© La gazzetta della Spezia
di Tonino DessìI giornali legati ai poteri finanziari hanno scritto in questi giorni a caratteri cubitali che
se vince il NO sono a rischio quattro grandi banche italiane.
Mai firma più impudente si sarebbe potuta apporre al condizionamento di un voto popolare. Altro che "merito", altro che discussione sulla semplificazione istituzionale e sull'efficienza della decisione politica per l'interesse generale.
Quando degli istituti finanziari entrano in crisi, emergono sempre cause attribuibili a gestioni azzardate se non clamorosamente incompetenti, frodi fiscali e finanziarie a danno dell'erario, ruberie selvagge ai danni degli investitori onesti e dei risparmiatori fiduciosi, cospicui e occulti trasferimenti di danaro verso grumi di potere politico-economico parassitari, rapporti col sottomondo mafioso, emolumenti stratosferici (altro che i costi dei parlamentari) a presidenti, componenti di consigli di amministrazione, pseudomanager di provenienza politica o comunque piazzati in quegli incarichi tramite lottizzazioni governative, nazionali e locali.
Quel mondo di dilapidatori, di biscazzieri, di ladri, di corruttori e di corrotti non trema tanto per gli effetti del referendum su discutibili e divisive riforme costituzionali.
Trema perché teme che in conseguenza di un voto che proprio il Governo, il suo Presidente, la sua maggioranza spuria, hanno provocato con intenti plebiscitari, questi stessi possano andare in crisi.
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