Figli della SocietàS


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Lombardia, divieto su burqa e niqab

Muslim woman
© AFP 2015/ AREF KARIMI
Pugno duro della Regione Lombardia che con una modifica ai regolamenti ha vietato l'uso del velo islamico nelle strutture regionali, come ospedali e uffici pubblici.

La giunta della Lombardia guidata dal leghista Roberto Maroni ha approvato una modifica al regolamento per vietare l'uso del velo islamico all'interno delle strutture regionali.

La decisione, maturata negli ambienti vicini al governatore Roberto Maroni già all'indomani degli attentati del 13 novembre, è sfociata in una delibera in cui però tecnicamente non c'è alcuna menzione specifica del velo usato dalle donne di fede musulmana, limitandosi a recepire ampliandolo un precetto già previsto da una normativa del Testo Unico di pubblica sicurezza, nella parte in cui è espressamente vietato l'ingresso "a volto coperto" negli edifici pubblici.

Nella conferenza stampa seguita all'approvazione della delibera è stato lo stesso governatore Maroni a precisare che l'inserimento nei regolamenti regionali consentirà agli addetti ai controlli di non fare entrare in strutture pubbliche, come uffici e ospedali, chiunque indossi caschi o abiti tradizionali. "Abbiamo adeguato il regolamento — ha detto il governatore della Lombardia — e ora chi controlla gli ingressi potrà non far entrare chi si presenta a volto coperto".

Георгиевская ленточка

Il Meglio del Web: Putin arriva nelle case degli italiani, la vita del presidente su rete 4

Putin
© Sputnik. Alexei Nukolski
Vladimir Putin si racconta in prima persona, ma questa volta in italiano. Su Rete 4 lunedì 7 dicembre infatti andrà in onda in seconda serata un film documentario sul presidente russo, realizzato da Rossiya 1.

Il documentario "Il presidente" è stato proiettato in anteprima a Roma alla presenza dell'Ambasciatore russo Sergei Razov e del presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. Nei 90 minuti di film si susseguono le tappe della presidenza Putin dal 1999 fino alla crisi siriana. Non manca il racconto sui momenti più difficili e controversi della politica del presidente, come la guerra cecena, la tragedia dell'equipaggio del sottomarino Kursk e l'attentato terroristico al teatro Dubrovka, che lo stesso Putin definisce "il momento più brutto della mia storia politica".

Nonostante una stampa molto critica nei confronti del leader del Cremlino, in Italia tra i semplici cittadini Putin è sempre più popolare. Questo film rappresenta senz'altro un grande interesse per le persone che si chiedono "chi è Putin", per il pubblico che ammira il presidente russo, ma vorrebbe capire meglio l'uomo e non solo il politico. Il centro del documentario è l'intervista a Putin filmata in una sala del Cremlino, che viene completata con interviste a personalità vicine al presidente. Non mancano certamente immagini che ritraggono il Putin sportivo, giocatore di judo, il Putin alle prese con l'hockey, il pianoforte e le lingue straniere. Un ritratto biografico completo e interessante.

Comunque la si pensi, Putin è una figura centrale oggi più che mai nello scenario mondiale ed ha "un ruolo storico datogli dal destino" come racconta in un'intervista a Sputnik Italia Alessandro Banfi, giornalista che assieme a Carlo Gorla ha curato la versione italiana del documentario.

— Alessandro Banfi, com'è nata l'idea di proporre al pubblico italiano questo film biografico su Vladimir Putin?

— Ci sembrava un bilancio della presidenza Putin fatto dal suo punto di vista, però molto vicino, interessante. C'è grande curiosità e attenzione in questo momento, la sua personalità è centrale nello scenario internazionale, invece di chiedersi ogni giorno chi è Putin, si tratta di vedere concretamente un riepilogo di questi 16 anni e credo questo rivesta un grande interesse.

