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Il Meglio del Web: La Libia quattro anni dopo la morte di Gheddafi

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Com'è la Libia senza il "dittatore" Gheddafi? Secondo tutti i punti di vista nella Libia del post-Colonnello si vive molto peggio che in passato e soprattutto la pace sembra lontana con un paese diviso tra bande armate e almeno tre poteri: quello di Tobruk, quello di Tripoli e quello delle bande islamiche. Strano, senza Gheddafi il destino dei libici non doveva essere roseo e democratico?

Esattamente quattro anni fa Muammar Gheddafi veniva linciato nei pressi di Sirte da una banda di "ribelli", quelli che giornalisti e media hanno cercato di farci passare per dei bravi ragazzi in blue jeans che, assetati di libertà e di occidente volevano eliminare il tiranno cattivo. A quattro anni dall'eliminazione fisica del Colonnello amico di Mandela però, la situazione in Libia è peggiorata piuttosto che migliorare e della democrazia non ve n'è traccia anche senza Gheddafi. Nessuno però ha la minima intenzione di fare mea culpa, nessuno ha intenzione di chiedere scusa per quello che è stato deciso in Libia, ovvero di distruggere dall'oggi al domani un governo legittimo per distruggere il paese e sostanzialmente scatenare il caos.

Evidentemente il caos è utile per coloro che hanno intenzione di mettere le mani sui giacimenti petroliferi e sulle ricchezze del Paese, ed è esattamente quello che è stato fatto. In un Paese diviso tra tre diversi poteri, Tripoli, Tobruk e Isis, gli unici che si mostrano volenterosi di combattere gli estremisti islamici, ovvero i membri del Parlamento di Tobruk, sono anche gli unici ad avere un embargo da parte dell'Occidente che gli impedisce di combattere materialmente l'Isis.

Ora si parla di prospettive di pace con Onu e Ue che vorrebbero sostenere il "Governo di Accordo Nazionale" libico nei primi 40 giorni di vita, ma intanto si è creato uno Stato fallito, l'ideale per gli appetiti dell'Isis che guardacaso si è diffuso in tutti quei paesi vittime dei disegni dell'Occidente: Libia, Siria, Iraq e Afghanistan.

Sarà un semplice caso? Secondo noi assolutamente no, e mentre l'Occidente si mette a posto la coscienza cercando di favorire la pace, è indubitabile che i terroristi islamici crescano nell'incertezza. E soprattutto, se è l'Europa che ha sostanzialmente voluto questo scenario per la Libia, perchè ora avrebbe interesse ad aiutare? Gheddafi aveva detto chiaramente che l'unica alternativa al suo governo sarebbe stato il caos e il terrorismo, ma probabilmente lo sapevano già tutti ed era esattamente quello che volevano ottenere eliminando il Colonnello e la Libia.

Commenta: Per saperne di più sulla distruzione micidiale della Libia e i massacri di massa dei suoi abitanti dagli Stati Uniti, UE e NATO consigliamo al lettore di leggere questo articolo(in inglese): NATO Slaughter: James and Joanne Moriarty expose the truth about what happened in Libya
o ascoltare la puntata SOTT Radio Show(in inglese) dove sono stati intervistati James & JoAnne Moriarty, testimoni oculari di ciò che è accaduto realmente in Libia durante la cosiddetta guerra civile scoppiata nel 2011: Behind the Headlines: Truth about Libya - Interview with James & JoAnne Moriarty


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Caracas. Gli Stati Uniti cercano i soliti pretesti "umanitari" per intervenire in Venezuela

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© l'antidiplomatico.itMinistro Difesa: "L'impero americano" con il pretesto di "difendere i diritti umani e la libertà, mira a creare ancora una volta le condizioni necessarie per intervenire nel nostro paese
Il ministro della Difesa della Repubblica bolivariana del Venezuela, Vladimir Padrino López, respinge con "profonda indignazione" le dichiarazioni del responsabile del Comando Sud degli Stati Uniti, John Kelly, il quale aveva annunciato che Washington sarebbe potuta intervenire in Venezuela perché la nazione latinoamericana "è prossima all'implosione".

