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di Monica Di Sisto"
Il mandato politico che abbiamo ricevuto dai Governi dell'Unione ci impegna a chiudere un accordo che non abbassi direttamente in alcun modo gli standard di sicurezza ambientale, sociale e generali in vigore in Europa. Dovete fidarvi, e alla fine del negoziato, quando il trattato sarà chiuso in ogni sua parte, potrete verificare quanto questo impegno sarà stato da noi rispettato". Il negoziatore europeo del Trattato transatlantico di liberalizzazione del commercio e degli investimenti Ignacio Bercero, nel faccia a faccia organizzato il 25 novembre scorso al Ministero dello Sviluppo economico dal viceministro Carlo Calenda con la Campagna Stop TTIP è stato molto chiaro: fino all'ultimo giorno, vietato disturbare il manovratore. Nel corso dell'incontro la Campagna ha sollevato punto per punto, scorrendo il testo dell'accordo ormai pubblico, tutte le finestre normative attraverso le quali sarà possibile per gli interessi di pochi trasformare i diritti di tutti in ostacoli al commercio da rimuovere più in fretta possibile nella pletora di "organismi transatlantici" che il trattato andrà a costituire, dove non meglio definiti politici e tecnici individuati dalla Commissione europea e dal Ministero al Commercio Usa si occuperanno di velocità degli sdoganamenti come di etichette sui prodotti, di dazi come di standard di qualità, di caratteristiche dei prodotti come di diritti del lavoro. Ma Bercero non è mai entrato nel merito, limitandosi a dichiarare: fidatevi di noi e vedrete.
Se i Governi europei premeranno abbastanza forte, e Obama riuscirà a smuovere anche quella parte del Congresso che ancora diffida del TTIP, entro il 2016 il trattato sarà confezionato e la palla passerà al Parlamento europeo, che se non sarà soddisfatto del risultato raggiunto potrà bocciare quanto raggiunto fino a quel momento con un agile segno di tastiera. Ma chi può fidarsi di un Parlamento attraversato da forti tensioni nazionali e radicalizzazioni, al punto da trasformare ogni partita, persino quella dolorosa dei rifugiati, o quella danarosa del quantitive easing, in derby tra europeisti ed euroscettici, tra destra radicale e rigurgito centrista? Non c'è posto, in questi tempi, per sottili analisi d'impatto, per valutazione attente di danni e guadagni. Su uno zerovirgola di presunti aumenti del Pil si giocano le credibilità di intere legislature anche a casa nostra, e per questo, più che aspettare l'ultimo minuto, preferiamo continuare a monitorare passo a passo il TTIP, per capire meglio quanto c'è di vero e quanto c'è di tattica negoziale in affermazioni così rassicuranti.
Sicurezza alimentare: desideri e realtàQuanto la cronaca ci ha raccontato nei giorni successivi ad un tanto importante incontro, racconta infatti un'altra storia. Innanzitutto sul tema dell'agroalimentare: nel briefing "
Il fattore "C": rischi e opportunità nel TTIP per il settore agroalimentare europeo" ci siamo basati sui Rapporti n. 198 "Agricoltura nel TTIP: Tariffe, Contingenti tariffari (Tariff-Rate Quotas/TRQs) e Misure non tariffarie (Non-TariffMeasures/NTMs)", e n. 199 "Valutazione degli effetti sul commercio agroalimentare tra Usa e Ue di alcune Misure Sanitarie e Fitosanitarie (Sanitary and PhytosanitaryMeasures/SPMs) e Barriere Tecniche al Commercio (Technical Barriers to Trade)ix appena pubblicati Servizio ricerche economiche del Ministero dell'Agricoltura americano e abbiamo scoperto che il fitto commercio agroalimentare Usa-Ue sarebbe limitato proprio da alcune misure sanitarie e fitosanitarie e da barriere non tariffarie che imporrebbero alle merci in viaggio un peso equivalente a un dazio del 120% medio rispetto alloro valore. Le tariffe in vigore tra Usa e Ue sono relativamente basse rispetto agli standard globali, anche se il nostro mercato è più "protetto" rispetto a quello Usa. La tariffa semplice media applicata per tutti i beni è stimata intorno al 3,5 per cento per le esportazioni dell'UE verso gli Stati Uniti e del 5,5 per cento per le esportazioni americane verso l'UE. Inoltre, il 37 per cento di tutte le linee tariffarie negli Stati Uniti e il 25 per cento nell'Unione europea sono già a zero. Le materie prime agricole, tuttavia, tendono ad avere tariffe maggiori rispetto ai prodotti non agricoli. Quali sono però, a conti fatti, queste barriere? Barriere che, peraltro, se saltassero assicurerebbero comunque agli Usa un volume di esportazioni doppio rispetto a quello prevedibile per l'Ue, che causerebbe secondo tutte le valutazioni d'impatto una vera e propria frenata degli scambi intra-europei e la saturazione di molti dei settori importanti anche nel nostro Paese come quelli di carni, frutta, verdura, latte e formaggi, olii vegetali. I tecnici degli Stati Uniti le indicano senza reticenze: le restrizioni poste dall'Europa per l'uso di trattamenti di riduzione degli agenti patogeni (PRT), ossia l'uso di antibiotici, clorati e altre delizie per immunizzare manzo e pollami; le restrizioni alla importazione e l'uso di prodotti agricoli derivati da agricoltura biotech per soia e mais;, il divieto a bovini e carni bovine allevati con ormoni, il basso livello che fissiamo per i residui chimici in frutta, verdura e noci; le restrizioni alla carne di maiale e di altri animali trattati con antibiotici; i limiti al numero di cellule somatiche consentito nel latte crudo, le restrizioni fitosanitarie sulle sementi riesportate. Se vogliamo accelerare il commercio agroalimentare transatlantico di percentuali significative, dobbiamo azzerarle tutte, dicono i tecnici. Come questo sarà possibile senza compromettere, come da mandato politico, la sicurezza alimentare dei nostri Paesi è un mistero della fiducia negoziale. Un mistero fideistico che si scontra con la cruda realtà.