Commenta: Qui di seguito ripportiamo il documentario "Il Presidente", sulla vita politica di Vladimir Putin, andato in onda il 7 Dicembre su Rete 4:




Better Earth

Venezuela: la lotta per il socialismo è appena all'inizio

chavez
© medialab.infobae.com
Per la prima volta in 17 anni la controrivoluzione venezuelana ottiene una vittoria elettorale significativa e la maggioranza nell'Assemblea Nazionale, il parlamento unicamerale del Paese. L'opposizione, raggruppata nella coalizione di destra Tavola dell'Unità Democratica (MUD), ha eletto 99 deputati contro i 46 della coalizione Grande Polo Patriottico, in cui si riuniscono i partiti della Rivoluzione Bolivariana, sotto la guida del Partito Socialista Unito del Venezuela, il PSUV. Ci sono ancora 22 seggi in discussione, che saranno attribuiti in giornata, con la fine dello scrutinio.

Fonte: Marx21.it

L'elevata affluenza del 74,25% dell'elettorato e la partecipazione democratica e civica - secondo un bilancio fornito dal Potere Elettorale, dalle Forze Armate Nazionali Bolivariane, da osservatori e visitatori internazionali e strumenti di informazione, l'evento è trascorso in un clima pacifico, senza incidenti - rivelano il grado di maturità delle istituzioni democratiche della Rivoluzione Bolivariana.

La scorrevolezza delle procedure elettorali, la trasparenza nella registrazione dei risultati e il loro pronto riconoscimento da parte del presidente della Repubblica, Nicolas Maduro, fanno tacere le voci infauste che annunciavano frodi, violazione della legge e persino il golpe. Sereno, il capo dello Stato, in un discorso alla nazione, ha detto: "Con la nostra morale, con la nostra etica riconosciamo questi risultati avversi, il che significa dire al Venezuela che hanno trionfato la Costituzione e la democrazia".

L'avanzata elettorale delle forze controrivoluzionarie si iscrive nel contesto della brutale offensiva scatenata dalla destra nazionale in collusione con l'imperialismo statunitense, il cui obiettivo strategico è il rovesciamento della Rivoluzione Bolivariana e la restaurazione del potere delle classi dominanti. In modo intermittente, questa offensiva è andata acutizzandosi e si è già manifestata per vie golpiste, antidemocratiche e minacce di intervento.

I primi tentativi di destabilizzazione della Rivoluzione Bolivariana sono stati il colpo di Stato dell'aprile 2002, lo sciopero nel settore petrolifero e la serrata padronale, del dicembre 2002 e febbraio 2003. All'inizio dell'anno scorso, il paese ha conosciuto un movimento insurrezionale strumentalizzato da forze della destra e imperialiste, che ha tentato di imporsi con la violenza controrivoluzionaria, con le cosiddette operazioni di cambiamento di regime, vittoriose in altri continenti. Da marzo dell'anno in corso, il Venezuela si trova sotto la minaccia di sanzioni e intervento dell'imperialismo nordamericano, a partire dall'emissione da parte del governo di Barack Obama di un decreto che definisce il paese una "minaccia" alla sicurezza degli Stati Uniti.

La vittoria elettorale delle forze della destra venezuelane è stata costruita sulla base di una brutale guerra economica e sabotaggi di ogni tipo, compresa la penuria di beni ad opera di speculatori, in una situazione in cui è già di per sé grave la crisi economico-finanziaria, in relazione alla caduta del prezzo del petrolio e con le vicissitudini proprie di un paese che importa il 70% di quello che consuma e che non è riuscito a produrre cambiamenti sostanziali nel suo modello produttivo.

Si apre una nuova fase, in una situazione politica momentaneamente avversa, di sviluppo della lotta del popolo venezuelano per l'edificazione di una nazione indipendente, con giustizia sociale e che fa parte in modo solidale dell'insieme della regione latinoamericana e caraibica. La sfida è mantenere nella nuova situazione la prospettiva antimperialista e socialista, inaugurata dal leader storico della Rivoluzione Bolivariana, prematuramente scomparso il 5 marzo 2013.

La vittoria elettorale della destra accresce le difficoltà, ma non significa la sconfitta della Rivoluzione. A breve termine, le forze di destra si arroccheranno nella maggioranza conquistata nell'Assemblea Nazionale per, adottando una strategia di scontro e dualismo di poteri, imporre nuove sconfitte alla Presidenza della Repubblica e alle altre istituzioni democratiche della Rivoluzione, cercando di promuovere cambiamenti che facciano retrocedere le conquiste storiche. Nel mirino le elezioni presidenziali del 2019.