"L'impero americano" con il pretesto di "difendere i diritti umani e la libertà, mira a creare ancora una volta le condizioni necessarie per intervenire nel nostro paese, utilizzando come pretesto una possibile crisi umanitaria o un presunto crollo economico", ha dichiarato il Ministro venezuelano alla Padrino ha detto citato da Venezolana de Television.

In una recente intervista con la CNN, Kelly aveva detto di pregare ogni giorno per il Venezuela e di essere rimasto preoccupato per il paese sudamericano, con un'economia sull'orlo dell'implosione e un paese che potrebbe affrontare una crisi senza gli aiuti umanitari di emergenza da parte degli Stati Uniti.

Da parte sua, il presidente venezuelano Nicolas Maduro aveva dichiarato martedì che Washington sta "dando l'ordine di cercare di distruggere" la Repubblica Bolivariana e ha chiesto il sostegno dell'America Latina e dei Caraibi alle nuove minacce dell'"imperialismo americano". Rispetto alle dichiarazioni di Kelly, Maduro ha dichiarato che ci sono "segnali preoccupanti di disperazione negli ambienti di destra d'élite imperiale. Il migliore indicatore che siamo sulla strada giusta è la disperazione di coloro che odiano il Venezuela".

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A Valdai Putin mette le cose in chiaro

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Vladimir Putin al Forum di Valdai, a Soci, ha detto molte cose importanti. Eccone alcune:

1) Non bisogna giocare con le parole: i ribelli "moderati" uccidono un numero limitato di persone o utilizzano metodi gentili per decapitare le loro vittime? La comunità internazionale deve finalmente rendersi contro che essi sono il nemico del genere umano, della civiltà.

2) Il successo nella lotta contro i terroristi non può essere raggiunto se si utilizzano alcuni di loro come ariete per rovesciare regimi sgraditi [...] È solo un'illusione che possano, in seguito, essere rimossi dal potere.

3) Abbiamo deciso di avviare un'operazione militare russa in Siria, allo scopo di portare la pace, dopo aver ricevuto una richiesta da parte delle autorità ufficiali siriane. Vorrei ribadire che ciò è assolutamente legittimo.

4) Le azioni militari della Russia in Siria produrranno il necessario impatto positivo sulla situazione e aiuteranno il governo legittimo a creare le condizioni per una soluzione politica.

5) L'operazione anti-terrorismo in Siria aiuterà Mosca ad effettuare un attacco preventivo contro i terroristi, che minacciano anche la Russia, e ad aiutare tutti quei paesi e quei popoli che sarebbero sicuramente in pericolo se questi terroristi tornassero alle loro case.

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FSB: "L'Isis si è diffuso grazie all'ambiguità (doppi standard) nelle primavere arabe di alcune potenze"

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Il capo del "Servizio federale di sicurezza" della Federazione russa (FSB), Alexander Bortnikov: "Ci sono potenze mondiali che usano il Daesh come 'ariete terrorista' per garantire i propri interessi in Asia e in Africa"

Il capo del "Servizio federale di sicurezza" della Federazione russa (FSB), Alexander Bortnikov, ha dichiarato che l'Isis è stato in grado di diffondersi così tanto anche a causa dell'ambiguità (doppi standard) delle potenze regionali nei vari processi delle cosiddette primavere arabe degli anni 2010-2011.
"Ci sono potenze mondiali che usano il Daesh come 'ariete terrorista' per garantire i propri interessi in Asia e in Africa", ha dichiarato Alexander Bortnikov nel corso di una riunione con i suoi colleghi della Comunità degli Stati Indipendenti (CIS) per Mosca.
"Nel perseguire i propri obiettivi con l'Isis, alcuni paesi hanno messo il mondo sull'orlo di un conflitto religioso globale", ha ribadito. Il capo del FSB ha inoltre evidenziato che "le conseguenze di questo conflitto globale potrebbero essere disastrose".
Durante l'incontro, si è parlato anche di Afghanistan, Alexander Bortnikov ha detto che i gruppi talebani potrebbero cofluire nell'Isis, creando un serio problema di stabilità per tutta l'Asia centrale. "L'escalation di tensione in Afghanistan è una fonte di grave preoccupazione. Molti gruppi del movimento talebano sono attualmente presso il confine settentrionale. Alcuni di loro hanno già aderito al Daesh".

