebbe i livelli di comprensione della scrittura e del calcolo necessari per orientarsi nella vita di una società moderna. Il peso sullo sviluppo economico e sociale resta enorme.

di Filomena Fuduli Sorrentino - 28 marzo 2016

Tullio De Mauro è il più autorevole linguista italiano. De Mauro ha insegnato linguistica in diverse università italiane e ha diretto il Dipartimento di Scienze del Linguaggio nella Facoltà di Filosofia, e successivamente il Dipartimento di Studi Filologici, nella Facoltà di Scienze Umanistiche dell'Università la Sapienza di Roma. Già ministro della pubblica istruzione (aprile 2000-giugno 2001, governo Amato), ha presieduto la Società di Linguistica Italiana (1969-73) e la Società di Filosofia del Linguaggio (1995-97). Nel novembre 2006 ha contribuito alla fondazione dell'associazione Senso Comune per un progetto di dizionario informatico, di cui è tuttora presidente. È socio ordinario dell'Accademia della Crusca, e dal novembre 2007 dirige la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci. De Mauro presiede il comitato direttivo del Premio Strega. Ha scritto moltissimi libri, tra i quali il recente Storia linguistica dell'Italia repubblicana (Laterza, Bari 2014).

- Professor De Mauro, nel 2010 aveva condotto uno studio sull'analfabetismo in Italia. Ci fa il punto sui dati raccolti allora, sulle novità e come si dividono?

- "Da molti anni, perlomeno dalla Storia linguistica dell'Italia unita del 1963, ho cercato di raccogliere dati sull'analfabetismo strumentale (totale incapacità di decifrare uno scritto) e funzionale (incapacità di passare dalla decifrazione e faticosa lettura alla comprensione di un testo anche semplice) e ho cercato di richiamare l'attenzione dei miei illustri colleghi sul peso che l'analfabetismo ha sulle vicende linguistiche e, ovviamente, sociali in Italia. Avevamo dati sull'analfabetismo strumentale, ma per l'analfabetismo funzionale avevamo solo sondaggi parziali e ipotesi, a elaborare le quali abbiamo lavorato a lungo in diversi, ricordo qui almeno e soprattutto il professor Saverio Avveduto a lungo presidente dell'UNLA (Unione Nazionale per la Lotta all'Analfabetismo). Dai tardi anni novanta dello scorso secolo per merito di Statistics Canada (il centro statistico nazionale canadese) sono state promosse accurate indagini comparative e osservative su estesi campioni statistici delle popolazioni per determinare diversi gradi di analfabetismo nei diversi paesi del mondo. Già nel 2005 ho potuto utilizzare questi dati. Nel 2014 è giunta a compimento la terza indagine comparativa internazionale gestita dall'OCSE (l'Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico). L'indagine è chiamata PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies), e per quasi trenta paesi del mondo, tra cui l'Italia, ha definito cinque livelli di alfabetizzazione in literacy e numeracy delle popolazioni in età di lavoro (16-65 anni), dal livello minimo di analfabetismo strumentale totale, a un secondo livello quasi minimo e comunque insufficiente alla comprensione e scrittura di un breve testo, ai successivi tre gradi di crescente capacità di comprensione e scrittura di testi, calcoli, grafici. Dati analitici sul nostro e altri paesi possono trovarsi in un mio libro più recente, Storia linguistica dell'Italia repubblicana (Laterza, Bari 2014). Qui il nostro focus è l'Italia. Come in Spagna il 70% della popolazione in età di lavoro si colloca sotto i due primi livelli. Soltanto un po' meno di un terzo della popolazione ha quei livelli di comprensione della scrittura e del calcolo dal terzo livello in su che vengono ritenuti necessari per orientarsi nella vita di una società moderna. Ma il fenomeno ha gravi dimensioni in tutti i paesi studiati anche se nessuno raggiunge i livelli negativi di Italia e Spagna. Più della metà della popolazione è in condizioni che potremmo dire "italo-spagnole" negli USA e (a decrescere), in Francia, Gran Bretagna, Germania ecc. Perfino in paesi virtuosi, per eccellenza dei sistemi scolastici e diffusione della lettura, si trovano percentuali di analfabeti prossime al 40%: così in Giappone, Corea, Finlandia, Paesi Bassi.

Snakes in Suits

Il Caso Almaviva: la delocalizzazione UE che schiaccia i lavoratori

Almaviva Roma Licenziamenti
Proteste in seguito all'annuncio di 1.666 licenziamenti all'Almaviva
Il giorno dopo la drammatica notizia dei 1.666 licenziamenti all'Almaviva Roma, call center del gruppo della famiglia Tripi, vi offriamo una sintesi dei fatti che hanno portato 1.666 famiglie a un Capodanno senz'altro triste.

Premesso che poco c'interessa in questa sede delle responsabilità di Renzi e della sua propaganda sulla "soluzione positiva del caso Almaviva" del maggio scorso, passiamo alla nostra ricostruzione degli eventi recenti.

A marzo il governo costituisce un tavolo per la crisi del settore dei call center italiani, soggetti a concorrenza di paesi italofoni a basso costo (Albania, Romania) e penalizzato da gare sottocosto sia di privati che della pubblica amministrazione. Il tavolo si riunisce una sola volta. Per quanto riguarda Almaviva:

Pistol

Attacco terroristico ad Istanbul: 39 morti, di cui 16 stranieri

Istanbul terrorist attack santa claus
© Reuters. Osman Orsal
Tra i morti dell'attacco terroristico in un night club di Istanbul ci sono 16 stranieri, ha detto il Ministro degli interni turco Suleyman Soilu.

Nell'attacco terroristico nel club sono morte 39 persone, sono 69 i feriti, ha riferito il Ministro.

Commenta: Uno dei terroristi che hanno attaccato la discoteca Reina ad Istanbul è stato ucciso dalla polizia.

Secondo alcune testimonianze, vi erano almeno due uomini armati dentro la discoteca durante la sparatoria.


USA

Trump deride CNN e NBC per la copertura della situazione sanzioni contro la Russia

Trump US Sanctions Russia
© Reuters. Andrew Kelly
Il presidente eletto USA Donald Trump ha deriso i principali canali di notizie per la copertura della situazione riguardo l'imposizione di sanzioni degli Stati Uniti e l'espulsione dei diplomatici russi, così come l'assenza di una risposta da Mosca.

"CNN e NBC News come degli idioti si sono fatti fregare dai russi, è divertente guardare come non abbiano idea di quello che stia accadendo!" ha scritto il presidente eletto sul proprio Twitter. A suo giudizio "l'unico canale ad aver compreso la situazione è Fox News".

Il canale televisivo CNN nella giornata di venerdì ha definito la reazione di Mosca, in particolare la scelta di non espellere i diplomatici americani, "strana", e ipotizzano "se la dirigenza russa non abbia giocato meglio del futuro presidente Trump".

In precedenza Donald Trump ha dichiarato che il presidente Putin abbia fatto un "ottima scelta", non espellendo i diplomatici americani.