Nel suo primo discorso dopo la proclamazione del risultato, il presidente Maduro ha chiamato la militanza socialista "a riprendersi d'animo, con molta accuratezza e qualità umana", e ha invitato tale militanza a contribuire ad "accelerare una profonda rivoluzione economica e produttiva", fiducioso nel fatto che "è ora che comincia la lotta per la costruzione del socialismo, di una nuova società".

Quenelle

Venezuela. Dopo il 6 dicembre non c'è un chavismo sconfitto

chavismo
© runrun.es
Un commento sul dopo elezioni in Venezuela del ministro della cultura del governo chavista e in fondo i risultati elettorali definitivi.
"L'identità politica del chavismo è intatta. Chiunque sia stato recentemente nei bassifondi lo sa. Con la guerra economica Trionfante, il chavismo ne ha verificato la sua forza. Ma resta irriducibile. Si può ancora parlare con la proprietà assoluta di una rivoluzione bolivariana, perché c'è un soggetto di quella rivoluzione. Dicono che queste siano domande di base, ma sono proprio quelle che devono essere prese in considerazione quando si fanno i bilanci.

Non ha vinto l'opposizione, ma la controrivoluzione. La caratterizzazione fatta da Maduro, è la chiave. La contro-rivoluzione è riuscita a imporre circostanziatamente, le regole del gioco. Ha l'iniziativa. Per raggiungere questo obiettivo, non solo è riuscita a guadagnarsi gli storici avversari di Chavez (incluso, per inciso, anche il legittimo desiderio di "cambiare" di una parte della sua base sociale, che non si identifica con le tendenze più fasciste), ma per la prima volta, ha mobilitato con successo una percentuale della base sociale del chavismo. Questa è forse il dato più enigmatico del momento politico attuale.

Quali sono le condizioni che hanno portato a questo fenomeno di disaffezione politica? Fino a che punto può essere attribuito alla guerra economica? Senza sottovalutare a tutti gli effetti di quest'ultima, la mia ipotesi è che questo fenomeno può anche essere inteso come una reazione di estrema disperazione, rispetto a quanto ritenuto corrispondente tra la pratica della direzione chavista (in funzioni di governo o responsabilità nel partito) e la cultura politica chavista.

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Front National primo partito di Francia. L'analisi di Jacques Sapir

Marie Le Pen
Al primo turno delle elezioni regionali in Francia, il Front National di Marine Le Pen, è arrivato primo in sei regioni su tredici.

Per Jacques Sapir, da questo voto, si possono trarre delle grandi lezioni e alcune di queste non sono nuove; sono solo la conferma delle tendenze che erano già percepibili dal 2012. Ma altre sono nuove e riflettono i cambiamenti degli ultimi mesi. Il successo del Fronte Nazionale è evidente. Ma deve essere analizzato attentamente.

La prima lezione è il progresso nazionale del Fronte Nazionale, che è diventato il primo partito della Francia, con una dimensione geografica interessante. Il principale successo del Fronte Nazionale è ad est di una linea da Le Havre a Marsiglia. Nelle sei regioni che occupano questo territorio, supera il 40% in 2 (Nord-Pas-de-Calais-Picardie e in Provence-Alpes-Côte d'Azur ) e il 30% nelle altri due (Alsazia-Lorena-Champagne-Ardenne e Bourgogne-Franche-Comté. ). Le altre due regioni sono contrassegnate dalla vittoria delle liste della destra. Ma quella linea Le Havre-Marsiglia è una vecchia conoscenza per i geografi. Questa è la linea tra la Francia della grande (e vecchia) industria e dell'alta urbanizzazione e della Francia agricola, rurale e delle piccole industrie. Il senso politico di questa linea si fonde con il suo significato sociale e industriale, con l'eccezione della regione PACA. E' la Francia delle tradizioni industriali, quella che ha subito l'urto dell'impatto della globalizzazione e della de-industrializzazione.