Rispondendo alle domande sull'intervento russo in Siria, Alexander Bortnikov ha osservato che la decisione era stata presa per contrastare la minaccia di un "ritorno di massa" dei jihadisti nel loro paese d'origine.
"E la decisione è già dato i suoi frutti" ha detto.

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Usa e Mar cinese meridionale: libertà dei mari o libertà di provocazione?

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"L'arte della provocazione", oppure "La libertà dei mari come libertà di provocare": ci si potrebbe divertire con la fantasia per sintetizzare con efficacia il comportamento degli Stati Uniti in un luogo caldo del pianeta - per le tante rivendicazioni territoriali e perché area di proiezione dell'ascesa cinese - che non ha certo bisogno di essere surriscaldato.

La Marina a stelle e strisce ha messo ora in atto quanto da tempo stava progettando ai massimi livelli (rapporto rivelato agli inizi di ottobre dal Financial Times), vale a dire il pattugliamento all'interno delle 12 miglia (distanza che delinea le acque territoriali sottoposte alla sovranità di un Paese costiero) degli isolotti rivendicati dai cinesi: nella mattina di martedì il cacciatorpediniere "USS Lassen" ha navigato a 11 miglia al largo del Subi Reef (nelle isole Nansha/Spratly), scatenando dure reazioni da parte di Pechino ("un atto provocatorio" e una "palese violazione della sovranità cinese", si legge in un editoriale dell'agenzia di stampa ufficiale Xinhua) giunte fino alla convocazione dell'ambasciatore statunitense.

Gli obiettivi di una tale mossa possono essere sintetizzati così: da una parte - sempre secondo il documento citato dal quotidiano finanziario - si tratta di sfidare con singoli atti dimostrativi
"gli sforzi della Cina nel rivendicare gran parte del corso d'acqua strategico attraverso l'ampliamento di rocce e scogliere sommerse per farne isole abbastanza grandi per piste di atterraggio militari, apparecchiature radar e alloggi per truppe";
dall'altra di confermare agli occhi dei propri alleati come le Filippine o il Giappone (che qualche dubbio lo nutrono), e di possibili partner come il Vietnam, il proprio impegno nella sicurezza di tutta l'area in caso di escalation dell'assertività cinese.

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Centinaia di rifugiati in Germania sono "misteriosamente scomparsi" e le autorità locali hanno perso le traccia

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Nell'ultima, e più bizzarra, svolta nella crisi dei rifugiati in Europa, scrive Zero Hedge, almeno 700 dei circa 4.000 richiedenti asilo che erano stati inizialmente accolti dallo Stato tedesco della Bassa Sassonia sono "misteriosamente scomparsi", riporta Neue Osnabrücker Zeitung (NOZ).

Dato che molti dei profughi non erano stati ancora registrati, non si sa nulla su chi sono o dove possono essere andati. In un centro per rifugiati a Lingen, un membro locale del parlamento si è recato in visita sabato per scoprire che oltre la metà dei 212 profughi portati al centro l'avevano abbandonato.

I politici locali sono furiosi: Angelika Jahn, portavoce dell'Unione cristiano-democratica (CDU) per la Bassa Sassonia, ha descritto la situazione come
"inaccettabile", dicendo a NOZ che i profughi devono essere registrati immediatamente all'arrivo.
"A Freiberg in Sassonia domenica dei manifestanti hanno cercato di fermare i richiedenti asilo, impedendogli di raggiungere un centro per rifugiati".