Ma questa partizione del voto secondo la partizione del territorio in onore tra i geografi ne nasconde un'altra. Il Fronte nazionale ha fatto passi da gigante nella regione Languedoc-Roussillon-Midi Pyrénées e nella regione di Centro. In queste regioni, non è la grande e vecchia industria che aveva strutturato il territorio, ma un'industria più decentralizzata, composto da piccole e medie imprese, a volte lavorando in sinergia con l'agricoltura o come subappaltatore specializzato di grandi aree industriali. Questa industria conosce da dieci anni una profonda crisi, ma è meno spettacolare di quella dei grandi bacini. Le chiusure delle imprese industriali sono aumentate, ognuna con i licenziamenti da 100 a 200 persone che sono rimasti ignorati dai media nazionali. Queste sono le aree della povertà rurale, perché per ogni chiusura aziendale ci sono decine di famiglie che sono vulnerabili e scivolano verso l'insicurezza economica e la povertà estrema.

Questa classificazione comprende anche le regioni con tradizioni piuttosto profondamente radicate, che soffrono maggiormente l'abbandono di grandi servizi pubblici, ma anche la crescita di una precarietà culturale.

Un'altra lezione importante, e relativamente nuova, è la combinazione dello scarso rendimento del Fronte di Sinistra, con la - relativa - innovazione del partito Nicolas Dupont-Aignan, Debout la République. E da qui l'esigenza, come scrive Sapir, della nascita di un fronte sovranista di sinistra, una corrente autonoma che rappresenti le posizioni dei sovranisti di sinistra.

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La Francia pronta a vietare le connessioni anonime e il Wi-Fi pubblico

free wi fi graffiti
E' tutto concesso in nome della lotta contro il terrorismo?

Dopo gli attacchi terroristici che hanno sconvolto Parigi lo scorso 13 novembre, il governo francese sta considerando una serie di misure per rafforzare la sicurezza nel paese che comprendono il taglio delle reti WiFi pubbliche e il blocco dei sistemi di comunicazione anonima per Internet come Tor.

Il governo francese sta prendendo in considerazione l'adozione di nuove leggi per limitare le comunicazioni, nel tentativo di aumentare la sicurezza e combattere il terrorismo in risposta agli attacchi nella capitale che hanno ucciso 130 persone, riporta il portale Motherborad citando "Le Monde". Il quotidiano francese fa riferimento a un documento interno del Dipartimento delle Libertà Civili e degli affari giuridici del Ministero degli Interni francese.

Nella relazione sono elencate le due misure: una collegata allo stato di emergenza e l'altra alla lotta contro il terrorismo. Entrambe le leggi potrebbero entrare in vigore nel gennaio 2016.

Nel primo caso, il governo francese sta considerando "il divieto di connessioni WiFi gratuite e condivise" in caso di stato di emergenza. L'iniziativa nasce da un parere della polizia incluso nel documento, che indica che è difficile rintracciare i sospetti che utilizzano le reti pubbliche e le condividono con gli altri.

Nel secondo caso, il governo francese sta considerando di "bloccare le comunicazioni o vietarle attraverso il sistema Tor, un software che nasconde l'indirizzo IP dei suoi utenti", così come chiedere agli operatori di consegnare tutte le chiavi di crittografia utilizzate alla polizia. Questo potrebbe essere una misura generale e non applicata solo durante lo stato di emergenza. Si noti che il Dipartimento Libertà Civili e degli affari giuridici ha messo in dubbio la costituzionalità di questa misura.

Stock Down

Evapora la crescita, Renzi fa la vispa teresa

Renzi
L'importanza di istituti scientifici imparziali si vede in certe occasioni. Ieri l'Istat ha di fatto dimezzato le attese di crescita nel quarto trimestre (si tratta ancora di stime, non di dati a consuntivo), prospettando nel periodo un incremento del Pil pari al +0,2%, anziché quel +0,4% scritto sullla sabbia di previsioni governative "ottimistiche" per ragioni propagandistiche e per calcoli contabili (con una crescita più bassa, buona parte della "manovra" di fine anno diventa a rischio, con conseguenti reprimende feroci da parte dell'Unione Europea).

La nuova stima porta con sé una riduzione della cescita totale del 2015 a un più modesto 0,7% in luogo del +0,9 delle stime governative, su cui nei giorni scorsi si sono intrecciati penosi siparietti tra Renzi e Padoan, quando è diventato chiaro a tutti - meno che al governo - che le attese erano esagerate rispetto alla realtà.

Sia chiaro, stiamo comunque parlando di zero virgola, ossia di scostamenti impercettibili nella vita delle persone e di un'economia complessa. Ma se ci si trova davanti a un esecutivo di absolute beginners, totalmente incompetenti (Padoan a parte, che viene dall'Ocse e prima ancora dal Pci), abituato a gonfiare retoricamente gli zero virgola in più e a ignorare analoghi spostamenti se sono negativi, allora è più che legittimo sottolineare il dato e far ingoiare "l'ottimismo" di maniera a questa banda di prestanome selezionata in chissà quale casting dai rappresentanti della Troika in Italia.

Bad Guys

L'espansione NATO trascina l'Europa alla guerra

stop NATO


COMUNICATO DEL COMITATO NO GUERRA NO NATO


La decisione del Consiglio Nord Atlantico di invitare il Montenegro a iniziare i colloqui di accesso per divenire il 29° membro dell'Alleanza, getta benzina su una situazione già incandescente. Tale decisione conferma che la strategia Usa/Nato mira all'accerchiamento della Russia.

Il Montenegro, l'ultimo degli Stati nati dallo smantellamento della Federazione Jugoslava con la guerra Nato del 1999, ha, nonostante le sue piccole dimensioni, un importante ruolo geostrategico nel Balcani. Possiede porti utilizzabili a scopo militare nel Mediterraneo e grandi bunker sotterranei che, ammodernati, permettono alla Nato di stoccare enormi quantità di munizioni, comprese armi nucleari.

Il Montenegro è anche candidato a entrare nell'Unione europea, dove già 22 dei 28 membri appartengono alla Nato sotto comando Usa. Nonostante che perfino l'Europol (l'Ufficio di polizia della Ue) abbia messo sotto inchiesta il governo di Milo Djukanovic, perché il Montenegro è divenuto il crocevia del traffico di droga dall'Afghanistan all'Europa e il più importante centro di riciclaggio di denaro sporco.

Dopo aver inglobato dal 1999 al 2009 tutti i paesi dell'ex Patto di Varsavia, tre della ex Unione Sovietica e due della ex Federazione Jugoslava, la Nato vuole ora impadronirsi del Montenegro per trasformarlo in base della sua strategia aggressiva. Si avvale a tal fine della complicità del governo Djukanovic, che all'interno reprime duramente la forte opposizione democratica all'entrata del Montenegro nella Nato.

no NATO
La Nato mira oltre. Si prepara ad annettere Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ucraina e altri paesi, per espandersi, con le sue basi e forze militari comprese quelle nucleari, sempre più a ridosso della Russia.

In questa gravissima situazione, in cui l'Europa viene trascinata nella via senza uscita della guerra, il Comitato No Guerra No Nato

- chiama alla più ampia mobilitazione per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale e sovrana che si attenga all'Art. 11 della Costituzione;
- chiama i movimenti europei anti-Nato a unire le forze in questa battaglia decisiva per il futuro dell'Europa;
- esprime la sua solidarietà ai movimenti e alle persone (politici, giornalisti e altri) che, in Montenegro, si battono coraggiosamente contro la Nato per la sovranità nazionale.

Catania, 5 dicembre 2015.

Tratto da : Megachip Globalist

Stormtrooper

La macchina del caos: per un' Italia sovrana e neutrale

NATO


Terzo incontro per la critica del Nuovo Ordine Mondiale.


La macchina del caos lavora senza sosta creando i "fatti" secondo i propri principi e facendo, a suo modo, anche la nostra storia.
Per definizione, il suo operare non può riconoscere limiti e confini visto che, come è stato ammesso da fonte interna autorevolissima, "the american homeland is the planet".

Sebbene in queste ultime settimane venga effettivamente contrastata sul teatro siriano dall'intervento della Russia di Putin, essa mantiene nel suo ventre oscuro copiose riserve velenifere e notevoli capacità metamorfiche che la rendono comunque temibilissima e nemica irredimibile di qualunque popolazione.

Lo si vede, forse meglio che in passato, proprio in Europa, dove per l'affondamento di qualsiasi speranza di "risveglio politico globale" si serve senza scrupolo, fra le altre, dell'arma di distruzione chiamata "accoglienza dei migranti".