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Polonia: una svolta nazionalista nell'Europa asservita ai dettami di Bruxelles

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Il partito nazionalista di "Diritto e Giustizia" ha segnato una vittoria clamorosa, in Polonia, ed ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo Parlamento. Si tratta del fronte dei conservatori nazionalisti, euroscettici e cattolici. Questo partito, in quelle che erano elezioni politiche nazionali di ieri, ha ottenuto il 39% circa dei sondaggi (secondo le proiezioni ), ottenendo quindi un premio di maggioranza che gli farà assegnare almeno 238 seggi sui 460 che compongono il "Sejm", la Camera Bassa. Per i liberali europeisti di Piattaforma Civica (Po), che sosono stati al governo per molti anni (otto anni circa) , la sconfitta risulta maggiore anche rispetto a quanto ventilavano i sondaggi. Il partito dell'ex premier e attuale presidente del Consiglio Europeo Ue Donald Tusk, "Piattaforma", si è fermato al 23,4% dei voti, ottenendo 135 seggi e sarà assolutamente ininfluente nella nuova assemblea dominata dai nazionalconservatori.

Al terzo posto si è piazzata la formazione del cantante rock 'anti-sistema' Pawel Kukiz, anche lui di posizioni nazionaliste, una specie di "Grillo di destra", con 44 seggi. Poi a seguire Nowocczesna (Moderni) di orientamento liberale, con 24 deputati e il partito dei contadini Psl con 18 seggi. Nettamente sconfitte tutte le formazioni di sinistra, filo europeiste, nessuna delle quali è riuscita ad entrare nel nuovo Parlamento. Un dura sconfitta per gli esponenti del "Fronte della Sinistra Unita" che radunava quasi tutte le formazioni (similari al Pd e SEL italiani), nettamente bocciati dagli elettori polacchi. Anche la partecipazione alle urne è stata buona in un paese in cui non si riscontra quasi mai una percentuale più alta del 45% degli elettori.

Questa vittoria dei nazionalisti segna una svolta nella politica filo europeista, fino ad oggi tenutasi in Polonia, politica che viene oggi fortemente contestata da una buona parte dell'elettorato polacco che non sopporta più le direttive invadenti della UE e, con questa vittoria dei nazionalisti, vengono stravolti i vecchi equilibri nella cosiddetta Nuova Europa, il Centro-Est dell'Ue di cui la Polonia è l'indiscusso peso massimo, con conseguenze inevitabili anche a Bruxelles.

Nonostante che il paese (che non ha l'euro) sia ancora in crescita economica, nell'opinione pubblica polacca si è sviluppata una forte insofferenza nei confronti delle politiche praticate da Bruxelles, la politica migratoria in particolare, l'ingerenza nelle questione economiche e sociali (previdenzae welfare), nonchè la sottomissione totale delle politiche europee che favoriscono gli interessi delle grandi banche, della grande finanza e dell'industria tedesca.

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In Germania è scoppiato l'Inferno: Invasione di delinquenza senza freni

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© AFP 2015/ Armend Nimani
"L'Inferno è scoppiato" in Germania, registriamo una invasione di criminalità di massa nelle forme più gravi come i furti, le rapine, gli stupri, la riduzione in schiavitù, l'imposizione della sharia", questo è stato il drammatico avvertimento che ha fatto il Presidente Federale della polizia tedesca, Rainer Wendt.

In una significativa intervista fatta la canale N24 del servizio della Televisione tedesca, Wendt ha inoltre avvertito che le attività delittuose non sono state il risultato di invasori di colore stretti in luoghi angusti, ma piuttosto opera di fanatici religiosi e di lotte di alcuni gruppi per ottenere il sopravvento sugli altri.
"Le situazioni devono sempre arrivare ad incendiarsi prima che i politici reagiscano", ha detto.
"Nei nostri accampamenti per dare asilo ai rifugiati è scoppiata tutta una situazione infernale, nella frontiera con il sud della Germania e nello Stato federale della Baviera in particolare. E' un girone infernale ed i nostri colleghi da quelle parti devono lavorare interrottamente senza neanche potersi più togliere gli stivali"
ha detto riferedosi al lavoro costante e senza interruzioni che deve svolgere la polizia tedesca per cercare di fare fronte alle altre invasioni di masse di rifugiati.
"Da mesi le forze di polizia sono state sopraffatte da questa invasione ed adesso i politici stanno mostrandosi come se ne fossero totalmente sorpresi, questo però non può essere".
"Abbiamo dovuto constatare le risse fra immigrati nei campi di accoglienza, abbiamo dovuto verificare una quantità di furti nelle tende di generi alimentari. C'è una forte criminalità tra i rifugiati, il che significa che avvengono stupri di donne e bambini, uso massiccio di violenza, attività delittive come sfruttamento e schiavitù, vediamo che tutto questo avviene in quei posti. Non si tratta certo di piccoli alterchi fra persone che stanno vivendo in uno spazio ridotto, questi sono piuttosto conflitti territoriali, lotte per il dominio. Ci sono fanatici e gruppi religiosi che non si possono facilmente separare. Il nostro personale di sicurezza è del tutto sovrastato da queste situazioni".

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Il Qatar minaccia un intervento militare in Siria accanto "ai fratelli turchi e sauditi"

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© l'antidiplomatico.it
All'inizio di questa settimana, il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir ha inviato il seguente messaggio a Teheran:
"Vogliamo che l'Iran cambi la sua politica e smetta di immischiarsi negli affari di altri paesi della regione, in Libano, Siria, Iraq e Yemen. Ci confronteremo con le azioni dell'Iran e useremo tutto il nostro potere militare, politico, economico per difendere il nostro territorio e le persone ".
Come ricostruisce il blog Zerohedge, Riyadh e i suoi alleati a Doha e negli Emirati Arabi Uniti sono a disagio per il fatto che l'accordo nucleare rimuoverà efficacemente l'Iran dalla lista degli Stati paria proprio ora che Teheran sta espandendo la sua influenza regionale attraverso le sue milizie sciite in Iraq, l'operazione di terra in Siria, e attraverso gli Houthi nello Yemen.

I sauditi sono stati in grado di contrastare efficacemente le forze anti--Hadiin Yemen senza rischiare un conflitto diretto con l'Iran, ma attenzione, l'obiettivo non è Sana'a. Lo Yemen è uno spettacolo marginale. La vera lotta è per il futuro politico della Siria e per il controllo dell'Iraq, una volta che gli Stati Uniti si ritireranno per sempre.

L'Iran sta vincendo su entrambi questi fronti ma sarebbe un errore pensare che Washington, Riyadh, Ankara e Doha rimarranno semplicemente ad aspettare dopo anni spesi a fornire supporto a diversi gruppi estremisti sunniti per destabilizzare Assad. C'è troppo in gioco.

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Arrestato in Iraq colonnello Israeliano militante nello Stato Islamico

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Farsnews ha raccolto le sue dichiarazioni:
"Le forze popolari di sicurezza Irachene detengono prigioniero un militare israeliano. L'ufficiale sionista è classificato essere un colonnello e ha partecipato a operazioni terroristiche per conto ed insieme al gruppo Takfiro chiamato ISIL. Il nome del colonnello israeliano è Yusi Oulen Shahak ed è un colonnello della brigata Golani dell'esercito del regime sionista. Il suo codice militare è Re34356578765az231434."
Il comandante Iracheno ha ribadito che il prigioniero è sotto interrogatorio e sta rivelando importanti informazioni in suo possesso. Difficile per il momento riscontrare in maniera indipendente le sue dichiarazioni che iniziano a trapelare su vari organi di informazioni, più o meno attendibili.