In questa situazione l'Italia, che rimane a livello planetario uno dei massimi terreni di sperimentazione per la macchina del caos, potrebbe senza paradosso rivelarsi uno degli avamposti strategici decisivi nel quale, in un futuro nemmeno troppo lontano, si giocheranno le sorti dei processi di affrancamento dal doppio giogo dell'Unione Europea e della NATO.

Convegno Sabato 12 Dicembre, ore 16,00

via Azzo Gardino, 48 - BOLOGNA


NATO must dissolve

Brick Wall

l'Europa al bivio

catalonia
© ustoday.com
di Pyotr ISKENDEROV

Le prossime elezioni generali che si svolgeranno in Spagna il 20 dicembre non soltanto riassumeranno il risultato politico del 2015 nel paese, ma sarà anche possibile fissare la direzione per lo sviluppo dell'Europa nell'anno 2016. Risulta già chiaro che una di queste direzioni sarà la diffusione del sentimento separatista nel Vecchio Mondo.

Molte cose stanno già affossando l'attuale sistema politico europeo: l'instabilità nel Medio Oriente provocata dalle politiche degli USA e dai gruppi terroristi internazionali slitta fuori del controllo dei progettisti occidentali del "nuovo ordine mondiale"; la nuova affluenza di rifugiati in Europa, l'aumento conseguente dei nazionalisti e le tendenze isolazioniste; e da ultimo, l'ostinato atteggiamento negativo di Washington e Bruxelles nel non voler cooperare con la Russia sulle principali problematiche nell'ambito internazionale... Nell'attualità, non è possibile predire con fiducia quale tipo di Unione Europea ci sarà nell'anno 2017.

In quanto al 2015 tuttavia, l'anno che si trova al punto di concludere con l'accompagnamento di dichiarazioni ed azioni di quelli che sono a favore della Catalogna in secessione dalla Spagna. La risoluzione approvata dal Parlamento della Catalogna, il 9 Novembre, ha dichiarato l'inizio della secessione dalla Spagna e concide con la mescola di un altro barile di polvere. Il Primo Ministro spagnolo Mariano Rajoy ha rapidamente fatto appello al Tribumale Costituzionale della Spagna per impedire che la risoluzione del Parlamento della Catalogna possa rendere effettiva la secessione dalla Spagna, sentenza che violerebbe le norme costituzionali. Nel frattempo il numero delle persone favorevoli alla secessione della Catalogna continua ad essere in crescita, secondo il partito indipendentista catalano.

Dalla forza delle considerazioni economiche si può capire la posizione delle autorità centrali della Spagna, se la Catalogna si dovesse separare, di seguito il PIL della Spagna si ridurrebbe di circa il 20%, mentre il debito si incrementerebbe per un 25 %. Possono esistere anche dei costi politici per il partito di governo, il PPE che corre il rischio di trovarsi tra l'incudine ed il martello, tra quelli che simpatizzano per la causa indipendentista e coloro che vogliono misure di maggiore accentramento.

L'escalation della questione catalana inevitabilmente avrà un effetto sui conflitti similari, della Scozia, del Belgio, dell'Ucraina e dei Balcani. Nei Balcani in particolare, la questione della preservazione di una Bosnia-Herzegovina unificata potrebbe proporsi nuovamente e questa volta in modo definitivo. Ci sono buone ragioni che sono a favore e contro la secessione della Catalogna e sempre si riferiscono ai Balcani e specialmente all'esperienza del Kosowo. Questo accade mentre i sostenitori dei separatisti catalani ricordano il precedente del Kosowo come un fattore positivo, gli oppositori sottolineano i problemi dell'Europa come risultato dell'indulgenza verso separatisti albanesi in Kosowo.

In questo senso, un articolo rivelatore è apparso nel principale giornale spanolo, El Pais, di Novembre. In esso vi è il tipo di opinione che non compare mai di frequente ai lettori europei: "Il Kosowo è stato un fallimento enorme ed un triple sbaglio in esso." E' stato il fallimento della comunità internazionale, che prima di arrivare ad un accordo sulla questione principale, il che significa il futuro della popolazione del Kosowo, è arrivato troppo lontano, giocando con criteri di geopolitica e di sovranità.